L'arca olearia
Olea Mundi: le varietà mondiali di olivo in rete

In una piccola drupa c’è tutto un universo: un patrimonio tanto vasto che può generare confusione, con identiche varietà con nomi diversi, ma individuare l’esatta cultivar si può, mediante 10 marcatori molecolari SSR
26 gennaio 2024 | Giosetta Ciuffa
L’universo, scriveva Stephen Hawking, in un guscio di noce. Non ha mai visto la collezione Olea Mundi – (“gli olivi del mondo”… e stanno tutti in Italia!) - altrimenti avrebbe pensato al seme di una drupa o alle corde di un patriarca millenario. Tutto quel che c’è nel mezzo, più o meno, è visitabile nei tre campi del germoplasma italiani. Come si sa l’Italia ha il maggior numero di varietà; meno noto è che tale patrimonio, la ricerca sul quale è stata iniziata dal prof. Giuseppe Fontanazza (Cnr Isafom - Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo), si trova nei campi collezione di Follonica in Toscana, Lugnano in Teverina in Umbria e Pergusa in Sicilia, che ospitano numerosi esemplari di Olea europaea. Circa mille accessioni quello originario Isafom, ora a Follonica (anni ’90); 400 quelle a Pergusa, con focus sulle cv siciliane (2004) e altrettante a Lugnano, con focus sulle cv umbre (2014).
Se ne è parlato durante l’incontro “Olea Mundi: dalla conservazione allo sviluppo” promosso dall’europarlamentare della commissione Ambiente, Sanità pubblica e Sicurezza alimentare Francesca Peppucci, finalizzato all’accordo di collaborazione tra 3A Parco tecnologico agroalimentare dell’Umbria, Cnr - Consiglio nazionale delle ricerche, Libero consorzio comunale di Enna (già Provincia) e Comune di Lugnano in Teverina, affinché una tale raccolta di risorse genetiche si possa ulteriormente sviluppare ed esplicare al massimo le proprie potenzialità. La ricerca non va solo nella direzione di conservare e identificare le varietà, attività che si sta estendendo anche all’estero – “si è appena conclusa l’introspezione nelle isole maltesi e con l’università di Malta verrà lì costituita una collezione con copia qui”, spiega Marina Bufacchi, dirigente tecnologo del Cnr Isafom di Perugia - ma anche studiare la risposta alle diverse condizioni ambientali presenti alle tre diverse latitudini per ottenere i profili bio-agro-ecologici, metabolici e sensoriali completi, identificare varietà di interesse per l’olivicoltura oltre che “favorire studi di genomica applicata per l’identificazione dei determinanti genetici della risposta delle varietà agli stress biotici e ambientali, della formazione dell’olio e dei composti secondari di interesse salutistico e qualitativo, della produttività in termini quantitativi e qualitativi, di precocità di entrata in produzione e costanza produttiva, di idoneità alle tecniche di intensificazione colturale e meccanizzazione delle operazioni di raccolta e potatura”, come recita l’accordo, teso quindi a iniziative congiunte più strutturate.
Per cogliere l’importanza di quanto riportato basti pensare ai danni della Xylella: ora si cerca una rinascita grazie alla cultivar FS-17, la Favolosa, più resistente al batterio. Se il prof. Fontanazza non avesse incrociato Frantoio e Ascolana tenera e non ne avesse studiato e conservato il risultato, oggi non avremmo una speranza per l’olivicoltura italiana.
Senza arrivare alle emergenze dettate dai patogeni e dal clima (oggi le campagne di tollerabilità si fanno in ambienti estremi), tutto ciò è necessario poiché anche in agricoltura si assiste al fenomeno della semplificazione delle varietà, a causa della selezione delle più riproduttive o delle olive da mensa più richieste sul mercato. Ogni genotipo presenta però caratteri agronomici utili e l’Italia ne possiede la maggior quantità in assoluto: una ricchezza inestimabile, che vale la pena approfondire ulteriormente (il Cnr aveva già portato avanti, coordinandolo, il progetto Before - Bioresources for oliviculture, per protocolli comuni di fenotipizzazione e caratterizzazione molecolare, morfologica e fisiologica e valutare la qualità dell’olio in relazione alle varietà). Un patrimonio tanto vasto può generare confusione, presentando le stesse varietà con nomi diversi, ma individuare l’esatta cultivar si può, mediante 10 marcatori molecolari SSR: “Il germoplasma olivicolo è il più ricco tra tutte le specie coltivate poiché l’olivo è molto longevo e ci sono esemplari millenari, inoltre le nuove varietà non hanno sostituito le più antiche”, puntualizza Luciana Baldoni, dirigente di ricerca al Cnr Ibbr - Istituto di bioscienze e biorisorse di Perugia. “Una risorsa inesplorata è rappresentata dagli olivi selvatici: un serbatoio di altri caratteri di interesse. Completamente diversi dalle varietà coltivate, hanno differente tolleranza agli stress e potrebbero essere usati come portainnesti”.
Per Mauro Gramaccia, responsabile Salvaguardia della biodiversità regionale nel Parco 3A, il rischio oggi è la sostituzione delle varietà antiche o locali con quelle moderne: “non sono in contrapposizione e non devono andare perdute”, mentre nelle parole di Antonio Aveni, responsabile del campo di germoplasma dell’olivo di Zagaria ad Enna, il futuro è l’IA applicata alla genetica delle colture: apprendimento automatico alla ricerca dei geni che resistono a elevate temperature o a eventi pluviometrici di elevata durata e intensità.
Peculiarità di Olea Mundi è la sua ricchezza: più di mille genotipi in tre copie (ossia tre alberi) coltivate in tre ambienti diversi: la speranza è di entrare nella Rete internazionale delle banche del germoplasma istituita e coordinata dal Coi. Risale al 1970 la prima conservazione delle varietà di olivo, ora World olive germplasm bank nel centro IFAPA - Instituto de investigación y formación agraria y pesquera “Alameda del Obispo” di Cordoba, oggi riconosciuta come prima banca internazionale di riferimento per l’olivo. Tutte le tre repliche presenti oggi a Follonica, Lugnano in Teverina e Pergusa sono state genotipizzate con i marcatori SSR più discriminanti e confrontate con i profili delle varietà delle collezioni IFAPA e, in Marocco, INRAE (Institut national de recherche pour l’agriculture, l’alimentation et l’environnement).
Quindi sì, anche in una piccola drupa c’è tutto un universo.
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