L'arca olearia

Vietate le miscele di olio lampante con olio extra vergine di oliva: la sentenza della Cassazione

Vietate le miscele di olio lampante con olio extra vergine di oliva: la sentenza della Cassazione

La Corte di Cassazione interviene in un vecchio caso giudiziario-oleario, l'"operazione Arbequino", per sancire il divieto di miscela di olio lampante con extra vergine, per vendere l’olio come extra vergine, perché l’olio risultante è “privo di qualità edibile formalmente promessa”

08 gennaio 2024 | Alberto Grimelli

La Cassazione, Terza Sezione Penale, ha emanato una importante sentenza sulla fine dell’anno (50753/2023 del 25 ottobre 2023) in merito all’olio di oliva di fatto sancendo il divieto di miscela tra olio lampante e olio extra vergine di oliva per la rivendita del prodotto risultante come extra vergine.

La sentenza interviene in merito all’Operazione Arbequino della Procura di Siena del 2012.

Nel comunicato di allora si legge: “La disamina degli interessanti documenti acquisiti, sviluppata con la fattiva collaborazione degli Ufficiali di P.G. dell’Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari di Roma, unitamente agli esiti captativi delle intercettazioni telefoniche e telematiche, ha consentito di portare alla luce un meccanismo fraudolento, in atto sin dall’anno 2010, basato su una prassi molto estesa utilizzata dall’azienda che, dopo aver contrattato con i propri fornitori comunitari (Spagna e Grecia) ed extra CE (Tunisia), indicava nel registro ufficiale di carico/scarico telematico (S.I.A.N. Sistema Informativo Agricolo Nazionale) come olio di oliva vergine/extra vergine, partite di olio non aventi all’origine i requisiti merceologici per poter essere designate come tali.

Le partite furono sequestrate, 8000 tonnellate di oli di oliva, e in procedimenti successivi confiscate.

Proprio in ordine alla confisca, i difensori hanno obiettato che lo sforamento del parametro del valore di perossidi oltre i 20 meq O2/kg non è di per sé sufficiente per declassare l’olio da extravergine/vergine a lampante.

I giudici della Corte di Cassazione hanno ampiamente argomentato che “… il mancato rispetto e quindi per quanto qui di interesse il superamento dei valori soglia dei perossidi per gli oli vergini immediatamente sopra indicati, comporta il cambiamento di categoria del campione analizzato e quindi della partita di riferimento, pur rimanendo classificato in una delle sotto-categorie proprie degli oli di oliva vergini.

Se il valore di perossidi è quindi superiore a 20 meq O2/kg l’olio diventa automaticamente olio lampante, che è sì una categoria degli oli vergini, ma con caratteristiche proprie che ne impediscono la vendita al dettaglio e il consumo tal quale.

Molto importante il passaggio successivo della Corte di Cassazione: “Quanto alla ulteriore considerazione critica circa la non commerciabilità al dettaglio dell’olio lampante (diversamente dagli oli vergini di oliva ed extra vergine) preliminarmente occorre rilevarne la portata secondaria se non irrilevante in sè rispetto alla contestazione, posto che la inclusione nel prodotto finale, per miscelazione, di olio lampante poi commercializzato come extravergine, come contestato in sentenza, già di per sé fonda la ritenuta fattispecie di cui all’art 515 cod. pen. (ndr Frode in Commercio)”

Le motivazioni della frode, quindi del reato, sono poi rese palesi da un passaggio che riprende in parte le considerazioni della Corte di Appello: “… la accertata ipotesi frodatoria relativa al profilo qualitativo degli oli commercializzati poggia sulla tesi dell’impossibilità di qualificare come extravergine – come invece avveniva fraudolentamente – un olio che contenga nelle sue componenti olio lampante… va ribadito il fondamento primario del giudizio di responsabilità, anche specificando per tale parte la motivazione della Corte di Appello, ai sensi dell’art 619 cod. proc. Pen., trattandosi di profilo eminentemente giuridico, laddove il riferimento in sentenza alla “vendita di bene privo di qualità edibile formalmente promessa” (pag. 72) non può che riferirswi innanzitutto alla prospettazione di una qualità edibile, quale quella dell’olio extravergine di oliva formalmente venduto, non corrispondente a quella reale, per la presenza di oli di qualità ben diversa e in particolare di olio lampante.

E’ quindi la non edibilità, quindi l’impossibilità di destinare l’olio lampante tal quale al consumo umano, l’elemento che avvalora il reato, rendendo quindi impossibile la miscela di questo con olio extra vergine di oliva.

La sentenza è particolarmente importante in un anno, come quello in corso, in cui è probabile la presenza sul mercato di quantità significative di “lampantini”, ovvero oli formalmente lampanti ma le cui caratteristiche chimiche sono tali che li renderebbero utilizzabili in miscela per produrre extra vergini a basso costo. Ora è chiaro che tale pratica costituisce reato di frode in commercio.

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