L'arca olearia
APPELLO AGLI OLIVICOLTORI E AI FRANTOIANI D’ITALIA: “SVEGLIATEVI DAL TORPORE IN CUI SIETE PRECIPITATI”. ECCO I MOTIVI PER CUI IN MOLTI NON RIESCONO A CONSEGUIRE SPAZI REMUNERATIVI SUI MERCATI
Di solito si punta il dito contro le aziende di marca, e in particolare verso la cosiddetta industria dell’olio. Sbagliando. Le accuse in molti casi sono pretestuose, e nascondono gravi responsabilità e inadempienze, oltre a evidenti segni di incapacità operativa. E’ tempo di riflettere. Un “mea culpa” non sarebbe certo fuori luogo
03 novembre 2007 | Luigi Caricato
Gli olivicoltori e i frantoiani? La maggioranza dei rappresentanti di queste due categorie professionali se ne sta chiusa nel proprio guscio ed evita di confrontarsi con il mondo esterno e di adeguarsi ai mutamenti epocali.
E sempre la maggioranza dei rappresentanti di queste due categorie continua imperterrita a ignorare quanto sia importante fare comunicazione e disporre di una struttura aziendale snella e funzionale, capace di produrre per il mercato, anziché di produrre e basta.
Non è finita. Sempre la medesima maggioranza di persone, in rappresentanza delle due principali categorie professionali del comparto olio di oliva, coltiva il vizio di lamentarsi in continuazione, accusando sbrigativamente il mondo esterno, piuttosto che se stessi, ignorando le proprie inadempienze e lâincapacità di coalizzarsi.
Siete dâaccordo? Non siete dâaccordo?
Bene. Possiamo iniziare. Quando si ricorre a un appello pubblico, vuol dire che lo stato della realtà in cui ci si trova è piuttosto grave e delicato.
Non si lanciano appelli a caso, se non vi sono ragioni forti che li giustifichino.
Allora, ecco le ragioni. Innanzitutto, sono arcistufo di ascoltare o leggere lâinfinita e ininterrotta serie di lamentele. Sono litanie senza senso, improduttive e perfino fastidiose.
I problemi li conosciamo tutti, ma ignoriamo nel medesimo tempo il fatto che ciascun problema ha dietro di sé una o più cause scatenanti, che li moltiplicano e li amplificano. Sono soprattutto indignato, per certi comportamenti ingiustificati: la maldicenza, la calunnia, le parole a sproposito. Tutti contro tutti. Non ha senso. Nessuno che abbia il coraggio di recitare un mea culpa.
Un poâ di chiarezza. I motivi per cui il comparto oleario si regge piuttosto male sulle proprie gambe non è da addebitare ai nemici storici che, per comodità o convenienza di alcuni, riconducono in gran parte al mondo della cosiddetta industria.
Ora, lasciamo perdere il passato, per non restare disorientati tra le molte accuse e recriminazioni tra le parti chiamate in causa. Pensiamo invece al presente. Facciamo dunque tabula rasa e ricominciamo per esempio dal nuovo secolo appena iniziato, dimenticando così i malumori e le nequizie del passato.
Siamo sicuri che gli olivicoltori e i frantoiani non abbiano responsabilità personali per ciò che concerne i disagi e problemi attuali?
Costoro, per esempio, possono sentirsi realmente sicuri di essere stati rappresentati al meglio dalle figure cui si sono affidati quando si è trattato di decidere sul proprio futuro, e quindi sul proprio presente?
Le sorti del comparto in cui operano sono state gestite al meglio?
E non solo: cosa fanno costoro per il futuro prossimo venturo?
Parto ora da me, dalla mia lunga esperienza di comunicatore intorno allâolio di oliva. Ho speso tanto del mio tempo prezioso trascurando altri interessi culturali e professionali, sottraendo perfino spazi al mio tempo libero. Ho scritto e parlato tanto, ovunque e senza sosta, fino a creare una serie di molteplici attenzioni verso il prodotto olio extra vergine di oliva e verso il comparto produttivo in generale.
Chi ha sensibilità e passione verso il proprio lavoro sa bene lâimpegno che ho profuso in tutti questi anni. Lo sa bene perché mi avrà letto, e magari, chissà , avrà pure acquistato i miei libri. Chissà . Ho seri dubbi, tuttavia, perché la cultura dellâolio interessa ben poco i produttori, tranne le eccezioni.
Eâ dal 1998, in particolare, che ho iniziato a scrivere di olio. Da allora ho dedicato alle aziende agricole tutte le mie energie per dare loro visibilità e strumenti di azione.
Tante le rubriche sui giornali più disparati, da quelli tecnici e settoriali a quelli divulgativi e generalisti, destinati al grande pubblico. Chi mi conosce sa.
Ora dunque, posta tale premessa, lâappello ha un senso ben preciso, perché è sostanziato dai fatti. Anche perché, tale appello, parte da una persona che al prodotto olio ci ha sempre creduto, e fortemente anche, come pure ha creduto in chi lâolio lo va producendo, consapevole delle sue tante fatiche, e della tanta, avvilente burocrazia che vi sta dietro, affliggente. Non so più quanti oli abbia degustato e recensito nelle mie varie rubriche. Lâho fatto, e continuo a farlo, perché ci credo, perché sono motivato. Perché ho lâobiettivo di far conoscere e apprezzare le peculiarità di ciascun olio, affinché il consumatore sappia, sia correttamente informato. Comunicare in modo esatto intorno allâolio extra vergine di oliva aiuta, serve a qualcosa.
Non mi sono fermato alle degustazioni. Ho firmato, e continuo a firmare, una serie di articoli in cui presento e snocciolo le problematiche legate al comparto, illustrando possibili soluzioni e vie dâuscita dallo stato di impasse in cui il settore sta progressivamente precipitando, ma anche denunciando le anomalie e i responsabili di tali anomalie. Eâ stato un servizio utile, di cui sono fiero.
Veniamo però al dunque. Le aziende olivicole e i frantoi sono per lo più impreparati ad affrontare le complessità dei mercati. In un mio ampio servizio per il mensile âLargo Consumoâ, in uscita per il numero di gennaio, ho posto ad alcuni interlocutori del settore una domanda ben precisa:
Un olivicoltore deve necessariamente occuparsi della collocazione finale del prodotto in bottiglia, o dovrebbe piuttosto disinteressarsene e limitarsi solo a produrre un extra vergine di qualità , a costi per quanto possibile contenuti, conferendo di conseguenza il proprio olio a un consorzio tra produttori, così da vederlo poi commercializzato con un unico marchio su vasta scala e con maggiore efficacia?
Non riporto qui gli esiti dellâinchiesta, ma vi comunico in compenso le mie sensazioni, dopo tanti anni di intenso lavoro editoriale e giornalistico sul fronte dellâolio.
Sono considerazioni amare che trapelano una grande delusione. Perché denotano la scarsa sensibilità , e soprattutto il drammatico senso inadeguatezza che attraversa il mondo della produzione.
Non è una constatazione recente, dellâultima ora. Il senso di inadeguatezza è connaturato al mondo agricolo, è strutturale. Però io ho pensato che venendo loro incontro, aiutandoli in tutti i modi possibili, qualcosa potesse cambiare. Invece debbo riconoscere che non può cambiare nulla. Si aiuta solo una minoranza, esigua nei numeri. Il resto fa parte di un tessuto sociale malato, che però affossa i volenterosi, quelli che vogliono emergere e agire in modo serio e professionale, da imprenditori.
Câè un fondo di amarezza in questo mio appello: âsvegliatevi dal lungo sonno in cui siete precipitati, reagite al senso di torpore che vi annichilisceâ.
Il mondo agricolo ha bisogno di una svolta, ma io intravedo solo figure di basso profilo, senza volontà e spessore. Le eccezioni da sole non sono sufficienti. La stessa élite che ha fatto strada, proponendosi con successo sui mercati, non riesce ad essere trainante, perché il livello della maggioranza degli olivicoltori e dei frantoiani tende a essere estranea ai riti di un mondo che cammina sveltamente.
Tranne poche centinaia di operatori, a fronte di oltre un milione di olivicoltori censiti e di circa sei mila frantoiani, non si intravede nulla di buono. Câè il silenzio e lâinedia. E allora io mi chiedo che senso abbia continuare a sostenere tale realtà produttiva. Sapere inoltre che gran parte di questa gente scelga la strada facile, quella di lamentarsi, accusando magari le realtà che funzionano, mi sembra francamente offensivo. Per questo ritengo sia giusto che si rifletta sullo stato delle cose. Câè chi specula su tale situazione, innescando dei sentimenti avversi nei confronti delle aziende di marca. Eppure sono proprio questâultime che hanno dato lustro al prodotto olio extra vergine di oliva, permettendo anche alle piccole e minuscole aziende di potersi ricavare una nicchia nella quale muoversi.
Concludo con una nota amara, purtroppo. Mi accade di frequente di percepire tutta lâinadeguatezza del mondo produttivo. Un esempio: quando richiedo oli per recensirli su riviste importanti, mi devo affidare alle solite aziende, quelle che so sensibili e capaci, ma la maggioranza degli altri produttori resta immobile, oppure se ne sta a temporeggiare, magari inviando i campioni per lâassaggio mesi dopo lâuscita dellâarticolo. In altri casi vedo lâincapacità di presentarsi, dicendo in modo convincente âquesto sono io, questo è il mio prodottoâ, e allora mi chiedo che senso abbia avere produttori così incapaci di stare al mondo, perché â mi chiedo â continuare a sostenerli? Meglio abbandonarli, lasciando le poche risorse finanziarie disponibili ai pochi che ne sono capaci. Uno dei problemi dellâolivicoltura italiana è lâaver distribuito fondi a tutti, a pioggia, negando magari sostegni concreti ai più volenterosi e ai più bravi. Che assurdo mondo, quello dellâolio. Câè lâincursione della politica che affossa ogni sana iniziativa, facendo leva su quel tessuto sociale malato di cui ho appena riferito. Ma, a onor del vero, ci sono anche figure politiche di grande spessore e lucidità , oltre che funzionari e dirigenti pubblici davvero esemplari, che ho incontrato nel corso dei miei anni di intenso lavoro e che mi lasciano ben sperare; ma câè solo un problema, è che tali figure positive rappresentano delle eccezioni, rare seppure davvero determinanti.
Nella redazione dei miei articoli, purtroppo, di frequente mi imbatto nellâinefficienza e nella mancanza pressoché totale di collaborazione da parte di alcuni direttori e presidenti di consorzi e associazioni. Non capisco che interesse abbiano nel non fornire notizie e dati utili nel favorire la conoscenza, per esempio, della Dop o Igp che rappresentano. Anche qui, a parte, alcune figure illuminate, la maggioranza di costoro esprime il peggio che si possa immaginare. Eâ la politica che innesca questi meccanismi perversi.
Un aneddoto? Câè stato un bravo produttore che fino a qualche giorno fa era presidente di un consorzio Dop. Lâho sentito per telefono per unâintervista. Mi ha risposto che non se la sentiva di dare risposte, anche perché si sarebbe creato uno scontento allâinterno del consorzio. Il produttore in questione è stato detronizzato e al suo posto ha vinto la forza dirompente di unâassociazione di categoria che ha imposto il suo nome. Troppi interessi. Dâaccordo, dico io: che si curino pure gli interessi, ma senza creare danni ai consorziati, i quali senzâaltro vogliono visibilità sui giornali. E allora, io dico, tali soggetti si comportino con onestà di fronte ai propri incarichi. Svolgano il proprio dovere, rilasciando informazioni, collaborando.
Questa è la situazione. da una parte ci sono i volenterosi, una minoranza dallâaltra câè un tessuto sociale malato che favorisce lâinedia e gli insediamenti dei soggetti che esprimono inefficienza. Eâ un circolo vizioso, e in più lâélite non riesce a far sentire il suo peso. Intravedo poche speranze dunque per il futuro. Perché lâItalia è questa.
Non desisto. Chissà , un giorno mi divertirò a fare i nomi. Non è che non ci abbia pensato fino ad oggi, è che si tratta di un lavoro che va fatto bene. Non si possono fare i nomi di alcuni, e non menzionarne altri. Sarebbe ingiusto. Ci vuole tempo, ma se i volenterosi volessero nel frattempo collaborare fornendomi esempi e indicandomi nomi e contesti, sono pronto, nel massimo riserbo, ad accogliere ogni singola voce, vagliandola per verificarne lâesattezza dei riferimenti. Occorre reagire, altrimenti dichiariamo chiuso per inefficienza il comparto produttivo, e non se ne parli più. E nessuna paura: ci penseranno gli spagnoli a risolvere i nostri problemi, perché è gente piuttosto in gamba.
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