L'arca olearia
Tempo di salvare l'olivicoltura di collina e montagna dall'abbandono

La produzione olivicola cala, col serio rischio di perdere la riconoscibilità sul mercato. Occorre un libro bianco per salvare l'olivicoltura di collina e montagna
07 aprile 2023 | C. S.
Un Libro Bianco per salvare l’olivicoltura di collina e di montagna italiana dall’abbandono. E’ questa la proposta emersa a Sol&Agrifood, durante il convegno “Far rinascere l’olivicoltura di collina e montagna: sogno o realtà?”.
Più del 70% dei 1,1 milioni di ettari dell’olivicoltura italiana è situata in aree marginali, dove le difficoltà di meccanizzazione sono elevate. Circa 100 mila ettari sono addirittura in zone montagnose. Il tasso di abbandono in queste aree sta aumentando vertiginosamente.
“Anche in un’area vocata come l’Umbria - afferma Marco Viola, presidente di Assoprol Umbria – assistiamo a intere colline ormai incolte. La produzione olivicola cala, col serio rischio di perdere la riconoscibilità del nostro prodotto sul mercato.” A rincarare la dose Giosuè Catania, presidente del Consorzio Olio Dop Monte Etna: “l’olivicoltura si è insediata nei passati decenni e secoli in aree fragili. Pensiamo alle pendici dell’Etna. Qui l’olivicoltura protegge anche la valle dal dissesto idrogeologico. Non è solo un problema di mercato ma anche ambientale e sociale.” E proprio sulla valenza sociale dell’olivicoltura di collina e montagna si è soffermato l’abruzzese Pietro Di Paolo, presidente della Coop Laurentana: “lo spopolamento dei territori rurali di collina e montagna è un problema, anche sociale. Si riducono i servizi per i residenti e i giovani scappano. La cooperazione è stata un argine per frenare il fenomeno ma ora occorre fare di più.” Quasi l’intera olivicoltura di collina e montagna è tempestata di Dop e Igp, le indicazioni geografiche, sinonimo di qualità e tipicità. “Non nascondiamoci però dietro un dito – ha affermato Raffaele Amore, presidente del Consorzio Olio Igp Campania – le Dop e Igp rappresentano il 2-3% del mercato. Una nicchia all’interno della nicchia dell’olio italiano. Le Dop e Igp sono resilienti, con i prezzi che subiscono meno gli scossoni del mercato rispetto all’extra vergine italiano, ma non basta.”
Coro unanime degli operatori per maggiore attenzione alla comunicazione al consumatore, in maniera che percepisca i valori che si nascondono in una bottiglia di olio extra vergine di oliva prodotta in collina o in montagna. Ma ci sono anche una serie di criticità legate all’attuazione della nuova Ocm che ha fatto chiudere e rischia di far chiudere decine di OP-organizzazioni di produttori, lasciando migliaia di olivicoltori senza supporto, senza formazione, senza servizi e senza sbocco di mercato per il loro olio extra vergine d’oliva.
“Non sono mancate però le risorse per l’olivicoltura nelle aree marginali, dove sono confluiti più di 200 milioni di euro negli ultimi anni per misure ambientali – ha replicato Sebastiano Forestale, Direzione generale delle politiche internazionali e dell'Unione europea, Olio d’oliva del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste – Siamo ben coscienti che l’olivicoltura preserva dal dissesto idrogeologico e la regimazione delle acque, mission per il quale il PNRR ha destinato il 2% delle risorse complessive.”
Le misure a favore dell’olivicoltura di collina e di montagna esistono ma spesso defluiscono in mille rivoli, disperdendosi e senza un impatto significativo sul tessuto produttivo.
“Bisogna però distinguere tra problemi strutturali antichi, come la competizione con la Spagna, già citata in testi del 1920 e questioni cogenti. Per rilanciare l’olivicoltura italiana potrebbero servire miliardi di euro, risorse che probabilmente non abbiamo – ha affermato Sebastiano Forestale – Questo non significa, ovviamente, che non si può fare nulla. Possiamo ragionare su parametri e requisiti dell’olivicoltura di alta collina e di montagna. Poi si può arrivare anche a un piano che renda organiche le misure a favore di queste aree marginali, magari integrandole con percorsi già individuati. Penso al marchio “Prodotti di Montagna”. E’ certo che non si può assecondare la tendenza all’abbandono. Mi farò portavoce al Ministero di tutte le istanze emerse, sperando di avviare quanto prima un percorso per un Libro Bianco sull’olivicoltura di collina e montagna.”
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