L'arca olearia 09/05/2019

Dal lontano passato per arrivare al futuro: riscoperta la Minuta di Chiusi

Dal lontano passato per arrivare al futuro: riscoperta la Minuta di Chiusi

La Minuta di Chiusi può essere definita un “vegetale fossile vivente” che richiama l’olivo selvatico e potrebbe avere una storia molto antica. Bassa suscettibilità alla mosca, alla rogna e grande resistenza al freddo


Il 4 di maggio, in un convegno bene organizzato e con una notevole presenza, si è svolto a Chiusi (SI) un incontro, tra studiosi, per valorizzare e di far conoscere questa varietà, autoctona del territorio intorno al Lago di Chiusi, con caratteristiche molto particolari.
Un’organizzazione molto curata anche nei particolari con una sinergia tra la Comunità Slow Food per la valorizzazione dell’olivo Minuta di Chiusi, il Comune di Chiusi, alcuni produttori locali e non per ultimo la disponibilità della Direzione del Museo Nazionale Etrusco di Chiusi.

Si sono susseguite varie relazioni e i punti salienti sono stati che la Minuta di Chiusi può essere definita un “vegetale fossile vivente” che richiama, per le caratteristiche della foglia e del frutto, all’olivo selvatico e potrebbe avere una storia molto antica visto la sua bassa suscettibilità alla mosca, alla rogna e una grande resistenza al freddo.

Dagli archivi storici sembra che abbia resistito alle gelate del ’26, del ’56 e del 1985.

E’ una pianta che non ha un’alternanza produttiva ed il frutto, molto piccolo sferico, ha una notevole resistenza al distacco tanto che la polpa si distacca facilmente dal nocciolo e non è raro ritrovare noccioli, senza polpa, attaccati alla pianta.

Si produce un EVO fruttato (valutato tra 4-5) e con un alto livello di polifenoli (valutato come amaro e piccante tra 6-7) ma l’unico difetto, se così possiamo dire, è la bassa resa anche inferiore al 10%.

Quindi è una produzione fatta più per amore della tipicità dei prodotti del territorio che per la convenienza economica.

L’EVO ha un piacevole aroma di cardo, di mandorla ed erbe selvatiche. Nel frutto, che a piena maturazione è nero, in questa fase si abbassano gli aromi del fruttato e dell’amaro mentre quello di erbe selvatiche è sostituito da un aroma di frutti di bosco, come la Cellina di Nardò e, in parte come la Dolce Agogia del Lago Trasimeno.

L’aroma di frutti di bosco, già presente all’inizio, diventa più evidente con la maturazione perché diminuiscono gli altri aromi che lo coprono. Il relatore ha suggerito anche gli abbinamenti con alcuni piatti come i pici con le briciole, le bruschette e crostini toscani, i carciofi e asparagi trifolati, carne chianina, pesce al tegamaccio e il brustico alla griglia.

I relatori hanno confermato che, dalle ricerche con la tecnica che utilizza marcatori molecolari SSr (Simple Sequence Repeats), questa varietà, definita localmente anche Pepini di S. Caterina, è autoctona ed è diversa da altre varietà di Minuta, due della Calabria e una della Sicilia. Ma anche diversa, come impronta genetica determinata dal numero di ripetizioni dei microsatelliti, dalle altre varietà toscane (Moraiolo, Maurino, Leccino…).
Lo studio fatto dall’INVALSA-CNR ha interessato anche 53 caratteri pomologici, alcuni dei quali associati a caratteri biologici ed agronomici. Per questo motivo dal 8/05/2008 è stata inserita nella banca del germoplasma della Regione Toscana ed è una pianta a rischio estinzione.

E’ seguita una relazione del Prof. Maurizio Servili, piena di suggerimenti, anche di riflessioni e con una visione delle problematiche del mondo produttivo sia nazionale che mondiale. Ha ancora una volta proposto che debba essere prevista, a livello internazionale, una classificazione merceologica diversa ovvero sarebbe opportuno produrre un EVO a basso costo (democratico) e un EVO di qualità con parametri più stringenti, sia chimici (es. etil-esteri) che organolettici (es. il fruttato). Non possiamo rincorrere la politica dei prezzi perché, attualmente, in Marocco l’EVO costa 1 dollaro al Kg, quindi saremmo sempre fuori dei costi di produzione. In Marocco viene prodotta la Picholine Marocaine che ha 150 mg/Kg di polifenoli ed è utilizzata come olio lampante. Altrove, con l’EVO da Arbequina, in coltura superintensiva, si produce un EVO con lo stesso valore di polifenoli. Bisogna fare EVO di qualità per una nicchia di consumatori, come la Ferrari, non basta mettere lo scudetto adesivo sulla 500.

La CULTIVAR è TUTTO.

Bisogna ricordarsi che l’estrazione dell’EVO è un processo biochimico e non meccanico, quindi si devono usare impianti a basso impatto sulla mandorla per liberare meno possibile gli enzimi degradativi dei biofenoli, cioè frangitori a coltelli o a dischi. Lasciare il più possibile integro il seme al fine di liberare meno perossidasi e lavorare a basse temperature per ridurre l’azione enzimatica della polifenolossidasi.

Le condizioni operative in frantoio sono cultivar dipendenti, a prescindere che oggi tutte le gramole sono confinate per il controllo dell’ossigeno, quello che incide è la temperatura, cioè ci sono più di 10°C di differenza tra una CV e un’altra per avere condizioni biochimiche ottimali. Oggi con gli scambiatori di calore la fase di gramola può essere ridotta a 10-15’ senza modifiche del prodotto.

Allo stato attuale della produzione facciamo il migliore EVO della storia dell’uomo, è diventato molto importante la GESTIONE DEL FREDDO in frantoio.

In altre parole, si potrebbe refrigerare il frutto prima della frangitura (celle climatiche), o con ghiaccio secco durante la frangitura (non conveniente economicamente) o utilizzare frangitori refrigerati.

Il riscaldamento globale e la raccolta anticipata, determina l’arrivo del frutto al frantoio a una temperatura troppo elevata per avere un prodotto di qualità.

E’ fondamentale la refrigerazione della pasta all’uscita del frangitore in modo rapido, per lo meno per 4-5’ a 17°C, a questa temperatura si sviluppano gli aromi ma viene in inibita l’azione degli enzimi degradativi POD e soprattutto PPO, della quale è ricco il mesocarpo. Gli enzimi dell’aroma hanno un’attività ottimale tra 17 e 22°C.

La maggior parte dei polifenoli che assumiamo con i cibi passa nell’organismo senza fare niente mentre quelli dell’EVO più del 90% sono bioattivi. Abbiamo circa 2,5 gr/ di polifenoli nel frutto ma non si sciolgono nell’EVO, serve l’intervento della beta glucosidasi per separarli dallo zucchero e renderli liposolubili. Il 98% dei polifenoli finisce negli scarti del frantoio.

Per l’EVO ricordo che ci sono 3 claims importanti: acido oleico, polifenoli e vitamina E. Ma gli EVO hanno i polifenoli che vanno da 50 a 1000 mg/kg e per avere un’azione salutistica nell’organismo devono essere presenti almeno 250 mg/Kg.

I composti volatili sono almeno 150, in buona parte sono legati ai difetti solo pochi provengono dalla lox pathway.

Se è estratto l’olio dal frutto con il solvente, l’estratto è inodore perché gli aromi si formano dopo, biochimicamente e non meccanicamente.

Il sistema tecnologico innovativo è nazionale e siamo all’avanguardia sia come modalità di raccolta che di lavorazione.

Il superintensivo ammacca l’oliva ci vogliono a disposizione mega impianti di lavorazione. In Italia ci sono 5500 frantoi dovremmo fare mega impianti per decine di tonnellate/ ora e l’oliva va lavorata subito, ma il mega impianto poi non può lavorare come ora che c’è una rete capillare tarata su misura anche per piccoli produttori.

Due altri punti cruciali sono la filtrazione, che un “male necessario” per dare stabilità all’EVO nel tempo e il packaging. Riguardo quest’ultimo, l’EVO, conservato in bottiglia verde scura, dopo 10 mesi il 95% dei polifenoli sono degradati (partendo da un EVO con 900 mg/Kg). Va studiata una nuova strategia di conservazione, cioè contenitori che possano impedire completamente il contatto con la luce.

La ricerca ha evidenziato che la luce è più deleterie del calore sulla shelf life.
Un altro intervento della giornata, ha mostrato una rapidissima fotografia della situazione produttiva cioè che in Italia sulle 550 cultivar, le più utilizzate sono solamente 80-100 mentre la Spagna le sta incrementando, da poche è passata, a 240 varietà in produzione.

Abbiamo prodotto 175.000 tonnellate nel 2018, ma il venduto è il 30%.

Oggi circa 30-40 paesi stanno producendo EVO. L’Italia produce 1/3 del fabbisogno e del consumo e nel tempo, purtroppo, è diminuito anche il consumo individuale difatti, da 13 Kg pro capite, siamo scesi a 10 Kg.

Oggi il pericolo per il produttore è che se non vende l’EVO, vengono abbandonate le piante. Attualmente l’EVO rappresenta solo il 3% dei grassi consumati, in pratica in questo siamo dei “nani”. Va prodotto un EVO “democratico o standard” a basso costo. Produciamo troppo poco ma anche con una qualità da migliorare. In Italia le aziende produttrici potenziali sono circa 800.000 il 75% con 1 ettaro o due ettari con 300 piante. Le aziende con oltre 30 ettari sono circa 100.000. L’indice di abbandono in Italia è elevato circa l’8%.

E’ stato anche messo in evidenza che l’EVO non serve per bonificare i piatti ma è una strategia nutrizionale. Difatti agisce sulla flora batterica intestinale o MICROBIOTA, rappresentata da miliardi di microrganismi di specie e generi diversi, che popolano le superfici del sistema gastroenterico e che vivono in uno stato di simbiosi, cioè convivenza e interazione, con reciproco vantaggio sia per l’organismo umano sia per le diverse specie di batteri presenti, a partire dalla nascita.

La mucosa intestinale, con il suo microbiota, rappresenta un’ampia superficie di contatto tra l’organismo e l’ambiente esterno, fornendo uno stimolo continuo per il sistema immunitario e influenzandone risposte specifiche.

È stato dimostrato che variazione del microbiota siano in grado di influenzare la funzione di organi e tessuti anche lontani, fino allo sviluppo di patologie come il diabete e forme di malattie autoimmuni. E’ stato ricordato che se consumiamo una porzione di cicoria bollita si digerisce male, ma se aggiungiamo EVO, la digeriamo meglio perché i biocomponenti attivano il microbioma. L’EVO ha un’azione importante sia anti-infiammatoria, sia anti-ossidante in particolare su alcune molecole lipidiche che potrebbero formare l’ateroma occludente, sia disintossicante a livello epato-biliare e non per ultimo come veicolo nell’assorbimento delle vitamine liposolubili.

E’ seguita una visita al museo etrusco, dove sono presenti reperti che testimoniano come già qualche secolo avanti Cristo, quei antichi popoli usavano l’olio di oliva per confezionare essenze e unguenti per la cura del corpo. Negli scavi sono stati rinvenuti semi carbonizzati come testimonianza della coltura di questa pianta e qualora si ritrovassero dei reperti in qualche tomba, ben conservati, si potrebbe confrontare il DNA con quello della Minuta.

Per terminare, ritornando alla Minuta di Chiusi, va fatta la salvaguardia del clone, il recupero degli oliveti abbandonati, la sensibilizzazione degli agricoltori a tornare ad amare questa pianta antica. Per questo progetto, la Condotta Slow Food Montepulciano-Chiusi, la Comunità Slow Food per la Valorizzazione dell'Olivo Minuta di Chiusi, daranno tutta la collaborazione testimoniandolo anche da questo convegno.