L'arca olearia 12/12/2018

L'olio extra vergine di oliva "artigianale" esiste, parola di Chiara Coricelli

L'olio extra vergine di oliva "artigianale" esiste, parola di Chiara Coricelli

Le affermazioni di Chiara Coricelli, in una nota Ansa, denotano ignoranza in materia di leggi sull'etichettatura dell'olio d'oliva, confondendo il rispetto delle norme sulla claffificazione commerciali e quelli sulle indicazioni facoltative in etichetta. Però vi sono anche novità interessanti


Come il vino viene scelto per un perfetto abbinamento al piatto, così l'olio dovrebbe poter essere selezionato per esaltare al meglio il gusto del cibo.

Perché anche l'olio ha caratteristiche diverse per territorio e produzione e quindi peculiarità che non vanno sottovalutate. Ma mentre per il primo l'etichetta "può parlare", spiegare e dare suggerimenti, per il secondo no. Anzi, se lo si fa si rischia addirittura un procedimento penale. Questo perché ogni aggettivo utilizzato in etichetta per descrivere l'olio deve essere comprovato da un certificato che ne attesti il parametro (chimico-fisico o organolettico) e lo stesso deve rimanere stabile durante tutta la shelf-life del prodotto. Obiettivo dei produttori di olio, dunque, è "raggiungere il livello del vino", spiega all'Ansa Chiara Coricelli amministratore delegato dell'azienda di famiglia "Pietro Coricelli", fondata nel 1939 dal nonno a Spoleto, in Umbria, (che nel 2009 ha acquisito il marchio olio Cirio) e che oggi esporta in oltre 110 paesi del mondo per un fatturato stimato nel 2018 in crescita a 130 milioni di euro (di cui 50% dall'Italia, 30% dal nord America e 5% dal Giappone attraverso 6 linee operative).

"L'olio extravergine - rileva la manager - è un prodotto 'vivo', per questo motivo cambia nel gusto e nei parametri chimico-fisici durante la shelf-life, in un certo senso 'invecchia' perdendo nel tempo l'intensità di gusto. Se è possibile determinare i parametri di un olio extra vergine validi per 12 mesi rimanendo nei valori stabiliti dalla legge diventa impossibile quando si parla di aggettivazioni di gusto, anche quando la valutazione viene fatta da professionisti vi è sempre una certa soggettività".

Se si utilizza un aggettivo come fruttato o dolce, secondo la normativa la mediana dello stesso deve rimanere entro un certo parametro, mantenersi identica nel tempo e rilevata come tale da panel test diversi. "Quello che accade spesso oggi è che panel test diversi diano risultati diversi nella classificazione di olio vergine ed extravergine. Con questo metodo di analisi è pertanto impossibile mantenere parametri costanti nel tempo come indica la normativa", continua Chiara Coricelli. "Se mettiamo in etichetta un attributo di gusto che poi ad una valutazione a posteriori non risulta conforme a quanto indicato, magari perchè non è stato conservato correttamente sullo scaffale, andiamo incontro al rischio di frode commerciale". Questo il motivo per cui le etichette sono tutte pressoché identiche sugli scaffali dei supermercati.

Ma un percorso verso un'etichetta come per il vino "sarebbe una crescita culturale", osserva Chiara Coricelli. Sugli scaffali dei supermercati la sfilata di tante bottiglie di olio non aiuta il consumatore nella scelta mentre "lo scaffale dovrebbe essere evoluto, bisognerebbe farlo parlare" spiega la manager osservando che "c'è una grande frammentazione" e ad esempio "un olio artigianale o 100% italiano non è sempre sinonimo di qualità". Quindi "è un problema istituzionale" aggiunge Coricelli suggerendo un "dialogo delle associazioni di categoria con la Grande distribuzione affinchè ci sia una formazione del personale nei reparti a cui chiedere informazioni e dettagli sugli oli" per scegliere quello per "condire la tavola di ogni giorno o nelle grandi occasioni".

Le affermazioni di Chiara Coricelli, così come emerge da questa nota Ansa, denotano ignoranza in materia di leggi sull'etichettatura dell'olio d'oliva poichè vengono posti sullo stesso piano due argomenti che devono essere assolutamente disgiunti: il rispetto delle regole sulla categoria commerciale e l'etichettatura degli oli, più nello specifico le indicazioni facoltative.

Nel testo, in virgolettato, l'amministratore delegato afferma che "è possibile determinare i parametri di un olio extra vergine validi per 12 mesi rimanendo nei valori stabiliti dalla legge diventa impossibile quando si parla di aggettivazioni di gusto." E poi qualche riga dopo: "Se mettiamo in etichetta un attributo di gusto che poi ad una valutazione a posteriori non risulta conforme a quanto indicato, magari perchè non è stato conservato correttamente sullo scaffale, andiamo incontro al rischio di frode commerciale"

Fermo restando che alcuni parametri chimici, come numero di perossidi e soprattutto K270, senza considerare l'acidità per alcuni oli, variano col tempo e il loro andamento può essere influenzato dalla conservazione delle bottiglie, è vero che gli imbottigliatori possono ragionevolmente prevedere che non vengano superati i limiti di legge entro la data indicata come termine minimo di conservazione. Allo stesso modo gli imbottigliatori possono ragionevolmente prevedere se, entro la data indicata come termine minimo di conservazione, possa emergere un difetto organolettico, magari funzione di miscele di oli di diversa qualità, che non permetta più la classificazione commerciale come extra vergine. Questo per quanto riguarda il rispetto delle norme in tema di classificazione commerciale.

Diverso è il caso dell'etichettatura, ovvero l'informazione al consumatore, e più propriamente le indicazioni facoltative in etichetta. In questo caso i valori delle analisi chimiche (acidità, peroissidi, spettrofotometria e cere) devono corrispondere al valore massimo che tali parametri potrebbero raggiungere al termine minimo di conservazione, sulla base del regolamento di esecuzione comunitario 1096/2018. E questo è molto più difficile (quasi impossibile) prevederlo, a meno di non indicare i valori massimi ammessi per la categoria commerciale, con nulli benefici di comunicazione al consumatore. Volendo mettere un valore "parlante" sulla qualità del prodotto in bottiglia, come possono essere dolce o equilibrato in merito al profilo organolettico, occorrerebbe inserire valori dei parametri chimici ben al di sotto della soglia massima della categoria commerciale, non potendo però garantirne il mantenimento per tutta la shelf life del prodotto, esattamente come è per le caratteristiche organolettiche. Il mancato rispetto della normativa, che sia sui parametri chimici o sulle caratteristiche organolettiche, espone, in egual misura, al rischio di denunce per frode in commercio.

Si tratta, ci teniamo a precisarlo, di normative diverse. In materia di classificazione commerciale i regolamenti 1513/2001 e 2568/91 (e successive modificazioni). In materia di infomazione al consumatore ed etichettatura i regolamenti 1169/2011 e 29/2012 (e successive modificazioni).

Come evidenziato dalle argomentazioni poste, il legislatore ha messo su piani diversi, con differenti obblighi, il rispetto delle norme sulla classificazione commerciale e quelle relative alle indicazioni in etichetta. Nel primo caso è ragionevolmente possibile prevedere che, al termine della shelf life, tanto i parametri chimici quanto quelli organolettici rispettino i limiti di legge. Nel secondo caso è molto più difficile che attributi positivi e "parlanti" possano essere dichiarati, informazioni chimiche o organolettiche pari sono, dovendo garantirne la corrispondenza per tutta la vita del prodotto.

Confondere i due piani, da parte di un professionista del settore, è quindi incomprensibilmente grave e serve solo a ingenerare confusione. Qui prodest?

In merito poi all'affermazione "un olio artigianale o 100% italiano non è sempre sinonimo di qualità", in sè è corretta ma è anche incompleta. Sarebbe infatti interessante fare un'analisi di mercato e capire, in rapporto a ciascuna quota di mercato, quanti sono gli oli comunitari, o comunitari-extracomunitari, di qualità in confronto a quelli 100% italiani o artigianali. Se, l'80% degli oli comunitari, o comunitari-extracomunitari, risultasse border line per la categoria extra vergine (come emerso da parecchie indagini giornalistiche) e, esagerando, il 50% degli oli artigianali o 100% italiani, avesse gli stessi problemi è chiaro che l'affermazione di Chiara Coricelli diventerebbe fuorviante, generando scetticismo verso dei prodotti che sono molto più sicuri per il consumatore rispetto a certi blend industriali.

Le affermazioni dell'amministratore delegato, tuttavia, segnano una novità importante nel settore. E' la prima volta che un imbottigliatore riconosce l'esistenza dell'olio artigianale. Finora tale categoria era sempre stata disconosciuta, evidenziandone anzi l'inconsistenza culturale e colturale. Oggi, invece, vi è un riconoscimento di fatto, con in più la novità che a fare tali affermazioni è Chiara Coricelli che, attraverso Francesco Tabano (direttore commerciale Coricelli), è alla presidenza di Federolio, la rappresentanza degli imbottigliatori italiani.

 

di T N

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