L'arca olearia
I misteri del packaging svelati ai produttori d'olio: galline o anatre?

La vendita è un atto che dipende essenzialmente dall’acquisto, dal consumatore, molto spesso sottovalutato. L’efficacia di un contenitore, non si misura con il ‘bello’, ma con l’acquisto, atto unico ed assoluto che determina l’efficienza di una strategia che, senza l’acquisto, costa ma non produce
16 novembre 2018 | Maurizio Pescari
Spesso uso il ‘coccodè’ per spiegare cosa è il marketing, l’ho letto in un libro di Oscar Farinetti (‘Coccodé’ - Giunti Editore). Il quesito è semplice: ‘Perché mangiamo più uova di gallina che uova di anatra, notoriamente più buone?’. La risposta è tutta nel ‘coccodè’ che la gallina usa per annunciare che ha fatto l’uovo. Con un unico verso, la gallina – notoriamente non un fulmine di intelligenza – ci informa su cosa ha fatto e dove lo ha fatto. L’anatra invece le sue uova, molto più buone di quelle di gallina, le depone una volta qui, una là, quando vuole e senza dirlo a nessuno, unica traccia, al massimo, qualche piuma. Questo è il marketing: far sapere cosa si fa.
Individualità - A guardar bene di insegnamenti dal comportamento dei due bipedi ne possiamo trarre un altro, opponendo il vivere in gruppo della gallina, all’individualismo ed alla scontrosità dell’anatra. Valori sociali questi che alla fine differenziano anche chi produce olio, mondo in cui possiamo immaginare una ipotetica divisione tra ‘galline’ ed ‘anatre’: da una parte quelli che fanno ‘coccodè’, spesso indipendentemente dalla qualità dell’uovo/olio, dall’altra quelli che ne producono di molto buono, non fanno ‘coccodè’, si chiudono nella loro scatola e non lo dicono a nessuno.
L'anatra fa cuac – Il bello è che da un po’ si sono messe a fare marketing anche le anatre. Un certo sconquasso l’ha creato un’azienda spagnola, che ha vestito di giallo le sue bottiglie di olio, rendendo protagonista un anatroccolo, con un bel becco arancione ed un nome evocativo: ‘cuac’. Grafica infantile nel tratto vista la destinazione del progetto, i bambini, con un olio ecologico e solidale. Ben inteso, nulla di inventato. L’olio in oggetto è prodotto a Jaén, a ‘Finca de los Patos’ (cuac-aceitedeoliva.com). Apriti cielo. Il dibattito sui social ha visto da una parte gli innovatori, quelli del ‘perché non ci ho pensato io’, e dall’altra i conservatori, a lamentarsi per il mancato rispetto della sacralità del prodotto.
“Siamo troppo abituati – ci dice Gigi Mozzi - a pensare che, per capire qualsiasi elemento sia sufficiente focalizzarci sulle singole parti che lo compongono, sottovalutando l’insieme del sistema a cui questo elemento appartiene. Ecco perché è un po’ limitativo fermarsi a giudicare il pack per il pack, cioè gli elementi grafici, descrittivi o evocativi della confezione e dell’etichetta; questo non è solo limitativo, il più delle volte è ingannevole. Il pack ha una funzione che è quella di collegare l’anello che lo precede a quello che lo segue, cioè trasmettere i valori dell’Immagine e preparare le condizioni della comunicazione. L’anello del packaging, da solo non funziona, o non funziona ovunque”.
“Non si può parlare di packaging - spiega Mozzi - senza parlare degli anelli che vengono prima e dopo. Il packaging è il quarto anello di una catena di sette: il primo anello è la strategia, il secondo è il posizionamento, poi arriva il terzo, l’immagine, che precede il packaging, prima del quinto, la comunicazione, che porta alla vendita, effetto collaterale della settima operazione, quella che chiude la catena, che se resta aperta non ha nessuna funzione, l’acquisto”.
A guardar bene allora, la gallina rispetta tutti gli ‘anelli’ del Mozzi-pensiero: la strategia che fa dell’uovo, prima che del girarrosto, il fine; il posizionamento, sempre la stessa cova nella paglia, che ne ha fatto leader di mercato; l’immagine, fatta di genuinità, bontà e semplicità; il packaging, l’uovo è perfetto, bellissimo; la comunicazione, con il ‘coccodè’; la vendita, che grazie all’acquisto ha dato all’uovo di gallina il monopolio delle frittate.
L'olio e lo scaffale - Ma se la gallina ha costruito un monopolio e l’anatra in Spagna comincia a parlare, in Italia la situazione qual è. Gli scaffali nei negozi, piccoli, grandi o troppo grandi, cosa comunicano? Lo abbiamo chiesto ad Alfredo Renzetti, titolare di Trade-mkt-lab, che da trent’anni svolge attività di consulenza per la Gdo. Il quadro che disegna del settore da un lato può apparire difficile, ma dall’altro offre possibilità operative:
“Oggi nella Gdo manca davvero qualità nel packaging; esiste un gap notevole tra la prospettiva di valorizzazione di alcuni prodotti importanti e la realtà odierna. Spesso si vedono contenitori molto spartani, ancorché attraenti, che confermano come in questo ambito si lavori molto sul prezzo, dovendo tagliare, si preferisce farlo sulla creatività e sui costi dei materiali.
Questo stato delle cose lascia però spazio ad un ottimista che vuol farsi vedere?
“Certamente sì, soprattutto nell’olio dove c’è un totale appiattimento, si assomigliano tutti, i prodotti di qualità superiore e quelli di posizionamento diverso. È sempre molto difficile vedere aziende che vogliono distinguersi al punto da creare una propria identità di prodotto”.
Ma se è questa la situazione, visto che nessuno ci ‘lavora’, che valore ha il packaging sul mercato. Che valore ha la semplicità di una bottiglia squadrata rispetto alla visibilità di una colorata o in ceramica, o in metallo o in plastica, con il becco d’anatra?
“Così, a memoria, - chiude Mozzi - non si è mai visto che una confezione di olio, con la sua bella bottiglia e la sua simpatica etichetta, sia riuscita a trasmettere l’idea di cosa è l’olio e cosa fa (posizionamento) e che rispettando l’immagine, cioè come lo raccontiamo, abbia sostenuto un contenuto preciso, arrivando a dare una comunicazione persuasiva, cioè capace di predisporre la vendita”.
Acquisto - La vendita è un atto che dipende essenzialmente dall’acquisto, dal consumatore, molto spesso sottovalutato. L’efficacia di un contenitore, non si misura con il ‘bello’, ma con l’acquisto, atto unico ed assoluto che determina l’efficienza di una strategia che, senza l’acquisto, costa ma non produce. Alla resa dei conti, spesso, la costruzione di un’immagine vede preferire il concetto di bellezza a quello di efficacia. Sintesi di un processo troppo spesso determinato dal gradimento del produttore o del creativo, raramente valutato sul cliente finale, il vero ed unico responsabile dell’acquisto. Nell’olio accade ciò anche perché chi crea, disegna, sceglie un contenitore o un’etichetta, in realtà non si veste quasi mai da ‘cliente’ e a volte non ha mai comperato una buona bottiglia di olio scegliendola dallo scaffale. Alla resa dei conti, anche per l’olio, è giunta l’ora di fare ‘cuac’?
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