L'arca olearia

DOPO LA SASSO, ANCHE LA CARAPELLI DIVENTA PROPRIETA’ DEL GRUPPO SPAGNOLO SOS. E’ LA FINE DI UN PERIODO D’ORO PER IL COMPARTO OLEARIO ITALIANO?

Abbiamo perso due marchi storici senza far nulla, nel più totale silenzio. E’ la legge del mercato – c’è chi vende e chi compra – su cui non si discute. Nulla da recriminare, intendiamoci. Ciò che sorprende, semmai, è la latitanza da parte di un Paese che purtroppo inizia a sperimentare una stagione di lento ma inesorabile declino

14 gennaio 2006 | Luigi Caricato

Lo si sapeva da tempo. C’erano trattative in corso; e sapevamo già che sarebbero andate in porto, perché la Spagna è un Paese determinato e sull’olio di oliva (e non solo) sta puntando oramai da alcuni anni con grande intelligenza e fervore.

In Italia si perde via via terreno, anche se solo in pochi se ne rendono conto.
Avete però notato – immagino – l’assordante silenzio delle associazioni di categoria?
Mi riferisco in particolare a quelle dei produttori olivicoli.
Prima – soprattutto alcune di loro - cavalcavano l’onda; tanto che ad ogni inizio e fine campagna olearia scorrazzavano con informazioni enfatiche sui principali media: il grande olio italiano, il grande olio italiano... produzioni record, produzioni eccellenti... il grande olio italiano, il grande olio italiano...
Ora però sull’olio tacciono.
Forse che con il silenzio si evitano riflessioni amare?
Attendiamo una risposta da parte degli interessati; qualora avessero argomenti, ovviamente.

Certo è che con la perdita prima di Sasso, poi di Carapelli, si apre una corsa all’acquisizione di altre aziende.
La Spagna non desiste e chissà se non cederemo anche gli oliveti.
Tutto è possibile, ormai. Di fronte a un ministero agricolo inattivo, c’è da aspettarsi anche l’inverosimile.

Queste brevi indicazioni non intendono esprimere un’analisi della questione, a cui però rimandiamo con altri articoli, ma lo faremo solo dopo aver percepito una qualche reazione da parte degli addetti ai lavori, visto che ancora permane un silenzio generale senza precedenti, come se non fosse accaduto nulla di sconvolgente.

Si ha come la sensazione che vi sia uno scoramento, per cui nulla si dice e nulla più si pensa; ma si avverte pure un’altra sensazione, ancora più tremenda, ancora più grave: ed è come se la perdita di due marchi storici, appartenenti a due aziende di marca, non riguardi in alcun modo gli olivicoltori e i frantoiani d’Italia.

Eppure le aziende agricole non possono fare a meno delle aziende di marca. Si tratta in fondo di una filiera, e immaginare una filiera monca è assurdo.
Purtroppo, a causa dell’opera di disinformazione attuata metodicamente da taluni soggetti, si è sempre voluto considerare le aziende di marca quali dirette nemiche dei produttori, creando solo pregiudizi.

E’ ovvio che ciò si è potuto verificare senza alcuna difficoltà per via della naturale chiusura a riccio di alcune categorie, storicamente poco propense al confronto e alla riflessione. La scarsa o nulla democrazia all’interno di certi organismi ha fatto il resto; e ora intanto ci troviamo, com’era prevedibile, con una perdita d’immagine considerevole. La perdita di due prestigiosi marchi storici ha un significato diverso se questi vengono acquisiti dalla Spagna, piuttosto che da una multinazionale. Comunque, quanto è accaduto è un dato di fatto su cui non ha più senso indugiare: in fondo la Spagna ha tutte le carte in regola per gestire al meglio, e a proprio vantaggio, l’immagine vincente dei marchi in questione.



Noi in Italia ci siamo persi dietro alle Moc, acronimo di Macro organizzazioni commerciali, le quali non hanno certamente conseguito, sul fronte dell’olio di oliva, quanto si pensava di ottenere. Il fallimento di queste Moc è un chiaro sintomo della scarsa capacità, da parte dell’Italia, di affrontare con successo il comparto olio di oliva. Di conseguenza, l’acquisizione di due nostri marchi storici da parte della Spagna è il chiaro segno di una assenza di progettualità nel nostro Paese.


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