L'arca olearia

Olivi in Val di Susa: quando si pregava alla luce dell’olio delle Alpi

Nel circondario di Susa, l'antica Segusim romanica, l'olivo ha resistito, per secoli se non millenni, dimenticato e ignorato. E’ pensabile quindi che le prime produzioni di olio alpino, non fossero utilizzate come alimento, ma entrassero nelle funzioni religiose

06 novembre 2015 | Alessandro Biancat, Ivano Foianini, Samanta Zelasco, Sergio Enrietta, Stefano Bazzini

La culla dell’olivo è il Mediterraneo e quando si pensa a questa specie, si pensa al mare, al caldo e alla siccità, difficile concepire tale pianta crescere sulle pendici delle Alpi. Tuttavia sempre più oliveti stanno nascendo oltre il 45 esimo parallelo in ambienti apparentemente inospitali rispetto alle esigenze biologiche della specie.

Escluse le aree attorno ai grandi laghi del Nord Italia, che sin dall'epoca romana sono considerate zone olivicole, nelle quali si producono oli con elevate caratteristiche organolettiche e gustative, è idea comune che altro spazio non ci sia per l'olivo, almeno quello dalle radici millenarie.

Difficile stabilire quando e per quale via, l'olivo sia arrivato nel Nord Italia, però molti reperti e testimonianze raccontano che a partire dal XII secolo furono alcuni religiosi i principali responsabili delle bonifiche sui versanti assolati delle Alpi con la vite, il fico e l’olivo.
L’olivo per la dominante cultura Cristiana ha un grande significato e questo farebbe supporre la storica spinta alla sua diffusione.
E’ pensabile quindi che le prime produzioni di olio alpino, non fossero utilizzate come alimento, ma entrassero nelle funzioni religiose o servissero principalmente a illuminare le tenebre all’interno di antichi monasteri.

Alla luce di queste considerazioni che ancor di più si addicono alla Valle di Susa, da sempre punto di transito, nonché di conseguenza, luogo di incontro-scontro di culture e civiltà, uniti ad una particolare conformazione geografica Est-Ovest, che fanno si che l'illuminazione solare privilegi in modo particolare il versante alla sinistra orografica della Dora, fino a farne un'enclave di flora mediterranea, con mandorli, ginepri, rosmarini, asfodelo ed opuntie.
Proprio qui, e precisamente nel circondario di Susa, l'antica Segusim romanica, l'olivo ha resistito, per secoli se non millenni, dimenticato e ignorato.

Proprio qui su queste balze un tempo fiorenti, ed ora, miseramente abbandonate, sono state ritrovate delle antiche ceppaie che sono la testimonianza certa di una antica olivicoltura.
Susa, Mompantero, Giaglione, Gravere, Foresto, sono i comuni sul quale esistono approssimativamente almeno 50 ceppaie di olivo che date le dimensioni, meritano di essere indagate.
Si tratta di ceppaie di cui si è totalmente persa la memoria, non esistono al momento testimonianze storiche relative a questi olivi, quei pochi reperti scritti parlano di olivi piantati nel 1800 di cui alcune piante ancora presenti ma di tutt’altre dimensioni.

Il gruppo di studio degli olivi alpini: da sinistra Ivano Foianini, Samanta Zelasco, Stefano Bazzini e Sergio Enrietta, lo scopritore delle antiche ceppaie in Val di Susa

Tuttavia la Storia ci viene incontro nell’ipotizzare l’origine di queste antiche ceppaie:
Non dimentichi che la Valle fu oggetto di transiti Romani verso le Gallie, citata da Cesare nel “De Bello Gallico”, inoltre lo storico Arco di Augusto di Susa porta a tempi in cui la cultura dell'olio di oliva ha vissuto forse i suoi tempi migliori.

Ma non fermiamoci tanto lontano e veniamo più vicini a noi:
Nell'anno 726 il governatore rappresentante del regno Franco dei territori sui due versanti delle Alpi, dispose la fondazione dell’abbazia della Novalesa, proprio a circa 8 km da Mompantero Susa e Giaglione.
Questa abbazia molto importante in passato, perché controllava il transito del Moncenisio, aveva possedimenti oltre che nei territori che ospitano le antiche ceppaie, anche oltre le Alpi e precisamente: Grenoble, Vienne, Briancon, Gap, Embrun, Arles, l'ultima località ancora oggi zona olivicola, nota per essere vicina al punto di sbarco dei Greci che qui, prima che a Roma, portarono l'olivo.
Verso il 987 sorse il monastero della Sacra di San Michele, proprio all’imbocco della Val di Susa, con possedimenti estesi oltre che nel territorio circostante, anche a Ivrea, nel Gargano, nella Catalogna, nella Francia meridionale, e nella valle del Rodano.
Verso il 900, i Saraceni provenienti dalla Provenza, dominarono la valle per quasi cento anni, ora la storia li descrive molto negativamente, però furono loro a popolare di olivi l'Andalusia, e se visitiamo l'Alhambra di Granada o la moschea di Codoba viene difficile individuare i veri barbari.
Nel 1029 circa venne costruita a Susa l'abbazia di San Giusto.
Mentre dai pressi di Gravere, verso l'alta valle e il Delfinato (ora Francia) dominarono dal 1050 circa, al 1713, i conti di Albon, provenienti da Vienne (Francia).
Inoltre tra il 1100 e 1200 vennero fondate comunità monastiche nella valle di Susa appartenenti a diversi ordini religiosi quali Agostiniani, Certosini, Gerosolimitani, Francescani, nonché i Templari.

Con tali premesse non dovrà stupire se gli olivi ritrovati sono cimeli storici.
Riportati alla ribalta da Sergio Enrietta, olivicoltore amatoriale della Val di Susa, si sta ora indagando per cercare di risalire all’origine e studiarne le caratteristiche agronomiche.
A tal proposito, stanno lavorando Samanta Zelasco del CREA-Centro di Ricerca per l’Olivicoltura e l’Industria Olearia di Rende (CS), Ivano Foianini della Fondazione Fojanini di Sondrio e con grande passione ed entusiasmo, Stefano Bazzini giovane a appassionato olivicoltore del Biellese e Sergio Enrietta che di questi olivi ha tenuto memoria visiva sin da bambino.
Il primo passo è stato cercare di individuare le ceppaie e dare loro una posizione geografica, raccogliere dei campioni fogliari per i test del DNA e infine cercare di moltiplicare queste piante per verificarne il comportamento in campo, verificare la resistenza al freddo ed alle malattie, osservarne le produzioni, le rese, e la qualità dell’olio.
Le località oggetto dello studio sono la zona di Mompantero frazione San Giuseppe dove sono presenti una quindicina di ceppaie alcune di notevoli dimensioni: tutte le piante presentano foglie di colore verde intenso, lucide, nessuna presenza di occhio di pavone, buona mignolatura e discreta presenza di olive.
La località Giaglione, con diverse ceppaie sparse, ed un boschetto di olivi posto sopra le case della frazione Santo Stefano, le cui foglie e forme, hanno analogie con quelle di Mompantero.
Le piante di Gravere frazione Morelli, situate a una quota superiore a 700mt slm, presentano foglie più piccole, colore grigio argenteo, presenza di occhio di pavone, buona mignolatura e buona presenza di olive.
Quelle di Gorge della Dora, le più vicine in linea d'aria a quelle di Gravere, hanno foglie grigio argentee, presenza di occhio di pavone, discreta mignolatura e presenza di olive.
Altre ceppaie in località Foresto.

Le indagini genetiche condotte su 28 ceppaie, hanno messo in evidenza che 21 accessioni sono riconducibili alla varietà Frantoio, tre delle quali sono varianti genetiche. Sette ceppaie invece, guarda caso proprio quelle prossime al vecchio confine col Delfinato (ora Francia) sono strettamente imparentate con la cultivar francese Aglandau.
Le ceppaie che corrispondono geneticamente alla varietà Frantoio sono state campionate nelle località Foresto, Goje, Mompantero, Giaglione (frazione Santo Stefano) (tutte località da sempre sotto dominio di entità legate alla penisola Italica) e trovano corrispondenza anche con la descrizione morfologica.
Analogamente le 7 ceppaie geneticamente vicine alla varietà francese, sono morfologicamente simili tra loro.
La presenza di varietà note e/o accessioni geneticamente simili, quindi probabilmente derivanti da mutazioni somaclonali indica la presenza di un’olivicoltura antica, ove con grande probabilità le popolazioni presenti hanno moltiplicato e coltivato le varietà più resistenti alle avversità del clima montano.
La presenza di antichi terrazzamenti riscontrati nei luoghi oggetto di studio costituiscono un’ ulteriore testimonianza di questa antica olivicoltura. Inoltre le indagini storiche relative agli insediamenti monastici e alle dominazioni di questi territori supportano la corrispondenza tra provenienza geografica e identità genetica delle accessioni.
Quanto fatto fino ad ora non è certo un lavoro esaustivo in quanto probabilmente altre ceppaie sono ancora presenti in zona, meritevoli di essere indagate. La presenza di queste ceppaie come probabilmente altre distribuite sull’arco alpino sono la testimonianza certa della presenza dell’olivo sulle Alpi. Piante che con mille difficoltà hanno superato secoli, intemperie, incendi, animali e incuria dell’uomo e nonostante tutto sono ancora lì come monumenti alla memoria.

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