L'arca olearia

I veri numeri dell'Italia olivicolo-olearia: né vinti né vincitori

Nel 2013/14 i frantoi hanno molito meno che nella scorsa campagna olearia. Imbottigliatori e industriali hanno importato meno olio. E' solo una congiuntura negativa oppure siamo arrivati alla crisi strutturale del sistema? Abbiamo già toccato il fondo oppure dovremo iniziare a scavare?

20 giugno 2014 | Alberto Grimelli

Tradizionalmente, nel corso dell'Assemblea dell'Associazione italiana frantoiani oleari, che si è tenuta a Catania il 13 e 14 giugno, vengono presentati i dati Agea, relativi al registro Sian, sulla produzione e sul commercio oleario italiano.

Si tratta dei numeri che vengono comunicati dagli operatori e non delle stime potenziali dell'Istat o dell'Ismea.

Se si vuole capire le criticità del sistema, insomma, bisogna necessariamente partire da qui.

Diminuisce la produzione nazionale con il record negativo di 324 mila tonnellate nel 2013/14. Considerevoli cali produttivi, dal 13 al 27%, sono stati registrati in tutte le principali regioni olivetate italiane, a partire da Puglia, Calabria e Sicilia. In queste tre regioni l'anno scorso si è concentrato il 73% della produzione nazionale con la Puglia a dominare la scena con 166 mila tonnellate. Un calo vistoso, dovuto ad un minor carico di frutti ma anche a rese in olio che sono state di 1-2 punti inferiori rispetto all'anno passato, complice le abbondanti piogge di novembre e dicembre. In controtendenza rispetto al dato nazionale Abruzzo, Basilicata, Umbria, Liguria e Molise che, insieme, rappresentano circa l'8% della produzione nazionale.

Con simili produzioni è lecito attendersi giacenza pari a zero all'inizio della prossima campagna olearia. Apparentemente un dato positivo, in realtà, il calo della produzione denuncia un abbandono degli oliveti da parte della “vecchia” generazione che non viene sostituita dalle nuove leve che faticano a trovare un minimo di redditività nel settore olivicolo. Allarmante che il calo produttivo colpisca sia il sud, dove le quotazioni a inizio campagna erano obiettivamente molto basse (2,85 euro/kg per l'olio, 45 euro/qle per le olive), ma anche al centro nord dove si riusciva a spuntare prezzi più che doppi ma dove i costi di produzione sono molto più elevati e le produzioni a pianta molto più basse.

In un simile contesto i frantoiani, l'Aifo ormai rappresenta il 25% dei mastri oleari italiani, non si vogliono arrendere e cercano un proprio spazio per crescere. Molto sentito il tema della sburocratizzazione e alleggerimento fiscale (abolizione della D.L 194 a favore delle ASL per i controlli nelle aziende agro alimentari e l’abolizione della tassa versata a favore di SSOG) e della semplificazione amministrativa (revisione dei codici Inail e concertazione dei controlli) ma anche la certezza del diritto a partire da etichettatura, tappo antirabocco, oli monovarietali e condimenti. Elementi concreti per la propria categoria, lanciando però lo sguardo anche oltre il proprio orticello. Di particolare impatto la richiesta di modifica al Codice dei Beni Culturali per rendere indennizzabili i vincoli paesaggistici che limitano le coltivazioni e conseguentemente i redditi delle imprese agricole oppure la richiesta di una maggiore sostegno all'olio italiano, qualificando come tale solo quello prodotto da olive italiane. Non sono mancate neppure le autocritiche, in particolare in tema di sostenibilità ambientale, chiedendo misure appropriate, nei Psr, per la tutela ambientale: raccolta delle acque meteoriche, sicurezza alimentare, sicurezza dei luoghi di lavoro, antincendio.

Mentre i frantoi italiani cercano un rilancio del settore olivicolo del paese, imbottigliatori e industriali, stando almeno ai dati, hanno scelto la strada dell'estero, facendo transitare sempre meno olio dall'Italia e imbottigliandolo invece già nei mercati di destinazione, grazie a sedi o società costruite ad hoc.

Così si spiega il calo delle importazioni di olio dall'estero che scendono a 245 mila tonnellate negli ultimi 11 mesi, contro le 286 mila dell'annata precedente. Più che dimezzate rispetto all'anno passato le importazioni dalla Grecia e dalla Tunisia.

Un cambio delle rotte dell'olio che segue le quotazioni. Oggi, con prezzi all'origine anche sotto i 2 euro/kg, è la la Spagna il mercato più conveniente dove approvvigionarsi, seguito dalla Tunisia con quotazioni di 10-15 centesimi superiori a quelle iberiche, e poi dalla Grecia che sfiora i 3 euro/kg.

Non tutto l'olio prodotto o importato nel nostro paese viene poi imbottigliato. Negli ultimi 11 mesi, sono stati confezionati 532 mila litri d'olio, di cui 134 mila di italiano. Quindi solo poco più del 30% della produzione nazionale viene venduta imbottigliata, la maggioranza è destinata all'autoconsumo.

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ferdinando de marte

27 giugno 2014 ore 17:07

In Italia negli anni 80/90 esistevano 20 raffinerie di olio di oliva , poi li abbiamo combattuti dicendo che le raffinerie imbrogliavano con conseguenti ripercussioni negative sul mercato, oggi ci siamo ridotti con una sola raffineria perchè intanto all'estero hanno proliferato e il raffinato lo importiamo, non contenti abbiamo incominciato a combattere i grandi marchi di confezionamento costringendo anche questi a fuggire all'estero con i propri stabilimenti. Adesso i produttori non riescono a vendere più il loro prodotto, ritengo che ognuno debba fare il suo lavoro e comunque se gli olivicoltori voglio vendere l'olio di oliva?si organizzino in consorzi piccoli o grandi e inizino a confezionare e distribuire nel mondo il vero olio italiano.