L'arca olearia
Il futuro della ricerca scientifica è in rete. E poi? Speriamo sia femmina
Non è possibile pensare solo alla scienza italiana. E' vero che aziende, privati e politica devono ricominciare a finanziare l'innovazione, ma con sinergie internazionali. “Considerando una ipotetica frode – ci spiega Tullia Gallina Toschi - che abbia una matrice italiana-spagnola (rigidamente in ordine alfabetico) non crede che utilizzare lo stesso tandem per combatterla sia più efficace che lavorare separatamente?”
07 marzo 2014 | Alberto Grimelli
L'Italia olivicolo-olearia è ferma. La ricerca fatica a trovare risorse e produrre così risultati applicabili in campo, in frantoio e in laboratorio.
Nelle nostre Università vi è anche un altro settore bloccato, quello femminile.
I due destini si incrociano? Come far ripartire il motore del nostro Paese? Quale può essere il contributo delle ricercatrici e della ricerca in rosa? Come salvaguardare gli interessi nazionali in un contesto che vede sempre più finanziamenti transnazionali?
Lo abbiamo chiesto a Tullia Gallina Toschi, Professore Associato, Presidente del Comitato Unico di Garanzia per le Pari Opportunità dell'Università di Bologna, esperta di analisi e tecnologie degli alimenti e co-editor dell'Italian Journal of Food Science.
- Scienza e ricerca. Tutti termini femminili. Ma esiste davvero una ricerca scientifica in rosa? Oppure i rigidi canoni (materiali e metodi) rendono la ricerca asessuata?
Se esiste una declinazione di genere nulla, neppure la ricerca, può essere asessuata. Sul piano strettamente tecnico, si parla di gender dimension. E' come un "caso" da considerare in un piano sperimentale. In pratica, in qualunque ricerca, si dovrebbe prendere in considerazione se il genere incide e quanto. Le faccio un esempio noto ai suoi lettori, l'analisi sensoriale. Nella scelta degli assaggiatori il genere, così come l'età, la provenienza geografica e molte altre variabili hanno una rilevanza non certo secondaria. Un gruppo solo femminile darà probabilmente risultati diversi da quelli forniti da un gruppo solo maschile. Il genere ha una influenza che dovrebbe essere nota e quindi considerata o indagata, ma che spesso non viene considerata. Questo per rispondere alla sua domanda sul "sesso" della ricerca, specificando peraltro che caratteri sessuali primari e/o secondari ed identità di genere non sempre coincidono, ma qui, credo, entreremmo in un discorso ancora più complesso.
Se invece la sua domanda è più tendenziosa e pone la questione se c'è una squadra per cui tifare, se questa squadra è più adatta o rappresentata in una o in un'altra disciplina, non cado nel suo tranello. Le donne sono bravissime da sempre in tutte le discipline, sono, spesso, le studentesse migliori. Le ricordo che l'unico scienziato al mondo ad aver preso il premio Nobel in due discilpine diverse è stata Maria SkÅodowska-Cuirie (se non si considera Pauling, che però il secondo l'ha preso per la pace). Per arrivare all'oggi, senza voler citare moltissime colleghe che lavorano come me alla ricerca con ottimi risultati, le posso parlare di una grandissima sotto i riflettori, Fabiola Giannotti ricordandole il suo ruolo al Cern negli esperimenti che hanno portato alla conferma dell'esistenza del bosone di Higgs. Le donne possono eccellere quanto e più degli uomini, in tutte le discipline. Se i dati di distribuzione dei ruoli sono ben altri è utile che rileggiamo le ragioni nei libri di storia e di sociologia e valutiamo su quanti campi le donne devono (e vogliono) giocare.
- Però nel panorama scientifico nazionale sono poche le donne ricercatrici, meno ancora le docenti, di olivo e olio. Secondo lei perché?
In realtà le donne ricercatrici sono quasi lo stesso numero degli uomini ricercatori, il problema è dopo. Si abbassa la percentuale di ricercatrici che diventano docenti di seconda fascia e ancora di più di prima fascia. Poi si osserva, non solo nella ricerca, uno spaventoso calo ai vertici. Le donne ai vertici sono poche, se non riescono a "sfondare" subito, poi faticano e ci mettono molto tempo ad avanzare. Se i dati di distribuzione dei ruoli sono questi è utile che valutiamo su quanti campi le donne devono (e vogliono) giocare. E poi c'è un problema ancestrale di mancanza di empowerment, di non piena consapevolezza delle proprie capacità, una sorta di non sufficiente autostima, mescolata ad uno strisciante senso di colpa. Se le donne credono di trascurare altri aspetti della loro vita per il lavoro, spesso rinunciano agli avanzamenti. E infine c'è la grandissima difficoltà causata da uscite e rientri, dopo un parto, un problema familiare, una separazione. Oltre all'aspetto psicologico le donne si fanno, in genere, più carico, in questi casi, delle riorganizzazioni. Le donne vivono, nel lavoro, silenziosamente e con grande fatica, dei momenti di massimo coinvolgimento e dei momenti in cui vengono messe o si mettono dolorosamente ai margini.
- Pari opportunità e quote rosa. Sarebbe utile prevedere un minimo di donne nella ricerca scientifica italiana? Non si rischia di costruire un ghetto femminile? Che fine farebbe la meritocrazia?
Ribadisco: le donne ci sono nella ricerca italiana. Il problema riguarda l'avanzamento delle donne ai vertici. Non amo particolarmente le quote rosa, mi sono sempre sembrate tabelle aperte, campi da finire di compilare all'ultimo minuto, per ridurre un divario incolmabile. Chi le compila? Con che criterio? Tuttavia, in molti casi, o perlomeno fino a quando il sistema non troverà , naturalmente, un equilibrio diverso, utilizzare con attenzione i bilanci di genere e mettere in atto azioni di controllo e verifica per valutare che le donne siano presenti in percentuale sempre crescente, è necessario. Più che puntare sulle quote (che, sottolineo ancora, possono avere sicuramente un significato in una situazione poco avanzata di equità di genere, come strumenti di emergenza) bisogna mettere in campo delle azioni di rimozione degli ostacoli al reclutamento e alla progressione di carriera delle ricercatrici. E' su queste linee che lavorerà il Comitato unico di garanzia per le pari opportunità dell'Università di Bologna.
- Ha ancora un senso parlare di ricerca italiana? Con le ristrettezze dei bilanci nazionali ci si affida sempre più a progetti comunitari che però prevedono un lavoro di gruppo, transnazionale.
La ricerca eccellente è in rete. Non esiste una ricerca nazionale avulsa dal mondo. Io cerco di usare sempre immagini a scopo esplicativo o didattico. Quella che vede è la foto della conferenza di Solvay del 1927. E' un'immagine emblematica che riunisce alcuni protagonisti dell'esplosione di conoscenze che hanno portato alla chimica ed alla fisica come oggi le conosciamo. Già allora la ricerca era un campo aperto.
Quindi va benissimo che esistano progetti comunitari ma l'Italia e le imprese nazionali devono comunque ricominciare a finanziare la ricerca anche in modo autonomo e più deciso. E noi ricercatori dobbiamo fare rete e coordinare le ricerche. In questo, la politica ed il tessuto produttivo ci possono e ci devono aiutare.
- Il futuro dell'economia si baserà sempre più sul sapere e quindi sulla ricerca. Come fare gli interessi nazionali se le ricerche sono transnazionali?
Gli interessi nazionali si fanno con delle buone politiche nazionali e finanziando la ricerca. Si fanno riducendo la depressione diffusa e quotidianamente alimentata ed imparando ad essere un po' più fieri del nostro Paese. In visita a York, due settimane fa mi sono meravigliata - ma ero pur sempre nella vecchia e orgogliosa Inghilterra - di quanto spesso utilizzino la parola PROUD. Sono fieri del nuovo aeroporto, della stazione ristrutturata, sono fieri della mensa, sono fieri dei consigli che elaborano e attaccano sulle bacheche, perchè si lavori meglio ed in modo più efficiente. Gli inglesi si promuovono dall'interno, anche se, in quel momento, erano colpiti dall'alluvione che ha provocato gravissimi danni, come da noi. Noi viviamo nel lamento, abbiamo mille parrocchie, l'olio si inserisce bene in questo panorama.
Qualunque cosa si faccia, si sa che il primo rischio è di essere strumentalmente attaccati. Noi italiani siamo eccellenti nel lavoro, accade che veniamo scelti a dirigere le ricerche perchè siamo instancabili e non di rado poi siamo colpiti da fuoco amico. In queste condizioni la fatica è sempre doppia o tripla. Ma, se è per la ricerca, ne vale comunque la pena.
- A volte questi diversi interessi si manifestano anche in obiettivi di ricerca diversi? Per esempio quantità in Spagna e qualità in Italia? Può esserci una strategia di ricerca europea?
Anche dagli ultimi bandi Europei emerge una evidenza assoluta. Il mondo globale è aperto. C'è esportazione ed importazione. Lo scandalo che colpisce un Paese Europeo si estende poi su tutta Europa. La qualità non può essere decisa da un solo Paese. Io non posso mangiare un olio più sano se viene dal Paese A e meno sano se viene dal Paese B. Ci devono essere degli standard condivisi. Se non c'è armonizzazione, è facile che un Paese dentro o fuori dalla Comunità, non vedendo rispettati i propri standard rifiuti un prodotto, ne parli male e questo può poi danneggiare tutto il settore.
Dobbiamo fare lo sforzo di lavorare insieme e l'Italia deve puntare su ciò che è qualitativamente da valorizzare e tutelare (qui l'aiuto concreto del mondo produttivo darebbe grandi risultati) per poi condividere e divulgare gli standard di qualità scelti. Se non sono riconosciti dalla comunità internazionale che standard sono? Bisogna essere protagonisti della ricerca europea e mondiale, è questo il punto; essere credibili, presenti, riconosciuti. Il Made in Italy lo vuole tutto il mondo, abbiamo (e abbiamo avuto, basti pensare ad Olivetti o alle tante aziende oggi a rischio) delle eccellenze straordinarie, cerchiamo di tutelarle un po' di più e di andarne anche un po' più fieri.
- Frodi (es. deodorato) e origine (es tracciabilità). Quali dei due temi è prioritario per l'Italia?
La frode è un dolore acuto che può essere mortale. Danneggia il nostro mercato alimentare in modo spaventoso. Azzera le ricerche fatte. Atterra. Bisogna combatterla con determinazione, bisogna essere in prima linea su due fronti. Quello della lotta alle frodi e quello della lotta alla cattiva divulgazione e agli scandali gonfiati. Abbiamo avuto due casi recenti di attacco all'olio italiano, quello del New York Times e lo scandalo di Taywan. In questi casi che cosa fa il nostro Paese? Comincia ad interrogarsi a dare delle colpe, a lamentarsi, si divide, si piange addosso. Ed alla fine non fa nulla. E invece, semplicemente, dovrebbe potenziare la lotta alle frodi, finanziare la ricerca interna, raccontare al mondo che l'Italia pubblica metodi per il controllo, divulgare i tantissimi controlli che si effettuano ogni giorno, verificare se gli scandali citati sono motivati o funzionali. Nel primo caso perseguire solo chi ha compito le frodi e difendere il mercato onesto, nel secondo caso avviare decise campagne di rettifica. I tentativi di frode ci saranno sempre, purtroppo. Possiamo però impegnarci al massimo per ridurli e smetterla di fare di tutta l'erba un fascio!
Tra deodorato ed origine non so dirle cosa colpisca più l'Italia. L'origine incide fortemente perchè all'estero, nonostante tutto, ciò che è italiano vende. E questo genera una tentazione grandissima per i frodatori (non sono solo italiani). La deodorazione blanda riguarda oli che necessitano di una correzione fraudolenta delle caratteristiche sensoriali. Da un lato forse è un problema più per la Spagna, dall'altro però, dato che l'Italia imbottiglia anche oli comunitari, è un problema anche per noi.
Vede, considerando un' ipotetica frode che abbia, ad esempio, una matrice italiana-spagnola (rigidamente in ordine alfabetico) non crede che utilizzare lo stesso tandem per combatterla sia più efficace che lavorare separatamente?
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