L'arca olearia
E' MAGGIO E SULLE TAVOLE DEGLI ITALIANI POTREBBE ARRIVARE L'OLIO NOVELLO. DAL CILE PER ESEMPIO
La minaccia del cosiddetto Nuovo mondo ora si estende, dopo i vini, anche agli oli extra vergini di oliva. In questi giorni è infatti possibile degustare l’olio appena franto. Se immesso con successo e tempestività sul mercato può destabilizzare le nostre produzioni. Anche quelle di pregio. E’ un rischio concreto e prossimo? La nostra leadership commerciale all'estero non è eterna e inviolabile
14 maggio 2005 | Luigi Caricato
Sugli allori non si può rimanere certo per molto tempo. La storia è fatta di ascese e ricadute e nulla è così scontato come si è abituati per comodità a ritenere. In una società globalizzata come lâattuale, tutto diventa ancora più complicato. Lâho  ampiamente dimostrato in una mia inchiesta pubblicata lo scorso aprile sullâannuario 2005 di âEnotriaâ.
âItalia e nuovi competitors: una sfida tra extra verginiâ, era questo il titolo.
Ora riprendo il tema con unâintervista ad Antonio Cimato, ricercatore presso lâIvalsa, lâIstituto del Cnr per la valorizzazione del legno e delle specie arboree con sede a Sesto Fiorentino.
Il rischio dellâinvasione di oli di provenienza del Nuovo mondo non è poi così lontana dal vero, e potranno affacciarsi minacciosi forse più che sui nostri mercati, su quelli, commercialmente ben più appetibili, nei quali già vantiamo da tempo un primato nelle vendite e nelle abitudini di consumo. Ma nulla, si sa, è eterno. Il punto di forza dei nuovi Paesi produttori è nella qualità, nel prezzo più abbordabile, nella presenza sul mercato in un periodo differente...
Vedremo.

I suoi viaggi nel mondo oliandolo proseguono instancabilmente?
Sì, ho portato con me lâolio novello dal Cile, appena franto nei giorni scorsi.
E con il Cile entra così irruentemente in scena, come per i vini, il rischio di una concorrenza spietata da parte del cosiddetto Nuovo mondo. Ecco, come si presenta in particolare la situazione oggi?
In pieno fermento, pur tra molte complessità. In Cile e in Argentina hanno piantato in questi anni le nostre varietà europee, ma non tutte hanno dato buoni risultati, quelli attesi. Nel Nord dellâArgentina, in particolare, sono già al quinto, sesto anno, che le piante di varietà Frantoio non producono. Le industrie italiane sono molto agitate in quanto la resa in olio delle olive resta molto bassa. Dâaltra parte quando si fa un discorso di investimento occorre stare molto attenti. Piuttosto che trasferire le piante da un Paese allâaltro, senza conoscerne i condizionamenti, sarebbe stato più opportuno fare delle opportune verifiche. I produttori di Argentina e Cile hanno piantato a dismisura le varietà Hojblanca, Arbequina, Frantoio e Leccino; e non è che si siano trovai poi così bene.
Che prospettive si aprono, dunque?
Terribili, secondo me. Perché ho visto fare degli impianti molto fitti con lâidea che si possa trarre una maggiore redditività. Quanto alla raccolta, câè il proposito di ricorrere a macchine simili alle vendemmiatrici. Eâ davvero possibile praticare una simile ipotesi? Vedremo. Le loro idee intanto sono molto interessanti, soprattutto perché si orientano a costi di produzione dellâolio molto competitivi, intorno a due dollari al chilo. Io ci credo poco, ma in ogni caso le loro produzioni sarebbero di gran lunga più convincenti rispetto ai nostri costi. Diventerà dunque un mercato più competitivo dal punto di vista economico. Sul tipo specifico di prodotto, il Cile sta facendo cose egregie. Ho visto prodotti molto interessanti, i quali hanno meritato numerosi riconoscimenti per lâalta qualità, con premi ottenuti sia in Italia, sia in altri Paesi. 
Dobbiamo restare ben in guardia?
Sì, lâItalia dovrà stare attenta perché lâolio non ha segreti. Fare un buon olio non è un problema. Lâolio lo fa lâoliva. Le macchine ci sono, e sono ormai predisposte a tirarlo fuori bene lâolio. Se continueranno a raccogliere le olive nei tempi giusti, cosa che stanno opportunamente facendo con tutte le attenzioni del caso, verranno senzâaltro  fuori degli oli del tutto particolari e di grande qualità. Sono extra vergini, per intenderci, freschi di molitura; giungono sui nostri mercati sin nel mese di maggio. Lâolio novello prodotto in Cile non ha niente a che invidiare ai nostri extra vergini. Eâ un olio perfetto, che regge piuttosto bene il confronto con le nostre migliori produzioni.
Riguardo invece ai problemi di produttività di cui si è detto?
Credo che dopo la grande confusione che si è creata in un primo momento, oggi possiamo per esempio iniziare a riconoscere le varietà più adattabili ai climi di Argentina e Cile. Quando sono stati realizzati i primi impianti, cinque anni fa, è stato messo di tutto e di più in campo. Mi riferisco alle scelte adottate da aziende che hanno cinquecento o seicento ettari, non ad aziende di soli dieci ettari. Qualcuno tra questi imprenditori possiede perfino degli oliveti di ottocento ettari: ecco, oggi chi ha sbagliato dovrà sicuramente piangere un poco. Quando una pianta non ha prodotto va rivista. Si comprende bene che non è un conto da nulla. Purtroppo molti tra loro sono stati ammaliati dallâidea di realizzare impianti da tre metri per uno. 
Câè la responsabilità di qualcuno in tutto ciò...
Già, câè la responsabilità di qualcuno. Câera chi programmava i cinque chili di olive per pianta, ma finora simili livelli produttivi non si sono ancora visti. Ci sarà un poâ di rivoluzione insomma, da qui in avanti; un poâ come è accaduto in Australia qualche tempo fa.
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