L'arca olearia 13/10/2012

Panel test per l'olio d'oliva sotto attacco. Per salvarlo occorre farlo evolvere in un laboratorio sensoriale

Panel test per l'olio d'oliva sotto attacco. Per salvarlo occorre farlo evolvere in un laboratorio sensoriale

In Italia non lo vogliono Federolio, Assitol e Confagricoltura. Anche in Spagna pressioni dall'industria per la sua abolizione come conferma Wenceslao Moreda. Occorre attaccare per difendersi. Ecco come


Sono ormai mesi che il sistema del panel test è sotto attacco, anche se sotto traccia. Teatro Naturale ha già svelato come le intenzioni di una parte del mondo oleario siano di arrivare a una sua graduale abolizione (Abolizione del panel test per l'olio d'oliva? Se ne può discutere)

In Italia un'aperta bagarre si è aperta con la legge Salva Olio italiano presentata dalla senatrice Mongiello. Uno dei punti più discussi è stato il valore probatorio del panel test, poi inserito nel decreto sviluppo (articolo 43 comma 1 ter), quindi ormai legge dello Stato.

A ostacolare questo percorso Confagricoltura, Assitol e Federolio con argomentazioni assai simili. Confagri ritiene che “il metodo, per quanto migliorato, non possiede caratteri di oggettività, ripetibilità e riproducibilità. La stessa Commissione Europea l’ha più volte giudicato “soggettivo”, giustificandone l’impiego in attesa di disporre di un sistema di valutazione più affidabile.” Assitol fa anch'essa riferimento alla “soggettività del panel test”, tanto che le norme europee “cercano di limitarne gli effetti con regole molto precise sul chi e come possa effettuarlo e sulle procedure di revisione.” Ancor più dura Federolio che parla di “sostanziale fallimento dello stesso “panel test” sia allorché esso è stato utilizzato come metodo ufficiale sia – ancora più marcatamente – quando è stato applicato dai “panel professionali”.

A smentire queste tre posizioni Wenceslao Moreda dell’Istituto de la Grasa di Siviglia, intervenuto a 1 Convegno Nazionale degli Assaggiatori Professionali tenutosi a Roma lo scorso 6 ottobre e organizzato da Irvea.

“In Spagna vi sono forti pressioni da parte dell'industria per l'abolizione del panel test – dichiara Moreda – e l'unica soluzione per contrastare tale fenomeno è ribadire l'assoluta attendibilità del metodo quando si seguono le regole di un vero e proprio laboratorio sensoriale.”

Ma che differenza esiste tra panel test e laboratorio sensoriale?

Occorre andare oltre e guardare oltre il Reg. 2568/91. Al di là delle procedure di analisi, infatti, tutti i laboratori sono assoggettati a precise verifiche, controlli e audit. Questo significa un percorso di professionalizzazione che consenta, attraverso manuali e raccolta di documentazione, di rendere il panel test alla stregua di un laboratorio d'analisi in cui gli strumenti sono correttamente tarati e tenuti sonno costante manutenzione.

Per strumenti d'analisi intende gli assaggiatori?

Non solo. Vi sono anche i frigoriferi dove conservare i campioni, la sala panel con tutti i suoi strumenti, dalle luci a un sistema di climatizzazione adeguato, fino allo strumento per scaldare l'olio. Naturalmente ci sono anche gli assaggiatori, il capo panel e il segretario del panel. Ognuno con specifici compiti ben codificati.

Ben codificati? C'è qualche norma che regolamenta tali pressi?

Esiste, per i panel ufficiali, ed è il regolamento CE 882/2004 che si rifà alla certificazione ISO 17025. E' un processo di certificazione molto complesso e piuttosto oneroso. All' Istituto de la Grasa di Siviglia costa circa 12000 euro all'anno.

Ma vi si devono assoggettare tutti i panel?

La legge comunitaria stabilisce questo onere solo per i panel ufficiali (ndr Agenzia Dogane, Icqrf e Cra in Italia) ma sarebbe bene che, almeno le procedure, fossero rispettate da parte di tutti i panel. E' una garanzia dell'attendibilità dei risultati, nonché della ripetitibilità e riproducibilità dell'esame e del metodo.

 

A guidarci lungo il percorso da panel test a laboratorio sensoriale, almeno per passi salienti, è lo stesso Wenceslao Moreda.

Occorre innanzitutto che vi sia un preciso organigramma, che affidi a ciascuno i propri compiti. Dal segretario del panel, con compiti di supervisione, redazione documenti e archiviazione, al capo panel con compiti di verifiche e controlli sugli strumenti nonché di qualificazione, aggiornamento e professionalizzazione del panel, fino agli assaggiatori, che devono conoscere tutte le procedure d'assaggio, di controllo e verifica.

Allo scopo può essere utile disporre di una manuale operativo che contempli tutte le procedure e la tenuta di tutta la documentazione relativa. Ad esempio è necessario stabilire la frequenza delle verifiche sulla strumentazione, come la temperatura di esercizio dei frigoriferi dove sono tenuti i campioni, con quali strumenti e come registrare tali controlli. “Il regolamento comunitario stabilisce che l'olio deve essere assaggiato a 28 gradi, per questa ragione, al di là dell'apposito strumento di riscaldamento, gli assaggiatori del mio panel dispongono di un termometro laser in cabina, per poter verificare la corretta temperatura.” dice Moreda.

Figura centrale del panel è il capo panel. Egli non è solo il responsabile del buon funzionamento di tutta la strumentazione a disposizione ma deve anche prestare attenzione e cura all'aggiornamento, professionalizzazione dei suoi assaggiatori con costanti verifiche. E' utile predisporre, allo scopo, costanti verifiche con campioni ripetuti in varie sedute per controllare se l'assaggiatore fornisce giudizi troppo diversificati per lo stesso olio. Allo stesso modo occorre valutare se l'assaggiatore è allineato al resto del gruppo d'assaggio. Vi sono formule matematiche per poter eseguire l'operazione che deve essere effettuata con regolarità. Nel caso di scostamenti troppo accentuati, l'assaggiatore deve essere riqualificato attraverso un percorso formativo dedicato.

Naturalmente il capo panel dovrà anche predisporre delle regolari verifiche di allineamento del proprio panel con altri comitati nazionali e internazionali, anche al di là delle regole stabilite dal Coi o dalle autorità dello Stato.

“Tengo in particolare a sottolineare l'importanza di predisporre, raccogliere ed archiviare ogni singolo passo relativo al funzionamento del panel. E' un lavoro faticoso ma solo così si può garantire l'attendibilità dei risultati, per esempio escludendo quelli ottenuti non in un regime perfettamente controllato o quando si verifichino anomalie.” conclude Moreda.

di Alberto Grimelli

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Commenti 22

giovanni breccolenti
giovanni breccolenti
17 ottobre 2012 ore 10:47

Gli acidi polinsaturi hanno un gran vantaggio sui saturi:non bloccano i recettori cellulari dell'importantissimo colesterolo(entra nelle formazioni delle membrane e di alcuni ormoni),al contrario dei saturi che vanno a bloccare i recettori e quindi la cellula,non riconoscendolo piu' non lo ingloba con un aumento ematico di colesterolo.Quindi un'assunzione di grassi insaturi non aumenta il livello ematico del colesterolo,mentre un'assunzione di saturi si.Un aumento di colesterolo del sangue, se le pareti dei vasi sono in buono stato,di per se non rappresenta un rischio in quanto il colesterolo non è l'agente di alterazione della parete,pero' puo' diventare un problema dopo che un agente infiammatorio(chimico o alimentare) abbia causato un danno alla parete, in quanto,in quel punto e in concomitanza di altre reazioni, si puo' accumulare e creare un ostruzione al vaso:la famosa aterosclerosi.
Il rovescio della medaglia è pero' un altro.Quali sono i fattori alimentari che possono creare un danno alla parete cellulare? Sicuramente,su tutti, i perossidi,strutture che si formano dall'ossidazione degli acidi grassi,soprattutto degli insaturi.Questi perossidi,esercitano un effetto citotossico sulla parete arteriosa portando ad una lesione dell'endotelio e quindi creando delle potenziali premesse di aterosclerosi.Non solo,i perossidi legandosi ai trasportatori proteici del colesteroli fanno si che i recettori cellulari non lo riconoscono e quindi si avvrà anche un accumulo di questo nel sangue.Quindi da evitare in tutti modi la perossidazione degli acidi grassi,che è tanto maggiore quanto piu' è insaturo un acido grasso.L'olio d'oliva ha una gran percentuale di oleico,il piu' alto del mondo vegetale,che oltre ad avere una discreta stabilità ossidativa ha tutti pregi di un polinsaturo in quanto non contribuisce ad elevare i livelli ematici di colesterolo.Pero' è pur sempre un insaturo con una certa tendenza all'ossidazione. Ma chi è che fa veramente la differenza con tutti i grassi del mondo vegetale? Sono loro,sempre i loro,i polifenoli,una magica esclusiva degli oli d’oliva estratti meccanicamente, che captano ossigeno e prevengono l'ossidazione e la formazione di perossidi,che hanno capacità anti infiammatori contribuendo a spegnere tutte quelle microinfiammazioni che si vengono a creare all'interno del nostro corpo a causa di agenti chimici e dei perossidi.Se si fa una frittura con un olio con pochi polifenoli il contenuto di perossidi sarà molto elevato(comunque in olio di oliva sempre inferiore a molti altri oli vegetali piu' insaturi),ma se si fa con un extravergine con un alta dotazione ne avremmo molti ma molti di meno.
L'unica vera strategia di marketing che io vedo per salvare la nostra olicoltura,il nostro olio (che avrà sempre costi piu' elevati di altri) è diffondere la cultura degli oli ricchi di queste sostanze che si estrinseca con la cultura dell'amaro(non esagerato) e del piccante,sensazioni che nella maggiorparte dei casi (quando si è lavorato bene in tutte le fasi produttive) vanno sempre a braccetto con profumi e sapori limpidi a prescindere dalla loro intensità e che rendono questo prodotto un qualcosa di unico sia dal punto di vista salutare che edonistico.
La missione di tutti gli assaggiatori(che dovrebbero avere un'adeguata preparazione professionale e un allenamento costante,quindi investire in questo,no chiudere i panel),dei capipanel,istituzionali e non, dei tecnici, dei produttori, delle associazioni ma soprattutto delle istituzioni politiche vista l'importanza strategica di questo settore , dovrebbe essere principalmente questa,la diffusione della conoscenza dell’olio,dei suoi profumi,sapori e di tutte le sue proprietà, a partire dalle scuole.Una volta diffusa questa conoscenza sarà la richiesta di prodotti di qualità a migliorare tutto il nostro mondo,il mercato si deve sempre adeguare a quello che chiede il consumatore,il problema è:il consumatore sa e se sa che cosa sa?.

GIANLUCA RICCHI
GIANLUCA RICCHI
16 ottobre 2012 ore 10:12

Come si diventa assaggiatori professionisti? Basta partecipare ad un corso di una settimana e si riceve il diploma di assaggiatore. Come si diventa Capo Panel? Beh io nel 2003 ho partecipato ad un corso di una settimana a Roma. Credo che, se dobbiamo continuare a percorrere la strada del Panel Test, sia necessario da parte della Comunità Europea riflettere sui danni che questo strumento può creare all'interno di tutta la filiera olearia. Ancora oggi i ring test dimostrano quanta poca attendibilità e quanta confusione creino i risultati di un qualsiasi prodotto assaggiato, non importa se trattasi di olio comunitario, non comunitario, 100% italiano, DOP, IGP o biologico, i risultati non sono omogenei.Da qui la malafede, i declassamenti i danni economici, e ancor peggio le denunce. Chi trae vantaggio da tutto ciò? Non certo il consumatore che, dopo tutto quello che legge, altro non può pensare che il settore oleario sia fatto soltanto di sofisticazione inganni e Agromafia. Allora se questa è la strada da percorrere dobbiamo capire l'importanza di rendere questo strumento il più attendibile possibile. Come? Selezionando uomini che faranno di mestiere soltanto quello disposti a intensificare la loro conoscenza e disposti a girare il mondo interfacciandosi ad altre realtà Produttive. Costituire Panel Test misti fatti di persone di Paesi diversi con culture diverse e soprattutto di sapori diversi. Questo la Cee deve riuscire a fare, su queste tipo di persone la Cee deve essere pronta ad investire denaro al fine di non rendere ridicolo uno strumento come il Panel Test. Se la Cee non è disposta a questo personalmente spero che venga tolto del tutto, ad oggi non ha portato nessun beneficio, al contrario soltanto danni e pessima immagine per tutti.

stefano tesi
stefano tesi
16 ottobre 2012 ore 09:42

Caro Luigi,
ti incontro come sempre ben volentieri, anche se non credo ci sia nulla da chiarire.
A presto, S.

Vincenzo Lo Scalzo
Vincenzo Lo Scalzo
16 ottobre 2012 ore 08:46

Anche in questa occasione la definizione di "qualità gastronomica alimentare" resta orfana di saperi e sapori. Non parliamo di scienza e filosofia della scienza. Eresie da allucinazione. Passeremo il compito alle "primarie" dei dibattiti, cioè all'improvvisazione e tanto per ricominciare alle polemiche.
Peccato.

stefano tesi
stefano tesi
16 ottobre 2012 ore 00:08

Caro Luigi,
francamente sono rimasto stupito anch'io dei toni aggressivi usati nei miei confronti, io non mi sono mai sognato di dare aprioristicamente di provinciale, sognatore, incompetente o abbindolato a nessuno. E non ho nè avevo alcuna intenzione di tirarti in ballo, ci mancherebbe, anche a prescindere da questo tuo richiamo.
Mi sorprende un po', casomai, essere l'unico destinatario del medesimo.
Non mi contrappongo a chicchessia, sostengo semplicemente le mie idee e lo faccio volentieri dibattendo, appunto.
Però non accetto che mi si dia del tonto, tutto qui.
Ciao, S.

massimo occhinegro
massimo occhinegro
15 ottobre 2012 ore 19:06

Cosa vuole che le dica Sig. Tesi, non dilunghiamoci oltre, non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. Sicuramente lei e' un buona fede ed e' quindi per questo che lei non comprende certe questioni, mi scusi l'espressione: " lampanti".
Se vuole comunque approfondire sono a disposizione al mio indirizzo di posta elettronica che sicuramente la redazione le potrà fornire. Mi piacerebbe invitarla in qualche occasione in modo tale che possa approfondire l'argomento olio. Magari si stupirà e modificherà i suoi convincimenti che io reputo, almeno in prevalente misura, errati. Grazie e cordiali saluti.

stefano tesi
stefano tesi
15 ottobre 2012 ore 18:22

Non vorrei monopolizzare con un antipatico ping pong ristretto a noi due il dibattito in corso, ma certe sue affermazioni che rasentano, e talvolta superano, un "inequivocabile" ridicolo meritano una pur scarna risposta.
Secondo lei io sarei, in sintesi, un disinformato e provinciale vendoliano, dal pensiero contorto, un po' sognatore, che si occupa di cronaca e sport e quindi non dovrebbe impicciarsi di olio e men che meno contraddire chi (lei, evidentemente) ne sa più di lui.
Mi creda, non sa quanto si sbaglia. Ma proprio su tutto.
Io invece non credo affatto di sbagliare se, prima e anche adesso, ho colto nelle sue parole un intento tutt'altro che disinteressato e anche un po' malizioso: quello di fare da difensore, "tagliando" (mi permetta l'ironia) tra loro argomenti poco pertinenti per far fluire meglio la dialettica, di un'industria olearia che non va demonizzata, certo, ma semplicemente presa per quello che è. Ovvero un'industria, appunto. Il cui fine è produrre il massimo degli utili con il mimimo dei mezzi. Cosa che necessita di guadagni marginali spalmati su grandi numeri. Ma per ottenere ciò, spacciare la qualità legale per quella sostanziale è indispensabile, basta che il consumatore ci creda. O smetta di credere all'istinto del proprio palato per farsi abbindolare dalla propaganda salutistica in cui si predica bene ma poi si razzola male. Ha presente di che parlo, vero? Parlo del consumatore che lei definirebbe 2educato" e che io invece preferisco chiamare "ammaestrato" dalla potenza del marketing.
Non commento l'affermazione secondo la quale i suoi interessi sono "quelli del settore e del consumatore", per evitare fin troppo facili ironie.
Così come è un po' furbesco gabellare per interessi nazionali gli interessi particolari dell'industria olearia.
Insomma certe cose che lei afferma sono vere (e io non le contesto), come ad esempio il fatto che in questo paese si ignorino i reali volumi produttivi, ma continuano a sfuggirmi i motivi per i quali, nel nome di un presunto "interesse superiore", si dovrebbe accettare il ridimensionamento dei metodi di valutazione organolettica dell'olio: che c'azzeccano tra loro le due cose?
Lei mi raccomanda di non farmi abbindolare, ma cerca di abbindolare me e molti altri lettori. Peccato che non con tutti il trucco funzioni e che non sempre fare il fimnto tonto ripaghi lo sforzo.
Si convinca: a 'ccà niscun' è fesso, come di dice a Napoli.
Risaluti, S.T.

massimo occhinegro
massimo occhinegro
15 ottobre 2012 ore 17:09

Gentile signor Occhinegro,
è abbastanza curioso che lei mi attribuisca, non capisco in base a cosa, simpatie per un “associazionismo agricolo” con il quale non solo non ho rapporti, ma di cui sono notoriamente un aspro critico.

Risposta: Mi pare di essere stato chiaro in proposito: ho scritto “Molto spesso i giornalisti che scrivono di olio , così come molti dell'associazionismo agricolo, hanno una visione molto provinciale in materia di olio”.
Non ho dunque assolutamente parlato di sue “simpatie” per un “associazionismo agricolo”. Ho parlato invece in generale di giornalisti, spesso “generalisti”, che scrivono “di olio”, che hanno una visione provinciale. Quindi lei mi attribuisce parole che non ho scritto e la sua errata interpretazione di parole che pensavo fossero inequivocabili, mi induce a credere esattamente al contrario di ciò che nega esserci. Quanto alle sue critiche notorie, non gliele posso confermare in quanto in realtà ho letto alcuni suoi articoli di cronaca o di sport ma non sull’agricoltura. Le chiedo venia, anzi mi farebbe piacere che lei me li evidenziasse.


E mi pare altrettanto curiosa l’affermazione secondo la quale la qualità e il concetto ad essa legato andrebbero “concordati” tra gli attori commerciali presenti sul mercato internazionale.
Sono invece della convinzione che in certi prodotti agroalimentari (sottolineo l’agro) la qualità sia e debba essere oggettiva, o meglio oggettivamente rilevabile, senza con ciò avere le pretese di assolutezza tipica degli ingenui. Rilevabile attraverso la combinazione dell’analisi chimica e sensoriale.
La qualità “concordata” di cui lei parla è forse quella utile ai fini del marketing, scienza profittevole e niente affatto diabolica, ma finalizzata unicamente alla veicolazione commerciale di prodotti nei quali la qualità sostanziale è un optional e il prodotto obbedisce appunto a degli standard prefissati da chi ha interesse a prefissarli o da chi è condizionato da coloro che questi interessi detengono.
Perdoni dunque la franchezza ma in questa chiave ho imparato da tempo a diffidare di chi, con troppa affrettata disinvoltura, pensa di liquidare gli argomenti altrui accusando l’interlocutore di avere vedute “provinciali”.

Risposta: Veda sig. Tesi, con queste osservazioni lei mi convince sempre più di avere appunto una visione “provinciale”. Mi scusi ma glielo dico con estrema franchezza. Lei critica il marketing in generale e poi in particolare quello per l’olio, non considerando alcuni piccoli aspetti a mio parere importanti:
Se non ci fosse il marketing non ci sarebbero migliaia di prodotti che lei ogni giorno acquista per uso quotidiano sia alimentare che non. Non ci sarebbe la Coca Cola, la pasta di una certa marca, il dentifricio o faccia lei quale altro prodotto. Tutti questi prodotti, che lei sicuramente acquista quotidianamente , non è detto che siano i migliori, ma indubbiamente sembrano ai suoi, come ai miei occhi, tali.
Per quanto concerne l’olio, dalle sue parole traspare un accanimento a prescindere verso l’industria alimentare infatti evidenzia a parte la parola “agro”, allineandosi, così almeno a me sembra, con quanti sostengono, che “l’industria” non acquisti l’olio dalla produzione agricola, quasi che fosse solo ed esclusivamente impegnata in un’alchimia quotidiana pur di rendere “appetibili” i propri prodotti. Se c’è un olio meno buono lo è perché meno buono è evidentemente, il prodotto agricolo impiegato magari, (e questo non posso negarlo), per una precipua scelta dell’industria la qual cosa può causare un circolo vizioso. In ogni caso è sempre necessario effettuare dei distinguo sia in campo agricolo che in campo “agroindustriale”. Tutti hanno colpe, non e' tutto o bianco o nero. e poi la GDO dove la mette?
Almeno che lei non ritenga illecito che “ l’industria” possa fare dei “dei tagli” utilizzando ad esempio oli extra vergini di oliva provenienti da diversi cultivar e da diverse zone al fine di renderli, a suo parere, più adatto ad un consumatore medio.
Per far si che al consumatore venga offerta la possibilità di fare la sua scelta consapevole, occorre educarlo, poi alla fine ci sarà sempre chi preferirà comprare il “Tavernello” e chi invece preferirà “il Brunello”. Questo e' il mio sogno.
In merito alla “qualità concordata” mi riferisco, evidentemente ai numerosi parametri chimici previsti dalla legislazione in materia ed in particolare al valore degli alchil esteri, ed al panel. Se l’Italia legifera in tal senso , restringendo i suoi parametri, senza concordarli ed armonizzarli in sede di Unione Europea ed in sede COI, considerando che purtroppo alla base c’è un consumatore medio italiano e mondiale “ignorante” , non per sue colpe evidentemente, si rischiano oltre che sanzioni, anche autogoal clamorosi, mettendo ancora più in crisi un comparto che già lo è , dando un favoloso “assist” a tutti i competitor internazionali.
Le ricordo che ufficialmente abbiamo dei numeri produttivi che non rispondono alla realtà e che ancora oggi, non conosciamo le quantità relative alle differenti qualità di olio che viene prodotto in Italia: Olio extra vergine, olio vergine, olio di oliva ed olio di sansa. Come può notare l’offerta di olio è molto variegata e non univoca come per il vino. Ai fini strategici non e' possibile prendere alcuna decisione se non si sa risponedere alle domande: Quanto produciamo ? E poi, che qualita' produciamo e dove?

Spesso infatti il paternalismo non cela affatto visioni più alte o ampie, ma solo la necessità dialettica di gabellare per superiori punti di vista che, di elevato, hanno solo gli interessi. Tipo quelli di cui sopra.
Sia chiaro: non c’è nulla di male ad avere interessi e a perseguirli. Meno bello è farlo fingendo una superiorità morale che non c’è.


Risposta: I miei interessi sono gli interessi del settore e del consumatore ed e' per questo che lotto affinché si faccia comunicazione al consumatore nonché chiarezza sui reali dati produttivi. Ma nessuno vuole scucire 1 euro di tasca propria. Oggi ad esempio, ho la netta sensazione che ci possano essere spostamenti di olive o di olio tra diverse regioni un po’ come avviene alle volte per il Chianti che si moltiplica o per il Brunello. Se manca la quadra sono evidenti simili ipotesi. Piuttosto penso agli interessi di altre lobby ( se lobby significa "gruppo di pressione" mi sa che lei ha proprio sbagliato il tiro!) che riescono a far promulgare leggi che dovendosi applicare ad litteram, sarebbero di fatto inapplicabili giacchè estremamente contraddittorie. Da parte mia non ostento una superiorità morale che lei , senza conoscermi minimamente asserisce non esserci, anche qui, a prescindere, ma forse solo una superiorità tecnico-economica rispetto a tanti altri.

La mia idea, di provinciale, ha invece, forse, solo la linearità. Questa: la grande industria olearia non ha alcun vantaggio dall’esistenza di sistemi di valutazione del prodotto che, affidati prevalentemente a un metodo sensoriale (uno qualunque, non necessariamente il panel), molto difficilmente possono essere neutralizzati attraverso l’abile fuoco di sbarramento terminologico e regolamentare che è viceversa il campo nel quale, attraverso la sua azione lobbistica, meglio l’industria riesce a esercitare le sue pressioni.
Con lo scopo, va da sé, di irretire il sistema di classificazione legandolo il più possibile all’adozione di norme che, anziché comportare la presa d’atto dei sentori percepiti in un prodotto, la prevengano nominalmente, condizionando così il risultato dell’assaggio.
Per essere espliciti: non esiste sfilza di descrittori, sentori, aromi, requisiti o distinguo dettati per legge o per regolamento o per disciplinare che, nella degustazione materiale, possano mutare la sensazione di “buono” o di “cattivo” dettata dai sensi.


Risposta: Sig. Tesi si vede che siamo prossimi alle elezioni, mi scusi ma il suo pensiero è estremamente contorto, quasi direi “Vendoliano”. Lei sostiene che l’industria si voglia sottrarre al giudizio del panel test, in sintesi, perché preferisce “gli sbarramenti terminologici e regolamentari” piuttosto che il giudizio di assaggiatori. Mi pare che con questo si allinei al pensiero del suo collega " estensore" del presente articolo.
Le ho già spiegato che ritengo che ciò non sia affatto vero, ( ma le pare possibile che un'importante organizzazione come la Confagricoltura possa voler cancellare il panel test? ) Suvvia non si faccia abbindolare! A mio giudizio e' vero invece che qui si parla di " qualità dei panel" e quindi di chi è preposto al giudizio che potrebbe essere in forte conflitto di interessi in quanto espressione di chi lo ha formato che è , di fatto " in guerra" , con la cosiddetta “industria” e con la stessa Confagricoltura, mi pare.
Questa e' politica sig. Tesi! Non faccia il sognatore, per favore.
Si tratta inoltre di dire che poiché siamo in Europa, tutti gli Stati europei debbano avere le stesse regole , diversamente si consente ad esempio agli spagnoli ( sulla base della nuova legge) di comprare l’olio in Italia con alchil esteri a 35 e di rivenderlo in giro per il mondo come Olio Extra Vergine di Oliva 100% Italiano mentre i nostri olivicoltori in Italia lo devono vendere come di origine Unione Europea oltre che fare un "downgrade" ossia un declassamento ad olio vergine , ad esempio.
Per cui la invito, ancora una volta a riflettere.

Quanto alla contraddizione che mi contesta, è appena il caso di sottolineare che l’espressione pregiudizio significa “giudizio espresso prima”, cioè appunto preconcetto, mentre il mio non credere alla buona fede di certi soggetti non è affatto preconcetta, bensì frutto di un giudizio basato su una lunga esperienza e la riflessione.

Risposta: Beato lei che ha questa lunga esperienza e conseguente convinzione Sig. Tesi, io non ne ho.
Vede bene che è lei che si contraddice, non io.

Risposta: Non ravvedo alcuna contraddizione, la sua affermazione è, a mio parere gratuita.
La concorrenza internazionale è un tema delicatissimo nel commercio, che però ha sul consumatore de quo (e spesso sul produttore) solo ricadute negative.
Quanto alle mie critiche, da lei condivise, al sistema del panel test, esse stanno proprio a dimostrare che io non sto da una parte anziché da un’altra e che non ho pregiudizi di alcun tipo: riporto solo ciò che penso in base a quanto ho visto, letto, udito, assaggiato e sperimentato in molti (ahimè) anni.


Risposta: E’ proprio questo il problema caro Tesi, la invito ad informarsi ed a sperimentare un po' di più ,magari rivolgendosi a fonti diverse.
Grazie.
Cordialità, M.O.

giovanni breccolenti
giovanni breccolenti
15 ottobre 2012 ore 14:01

Il boom salutistico attribuito all'olio extravergine è dovuto principalmente alle scoperte di questi ultimi vent'anni dell'importanza delle sostanza polifenoliche per la salute umana,sia diretta (ad esempio l'leochantal,il principale responsabile della sesazione di piccante, con prorietà anti infiammatore e preventivo di insorgenze tumorali,altri con proprietà antiaggregante piastrinico, altri che abbassano il livello di colesterolo del sangue o che legano gli ioni metallo che catalizzano alcune pericolose ossidazioni e la formazione di perossidi, ecc.),che indiretta in quanto protettori dell'ossidazione degli acidi grassi(soprattutto gli omega che sono insaturi) dell'olio e quindi preventivi della formazione di radicali liberi.Non solo,il recente regolamento 432/2012 codifica il fatto che i polifenoli contribuiscono alla protezione dei lipidi ematici dallo stress ossidativo.
Insomma è vero che ci sono anche altre altre sostanze importanti come lo squalene, alcuni carotenoidi(luteina), i terpeni(eritrodiolo) e i famosi acidi grassi polinsaturi o omega 3 e 6, ma questi,sono in tutti gli oli d'oliva e, piu' o meno, in molti altri oli vegetali(magari con rapporti diversi);i veri modulatori della salute umana e che differenziano in termini positivi l'olio d'oliva dagli altri oli vegetali, sono i biofenoli.Quindi qualsiasi campagna salutistica non puo' prescindere da questo fondamentale parametro,cosi' come qualsiasi bottiglia di olio che si avvale di una campagna salutustica seria, non possa non avere un giusto quantitativo di polifenoli.
Sign Occhinegro,non vi vorrà far credere che lei in tavola non tenga una bottiglia di olio con una percentuale di polifenoli al di sotto di 300 mg/kg?

massimo occhinegro
massimo occhinegro
14 ottobre 2012 ore 22:07

Noto che TN accoglie inserzioni pubblicitarie gratuite. Evidentemente se lo possono permettere. A parte questo, Sig. Breccolenti, deve sapere che l'olio di oliva (e quindi tutta la sua gamma) è famosa nel mondo da decenni non per via della presenza di sostanze polifenoliche (poi occorre anche saperle distinguerle e contarle) ma per la sua composizione chimica. In particolare per la più alta presenza di acidi grassi monoinsaturi.E' evidente che studi successivi abbiamo dimostrato che l'Olio Extra Vergine di oliva , in generale quello più amaro e piccante, avendo più alti livelli di polifenoli, siano ancora migliori dal punto di vista salutistico oltre che da quello edonistico. E' altrettant vero che storicamente il primo prodotto ad essere venduto nel mondo è sempre l'olio di oliva (non l'extra) E' avvenuto anche nella civilissima Milano con il famoso "olio di Oliva Sasso" o Olio di Oliva "Carli".
Detto questo, devo dire che purtroppo non tutti i consumatori conoscono queste "caratteristiche positive" . Ed è per questa ragione che occorre orientarli alla conoscenza.
L'ho già scritto più volte e chiedo scusa se lo ripeto anche in questa occasione, secondo me ognuno dovrebbe finanziare di tasca propria e congiuntamente e proporzionalmente campagne promozionali in tal senso. Poi sarà il consumatore comprerà il Crystal dell'olio o il Tavernello, sempre dell'olio. Almeno sarà una scelta consapevole. Non c'è etichetta che tenga per la scelta.
Chi non vuole partecipare a questa massiccia campagna dice già in partenza che non vuole che venga divulgata la conoscenza e non può quindi strumentalizzare nulla come spesso fa. Perciò chi aderisce a questa iniziativa?

giovanni breccolenti
giovanni breccolenti
14 ottobre 2012 ore 20:12

Ben vengano le campagne di marketing sull'olio basate strategicamente sulle sue incredibili proprietà salutistiche,ma visto che queste proprietà sono date soprattutto dall'alto contenuto di polifenoli ( è la ricerca e la scienza a dirci che devono essere sopra i 250 mg/kg,oli con tenori piu' bassi hanno sempre buone proprietà nutrizionali ma scarse salutistiche ),che almeno quest'ultimo sia una certezza. Chiunque voglia legare questi due aspetti,made in Italy e aspetti salutari,ai proclami deve far seguire i fatti e cioè commercializzare oli con quelle determinate caratteristiche.Se si vuol far passare il messaggio che l'olio Italiano,oltre alle indiscusse proprietà edonistiche, fa bene perchè dentro "c'è" realmente quello che fa bene,cosi' deve essere. Non penso che sia positivo, per la produzione di qualità italiana, fare certe campagne sfruttando le proprietà di oli eccellenti e poi far girare oli extravergini col marchio Italiano di bassa qualità,cioè con bassi contenuti di polifenoli,(oli dolci e pochissimo piccanti).
Alla gente piace piu' questa sensazione? Guai l’amaro e il piccante? Lecito,ma che sappia che le proprietà salutistiche di questi oli sono al minimo (e mi tengo alto). Ma siamo davvero sicuri,sign. Occhinegro che queste campagne fatte dalla grande industria siano da traino per piccoli produttori nei mercati internazionali? O è vero il contrario,cioè che è la grande industria a trarre vantaggio dalle proprietà salutistiche di certi oli (prodotti soprattutto da pochi e con costi medio-alti elevati) che poi raramente ritroveremo nelle bottiglie? Il traino, i piccoli meravigliosi produttori della nostra penisola, se lo costruiscono facendo grandi oli e grandi performance in tutti i concorsi nazionali e internazionali(e un grande dell'olio, come il sign. Celletti,che saluto,ce lo puo' confermare).Ad ognuno il suo,non attribuiamo meriti a chi non li cerca proprio e il cui unico scopo è guadagnare (piu’ che lecito,ma solo quello).

stefano tesi
stefano tesi
14 ottobre 2012 ore 16:05

Gentile signor Occhinegro,
è abbastanza curioso che lei mi attribuisca, non capisco in base a cosa, simpatie per un “associazionismo agricolo” con il quale non solo non ho rapporti, ma di cui sono notoriamente un aspro critico.
E mi pare altrettanto curiosa l’affermazione secondo la quale la qualità e il concetto ad essa legato andrebbero “concordati” tra gli attori commerciali presenti sul mercato internazionale.
Sono invece della convinzione che in certi prodotti agroalimentari (sottolineo l’agro) la qualità sia e debba essere oggettiva, o meglio oggettivamente rilevabile, senza con ciò avere le pretese di assolutezza tipica degli ingenui. Rilevabile attraverso la combinazione dell’analisi chimica e sensoriale.
La qualità “concordata” di cui lei parla è forse quella utile ai fini del marketing, scienza profittevole e niente affatto diabolica, ma finalizzata unicamente alla veicolazione commerciale di prodotti nei quali la qualità sostanziale è un optional e il prodotto obbedisce appunto a degli standard prefissati da chi ha interesse a prefissarli o da chi è condizionato da coloro che questi interessi detengono.
Perdoni dunque la franchezza ma in questa chiave ho imparato da tempo a diffidare di chi, con troppa affrettata disinvoltura, pensa di liquidare gli argomenti altrui accusando l’interlocutore di avere vedute “provinciali”.
Spesso infatti il paternalismo non cela affatto visioni più alte o ampie, ma solo la necessità dialettica di gabellare per superiori punti di vista che, di elevato, hanno solo gli interessi. Tipo quelli di cui sopra.
Sia chiaro: non c’è nulla di male ad avere interessi e a perseguirli. Meno bello è farlo fingendo una superiorità morale che non c’è.
La mia idea, di provinciale, ha invece, forse, solo la linearità. Questa: la grande industria olearia non ha alcun vantaggio dall’esistenza di sistemi di valutazione del prodotto che, affidati prevalentemente a un metodo sensoriale (uno qualunque, non necessariamente il panel), molto difficilmente possono essere neutralizzati attraverso l’abile fuoco di sbarramento terminologico e regolamentare che è viceversa il campo nel quale, attraverso la sua azione lobbistica, meglio l’industria riesce a esercitare le sue pressioni.
Con lo scopo, va da sé, di irretire il sistema di classificazione legandolo il più possibile all’adozione di norme che, anziché comportare la presa d’atto dei sentori percepiti in un prodotto, la prevengano nominalmente, condizionando così il risultato dell’assaggio.
Per essere espliciti: non esiste sfilza di descrittori, sentori, aromi, requisiti o distinguo dettati per legge o per regolamento o per disciplinare che, nella degustazione materiale, possano mutare la sensazione di “buono” o di “cattivo” dettata dai sensi.
Quanto alla contraddizione che mi contesta, è appena il caso di sottolineare che l’espressione pregiudizio significa “giudizio espresso prima”, cioè appunto preconcetto, mentre il mio non credere alla buona fede di certi soggetti non è affatto preconcetta, bensì frutto di un giudizio basato su una lunga esperienza e la riflessione.
Vede bene che è lei che si contraddice, non io.
La concorrenza internazionale è un tema delicatissimo nel commercio, che però ha sul consumatore de quo (e spesso sul produttore) solo ricadute negative.
Quanto alle mie critiche, da lei condivise, al sistema del panel test, esse stanno proprio a dimostrare che io non sto da una parte anziché da un’altra e che non ho pregiudizi di alcun tipo: riporto solo ciò che penso in base a quanto ho visto, letto, udito, assaggiato e sperimentato in molti (ahimè) anni.
Cordialità, S.T.

Gino Celletti
Gino Celletti
14 ottobre 2012 ore 13:15

Per salvare il Panel test occorre mettere la museruola a Federolio, Assitol e Confagricoltura e tutte le categorie che fanno o tutelano l'Olio Industriale.
Ma e' ovvio che costoro non vogliano il Panel Test, ci dobbiamo ancora scrivere su articoli del genere ?
Non sarebbe meglio azzittirli subito e definitivamente senza cdar loro alcuna dignita' anziche' commentare o fare ipotesi di modifica del del COI T/20 e collegati ?

Dr Gino Celletti
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- monocultivaroliveoil.EXPO - Milano Concorso int.le, Esposizione - Chairman
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- Libro-Guida "MONOCULTIVAR Olio Perfetto".
- NYIOOC New York Int;l Olive Oil Competition Capo Panel
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- Assaggiatore Naz.le Professionista Olio CE reg. 2568/91 ecc.
- Elenco Tecnici Oli Extra Vergini Ministero Politiche Agricole
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Antonio Bertini
Antonio Bertini
13 ottobre 2012 ore 19:31

L'industria ha avuto grandi meriti nella diffusione del made in Italy nel mondo. Un tempo. Ora ci sono solo le etichette a diffondere il made in Italy nel mondo perchè si dice in giro che non c'è olio di oliva extravergine italiano a sufficienza. Il punto è che in giro non c'è a sufficienza olio extravergine a prescindere dall'origine vista la guerra sugli alchil esteri. L'industria che sa come stanno le cose poteva anche farsi scrivere delle regole comunitarie in cui extravergine poteva essere anche l'olio a cui sono stati allontanati i cattivi odori con una blanda deodorazione. Invece no ha preferito far uscire la norma sugli alchil esteri a 75 mg/kg per dire successivamente che gli alchil esteri (che si formano dagli acidi grassi liberi presenti nell'olio che reagiscono con l'alcol etilico dovuto a fermentazioni delle olive) in Puglia sono costituenti tipici normali. L'olio deodorato non esiste e non esistono nemmeno le miscele con olio lampante. In etichetta solo Olio di oliva no?

massimo occhinegro
massimo occhinegro
13 ottobre 2012 ore 18:58

Gentile Sig. Tesi, che lei non sia a completo digiuno della materia questo mi era chiaro.
Lei sostiene però di " non avere nulla di aprioristico" quando al contrario aveva sostenuto di " non credere nella buona fede". Ecco mi pare che ci sia una contraddizione tra le due considerazioni.
Molto spesso i giornalisti che scrivono di olio , così come molti dell'associazionismo agricolo, hanno una visione molto provinciale in materia di olio.
Purtroppo l'olio non lo produciamo solo noi ma anche molti Paesi del mondo. Le nostre decisioni interne quindi, se non ben concertate con il resto del mondo, finiscono per svilire un settore.
Il boom dell'olio di oliva nel mondo, e' in primis dovuto al forte effetto salutistico del prodotto " olio di oliva" sancito e diffuso da Ancel Keys, e portato avanti nel mondo da grossi gruppi industriali italiani prima e mondiali dopo ( cito SME, Unilever, Nestle', ad esempio) giacché potevano permettersi risorse finanziarie ed umane tali da diffondere il " Made in Italy" nel mondo.
Al loro traino, i piccoli produttori hanno avuto la possibilità di inserirai vendendo i loro prodotti.
Ma si ricordi il controsenso di fondo quando associazioni tipo Coldiretti esaltano da un lato il successo del Made in Italy, mentre chi fa i numeri sono i grossi gruppi che tra l'altro comprano grandi quantità di olio italiano, e dall'altro li criticano a prescindere come se fossero capaci di fare solo frodi, pubblicizzandole nel mondo. Pensi che siamo l'unico Paese al mondo ad avere un ente che si chiama " Istituto centrale repressione frodi", proprio a voler dare, sotto l'egida governativa, una " grande immagine" di Paese re delle frodi. Frodi che comunque esistono in modo trasversale nel comparto così come accade in tanti altri settori.

Facendo così non si fa altro che avvantaggiare gli altri Paesi concorrenti a svantaggio della nostra economia.

Il concetto della qualità , quindi deve necessariamente essere concordato a livello europeo prima e del C.O.I. dopo, diversamente, se le regole sono diverse, a parità di consumatore non profondo conoscitore, sarà avvantaggiato il concorrente con meno regole e minori controlli ( Turchia, Spagna, Tunisia ecc.)

La scarsa conoscenza della concorrenza internazionale e delle precipue problematiche tipica del mondo associativo che è' solo teorico e non operativo, provocano disastri che fanno arretrare l'olivicoltura italiana. L' ultimo esempio e' proprio il pasticciato decreto che è' attualmente inapplicabile e chi lo ispirato?

Mi fa piacere infine che concorda sulla questione dei panel test.

stefano tesi
stefano tesi
13 ottobre 2012 ore 16:42

Gentile Occhinegro,
non metto in dubbio che molti, lei compreso, sappiano dell'argomento molto più di me e provvederò ad approfondire, ma le assicuro che della materia non sono affatto digiuno.
Da ciò che lei scrive percepisco però un'idea "burocratica" della qualità che è esattamente il concetto che io avverso.
Non ho nulla di aprioristico contro l'industria e considero sacrosanta la necessità di stabilire un criterio industriale anche per parametrare la qualità dell'olio.
Ciò non toglie però che il prodotto, al pari di qualunque altro, avrà anche una sua qualità intrinseca, non troppo facilmente codificabile nè descrivibile a parole, ma facilmente percepibile ai sensi, che raramente ingannano chi se ne intende.
Questo era il senso del mio intervento.
Non esiste statuizione regolamentare che possa mutare la qualità e le caratteristiche organolettiche intrinseche di un prodotto, quindi ex cathedra si può sancire ciò che si vuole, ma alla fine il prodotto resta quello.
Il limite della formnzione dei controllori è esattamente uno dei punti che il sottoscritto contesta da sempre al metodo panelistico.
Come vede gli orizzonti da ampliare sono tanti e ognuno ha i propri limiti.

massimo occhinegro
massimo occhinegro
13 ottobre 2012 ore 15:50

Sig. Tesi, mi pare che lei sia un giornalista. Prima di definire " non in buona fede" chi critica , e si badi bene, " non osteggia" il panel test, la invito ad approfondire la tematica non calandosi nella piccola "provincia italiana" ma estendendo la sua conoscenza , al mondo, considerando i primi produttori mondiali insieme ai quali condividiamo la " casa comune dell'Unione europea".
La invito, oltre che a riflettere, anche a documentarsi presso chi ne conosce forse un po' di più.
Le ricordo che le norme IOOC prevedono , tra le caratteristiche organolettiche, il fruttato da olive mature, sempre osteggiato da chi "forma" i controllori.
Inoltre a formare i "controllori", sono proprio i potenziali controllati.
Quindi abbia cortesemente un orizzonte un po' più ampio e comprenderà .

stefano tesi
stefano tesi
13 ottobre 2012 ore 15:35

In tutta franchezza non credo affatto nella presunta "non oggettività" dei panel eccepita dai suoi avversatori, soprattutto perchè non credo nella loro buona fede. Che il metodo (da me ampiamente criticato) e i suoi risultati (idem) siano molto spesso opinabili, come hanno sovente dimostrato i fatti, non si discute. E' però una questione di applicazione del metodo, non di fine perseguito.
Usare invece, camuffandola con la falsa esigenza di certificare una qualità scientifica (che è compito della chimica), l'impossibilità di una attestazione di pari scientificità di una qualità organolettica che, se correttamente appicato, il metodo panel (come del resto altri) è perfettamente e scriminantemente in grado di dare, mi pare solo un modo goffo per tentare di abolire quelle virtù di qualità sostanziale che attengono ai prodotti di eccellenza. E che sono quasi sempre organoletticamente assai diversi da quelli che certa industria o certa produzione organizzata tenta di spacciare a scatola chiusa per extravergini di qualità.
Insomma trattiamo pure la questione per quello che è, cioè politico/economica, e non nascondiamoci dietro a un dito.

massimo occhinegro
massimo occhinegro
13 ottobre 2012 ore 12:16

I panel di assaggiatori sono forse quelli "denunciati" da Ettore Franca, preparati con i "bigini", filo immersion? Scuola Radio Elettra al confronto e' vera cultura, con rispetto parlando, per Scuola Radio Elettra.

http://www.teatronaturale.it/la-voce-dei-lettori/lettere/5708-il-mestiere-dell-assaggiatore-d-olio-e-l-iscrizione-agli-albi.htm

Siamo seri, per favore. No ai pressapochismi, no alle strumentalizzazioni di comodo. Unione Europea, Mondo e Italia, " espressione geografica"?

Vincenzo Lo Scalzo
Vincenzo Lo Scalzo
13 ottobre 2012 ore 08:56

Mi aspetto un palcoscenico di commenti e riflessioni ampio, tra cui a parere personale il più critico è relativo alle procedure operative per il mantenimento della rappresentatività del campione che - se già è la modalità di maggiore criticità per ogni campione di sostanze definite matericamente sono chimico-fisicamente - diventa ipercritico per una materia ancora viva e pertanto in evoluzione complessa e scambio con l'ambiente in continuità come un olio, un vino, un prosciutto.
La definizione di qualità alimentare gastronomica è altrettanto carente di scenario di classificazione condiviso. Tale base di riferimento rende il tema ancora più complesso.
Personalmente sono molto interessato alla definizione delle qualità alimentare gastronomica per la quale da oltre dieci anni non sono riuscito a promuovere un dibattito al di sopra delle parti nè in ambiente di comunicazione nè in ambiente di scienza.
Il blog non è un mezzo adatto alla sua esplorazione per la necessità di approfondimento dei dettagli di procedura tali da rendere trasferire l'apprezzamento dal panel ad una strumentazione olfattiva.
Scienza ed esperienza tuttavia evolvono e il blog è utilissimo per l'indicazione delle strade da percorrere o di particolari rilievi di poca affidabilità da mettere all'attenzione di qualsiasi esaminatore - assaggiatore - valutatore.