L'arca olearia

Ecco come nasce un olio extra vergine d'oliva da vendere a 2,59 euro al litro

Facciamo i conti in tasca all'industria e al commercio oleario. Davvero questi attori speculano alle spalle degli olivicoltori e dei frantoiani? Davvero gli oli in offerta possono essere solo frutto di sofisticazioni, adulterazioni o frodi?

21 gennaio 2012 | Alberto Grimelli

Gli extra vergini che troviamo sul mercato a prezzi bassissimi sono, per forza, frutto di sofisticazioni, adulterazioni o frodi?

E' questa la domanda a cui vuole rispondere quest'indagine che, per quanto sintetica e non esaustiva, offre uno spaccato economico realistico del mondo dell'industria e del commercio oleario.

Uno studio che non ha né velleità né presunzioni scientifiche ma solo una volontà informativa e divulgativa, cercando di spiegare come e perchè sono possibili certi prezzi nei supermercati.

Le quotazioni e i prezzi indicati sono frutto di ricerche personali e di informazioni raccolte tra gli operatori di questo settore. Si tratta di dati realistici, ancorchè suscettibili di modificazioni e correzioni in ragione delle varie specificità d'impresa.

Per comprendere meglio la realtà di mercato ho voluto suddividere i costi in due diverse categorie:

- costi industriali (costo di approvvigionamento, logistica, trasporti, imbottigliamento)

- costi aziendali (personale, ammortamenti per fabbricati e attrezzature, spese promozionali e commerciali...)

I costi industriali verranno trattati analiticamente, voce per voce.

I costi aziendali saranno considerati come percentuale sul costo industriale finale, essendo impossibile trattarli analiticamente, vista l'inevitabile variabilità strutturale e gestionale delle imprese. In considerazione di tale approccio, i costi aziendali saranno variabili in ragione della tipologia di prodotto. Un olio con prezzo basso ma con volumi di vendita molto elevati avrà un'incidenza percentuale dei costi aziendali più bassa di un prodotto a prezzo elevato ma con volumi di vendita più contenuti.

Fin qui i materiali e metodi dell'indagine.

Come viene "costruito" un olio destinato a essere venduto a 2,59 euro/litro sullo scaffale di un supermercato?

E' un'offerta commerciale piuttosto rara sul mercato italiano, tanto da fare notizia quando accade, e ha diversi scopi ma il profitto è marginale in questa operazione.

Si tratta infatti prevalentemente di un prodotto civetta, in promozione, studiato e realizzato appositamente per un'iniziativa commerciale “one shot”. Un colpo e via, basata spesso su volumi di vendita predeterminati.

L'iniziativa può essere utile sia all'industria sia alla grande distribuzione.

All'industria e commercio oleari può servire per esitare olio vecchio, che potrebbe venire declassato nel volgere di poco tempo. L'esitazione quale extra vergine, anche se a un prezzo molto basso, permette di ridurre le perdite. Può anche capitare di poter acquistare un olio simile a un prezzo d'occasione con il beneficio di aumentare fatturato e potere negoziale sul fornitore.

La grande distribuzione può utilizzare tale promozione per incrementare i fatturati in un periodo difficile, acquisire e fidelizzare clientela.

L'olio extra vergine in questione ha di solito almeno alcune caratteristiche chimiche e organolettiche border line, ovvero vicine ai limiti di legge. Trattandosi di un prodotto destinato a una rapida rotazione, ovvero a un consumo in tempi molto rapidi (alcune settimane), viene studiato e realizzato per soddisfare i requisiti normativi per tale periodo di tempo.

Può essere soggetto a contestazioni, specie per quanto riguarda la presenza di difetti organolettici, ma raramente i panel sono concordi, il che rende inefficace l'eventuale vertenza giudiziaria.

Costi industriali

La materia prima sarà di bassa qualità, spesso una miscela di oli di diversa provenienza, con forte probabilità di utilizzo di extra vergini di campagne precedenti. Gli stock ammontano a qualche centinaia di migliaia di tonnellate, fornendo all'industria un'offerta assai nutrita e variegata.

Costo aziendale

La fornitura di tale prodotto spesso è concordata con la GDO all'interno di un più ampio contratto. I volumi sono relativamente bassi e tale iniziativa viene considerata promozionale.

Per mantenere il prezzo particolarmente aggressivo, il ricarico dei costi aziendali su tale tipologia di prodotto deve essere bassa: 12% del costo industriale.

Riepilogo

COSTO INDUSTRIALE: 2,03 EURO/LITRO

COSTO AZIENDALE: 0,24 EURO/LITRO

COSTO TOTALE: 2,25 EURO/LITRO

IVA (4%): 0,1 EURO

COSTO FINALE: 2,35 EURO/LITRO

Conclusioni

Generalmente su tale prodotto l'industria non trae alcun profitto, limitandosi al beneficio di un incremento di fatturato, a un maggior potere negoziale con i fornitori o alla vendita di un prodotto che altrimenti avrebbe generato perdite più elevate se declassato.

Alla GDO, rispetto al prezzo a scaffale di 2,59 euro, rimane un margine lordo del 9% circa. Si tratta di un margine piuttosto esiguo che, per alcune catene, non arriva a coprire neanche i costi fissi di esercizio. Anche per questa ragione, spesso, tale offerte vengono promosse da discount o comunque insegne della Grande Distribuzione strutturate per lavorare con margini ridotti su prodotti che però hanno grandi volumi di vendita e soprattutto veloce rotazione.

In conclusione, un olio extra vergine d'oliva da 2,59 euro non necessariamente è frutto di frodi, adulterazioni e sofisticazioni ma può nascere per specifiche e contigenti esigenze dell'industria o della GDO.

La presenza di tale categoria di prodotto sul mercato, al netto di eventuali illeciti, è quindi dovuta prevalentemente agli elevatissimi stock presenti sul mercato che, tipicamente a ridosso della nuova campagna olearia, vengono venduti sottocosto o a condizioni commerciali eccezionali.

 

Nelle prossime puntate dell'inchiesta:

- extra vergine di fascia medio bassa (a scaffale dai 2,99 ai 3,99 euro)

- extra vergine premium, Made in Italy (a scaffale dai 3,99 ai 5,99 euro)

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giovanni raiano

15 febbraio 2012 ore 23:29

Bell'articolo, producendo vino più o meno mi trovo anche con i conti. Per esperienza personale non credo che non ci guadagni almeno 5 centesimi l'industria, altrimenti non potrebbero coprire il minimo rischio per la fornitura...Cmq in genere la Gdo chiede all'industria queste azioni anche non in presenza di stock invenduti per fare il volantino acchiappa clienti...Saluti

Raffaele Giannone

06 febbraio 2012 ore 13:56

Parimenti "caro" FRANCIOSO,
innanzitutto la ringrazio per la "sin-patia" che evidentemente intercorre fra due oliandoli, pur se sconosciuti l'uno all'altro, a dimostrazione che il rapporto umano e quel malinteso "romanticismo" o "passionalità" che malamente mi si addebitano, forse saranno pure entità%2

EMILIO FRANCIOSO

03 febbraio 2012 ore 09:57

Caro Breccolenti,
sono un "pugliese del Nord", figlio di uno di quegli emigranti contadini trasformati per forza in operai, e vivo in Lombardia. Può trovare il mio profilo su Facebook per agevolare un nostro incontro. Su Facebook amministro il gruppo "Ulivi secolari di Puglia, Giganti del Mediterraneo", nato 2 anni fa per dare spinta a un progetto di valorizzazione locale che rappresenta un esempio concreto di multifunzionalità dell'agricoltura. Anche grazie al nostro lavoro di informazione e divulgazione il WWF ha assegnato il Panda d'oro a questo progetto. A presto.

giovanni breccolenti

03 febbraio 2012 ore 08:57

Non so di dove è lei sign. Francioso,io sono di Perugia e assaggio,per passione e professionalmente da tanti anni,oli provenienti da tutta Italia e dall'estero,magari se non è troppo distante da me prima o poi ci si puo' incontrare.Ovunque vada, giro sempre con boccette vuote per riportare campioni di oli,magari anche con difetti e li catalogo per allenarmi continuamente.Addirittura i piu' rappresentativi li congelo per riscongelarli la stagione dopo (gli aromi cambiano di poco) per capire come sara' la nuova stagione.Questa passione,quasi malattia,per il prodotto si è ulterirmente accentuta proprio dopo che i risultati scientifici e medici ne hanno confermato le proprieta' benefiche,che ribadisco sono per il 90% attribuibili ad oli con polifenoli e tocoferoli alti(sopra a 250_300 mg/kg).E anche per questo ogni volta che sono davanti ad un olio con un profumo di essenze verdi,fragrante al naso,ogni volta che percepisco in tutte le papille gustative quell'amarognolo che è espressione di vita,ma soprattutto quando sento quel piccante in gola e magari anche delicatamente persistente devo dire che è sempre una grande emozione.Far capire questo deve essere considerata come una "misione".
Un saluto

EMILIO FRANCIOSO

03 febbraio 2012 ore 00:11

Stiamo riempiendo di commenti questa prima puntata di Grimelli, mentre già ne è zeppa la seconda... A dimostrazione che c'è tanto interesse e voglia di attenzione. Dico precisamente: "voglia di attenzione" espressa dall'agricoltore fino al consumatore. Ognuno di noi si preoccupa di dire la sua in cerca del sostegno dell'altro. Dovremo tramutare la passione personale in volontà collettiva per superare i romanticismi e costruire gli stimoli per questa imprenditoria debole che accusa i dolori della sua eccessiva frammentazione. In ogni caso, i piccoli produttori intraprendenti se ne sono fregati del prezzo puntando a offrire altri riferimenti valoriali al consumatore, ma non si farà nulla di stabile se mancherà l'educazione alimentare che condurrà il consumatore alla scelta consapevole. Il mercato "di nicchia" dovrebbe valere almeno il 10% del mercato nazionale per essere credibile e da questa soglia siamo ancora lontani. La grande industria dovrebbe favorire questo piccolo mercato, per difendere l'intero mercato dell'olio d'oliva dai prossimi attacchi degli altri grassi alimentari, pensate solo ai milioni di palme che si ammassano in Asia ed Africa e che cercano nuovi mercati puntando, guarda caso... sul prezzo.
E per difendere l'olio d'oliva si dovrà difendere il patrimonio olivicolo che è parte del paesaggio storico italiano. Non farlo sarebbe suicida. Altrimenti che cosa si dovrebbe fare per attaccarsi ad un reddito, destinare tutti gli ulivi secolari a piante da ecomuseo?! Il rischio non è l'ecomuseo (ben vengano se ben gestiti) che sposta l'ulivo dall'Agricoltura al Turismo, ma la necessità di abbattimento per mancanza di spazi coltivabili. Per fame!
Fa bene l'amico Vincenzo Lo Scalzo a spostare il nostro sguardo sui problemi concreti del villaggio globale. Le risposte arrivano dal pianeta e nessuna autarchia rende difendibile il nostro piccolo e prezioso Paese. Perciò dovremo ancora giocare con import-export per affermare il gusto made in Italy: ossia, dovremo "importare" turisti per affermare le esportazioni d'olio italiano, non credo sia possibile diversamente, la percezione qualitativa dovranno viverla qui da noi, immersi nella suggestione delle nostre atmosfere variegate. L'altra leva sarà il potere salutistico della dieta mediterranea.
Ok, cominciamo con il convincere gli italiani...

Ringrazio il Sig. Breccolenti, che leggo volentieri anche in altri commenti, per i consigli.
Lo scorso anno ho acquisito la "patente di assaggiatore", e con me altri due soci dell'associazione Amici dell'Olio Buono; ora cerchiamo di prestare assistenza agli altri soci organizzando assaggi, degustazioni, abbinamenti... Ci si dà da fare invitando anche chi ha più esperienza di noi.
E visto che chiude la sua scrivendo "...ne guadagnerà sicuramente il gusto e la salute" le confesso anche un'altra cosa. Mi occupo di giornalismo medico-scientifico da 20 anni e penso di aver raccolto una delle più ricche documentazioni di studi che certificano i benefici dell'extravergine. Questo è il primo motivo che mi porta qui, il secondo è essere cresciuto tra gli ulivi monumentali di Puglia. Grazie ancora.

Vincenzo Lo Scalzo

02 febbraio 2012 ore 21:36

Siamo amici, viviamo nello stesso paese, abbiamo in comune amori e passioni. Stiamo tuttavia attenti agli abbagli. L'Italia è un archivio di tesori da rimettere non solo in vetrina, ma alla luce e in piazza. Si, è possibile avviare, ipotizzare, sognare, preparare sapientemente per l'olio d'oliva italiano quello che è avvenuto nei secoli per lo champagne francese o, in Italia per il Barolo, per l'Amarone... Ma per il Parmigiano reggiano... perchè?? Le annate che ritroviamo nelle cave degli affinatori, come da Fiori ad Arona, sono un tesoro, ma il DOP genericamente omologato da un Consorzio che non ha retto a qualche anno di crisi, un po' meno, ma è sempre tesoro di un formaggio buono, un formaggio dai sapori "personalizzati", raramente imitabili, per l'Europa.
Tuttavia tante partite parlano un'altra lingua, la stessa lingua del Grana Padano, DOP che ha esteso la sua geografia a tutta la Padania ed i sapori sono omologati (foto copiati) dappertutto: Il Trentino ormai de-artigianalizzato ha dovuto concentrare sulla denominazione TrentinGrana la sua personalità, superiore, e distinguerla. Oppure la varietà delle Vacche Rosse... Il consumatore sta capendo.

L' Amarone è rimasto principe, le imitazioni non trovano spazio, nemmeno nella memoria. Altrettanto il Barolo. Gli ultimi cinquant'anni di storia fanno garanzia. Non sono poco ed il mondo lo ricorda e lo riconosce. Altri marchi si stanno riprendendo.

E' probabile che ciò si ripeta negli oli, ma fin d'ora sono coltivar italiane quelle scelte per forestare e vegetare valli indiane e cinesi, che hanno forestato e creato scenari che diverranno forse favolosi piani e valli d'Australia, Nuova Zelanda, sud America, Sud Africa, la California e quello che ne verrà.

Mi auguro che gli amanti storici dell'olea mediterranea potranno sapientemente decidere se immolare olivi centenari che non riescono a sostenere la sfida delle giovani generazioni prestanti e feconde: 3 bottigliette per pianta, non una... o scegliere di riprendere fiato con nuovi impegni... Il romanticismo appassiona, una vita economica da rivisitare...merita una seria riflessione.

Emilio Francioso anche in questa occasione predica e pratica saggezza, pur nel desiderio del piacere.
Ho riguardato oggi le speranze di India e Cina, perché 2,5 miliardi di bocche sono un potenziale incredibile. I cinesi amano il meglio, se possono acquisirlo: ritengo che nion mancheranno di essere il mercato più importante del mondo, come lo sono per i cognac superfini francesi, perchè per loro la tavola è forse ancor più sacra nel piacere del letto...

Alle prossime lezioni! In amicizia| La gomma naturale ha raddoppiato il prezzo, in un anno e mezzo... Ma anche la sintetica... Gli equilibri stentano, ma si riaggiustano se il sistema è trasparente.

giovanni breccolenti

02 febbraio 2012 ore 20:51

Sign. Francioso le vorrei provare a rispondere io ai suoi quesiti.
Con queste normative,sia dell'extravergine che della DOP,sinceramente non saprei cosa consigliarle,visto che non è permesso scrivere quasi nulla sull'etichetta dei parametri importanti che distinguono un olio (acidita',perossidi,polifenoli,tocoferoli,voto del panel ecc.),perche' dicono che è concorrenza sleale.Al massimo la potrei indirizzare verso qualche buon olio di bravissimi produttori che conosco e che vendono anche con un buon rapporto qualita' prezzo,ma non è detta che la trovi in un supermercato e non mi sembra la sede questa per far pubblicita'.Però anche li' ci possono essere ottimi oli a un prezzo decente,soprattutto le DOP,il problema è scoprire quali sono.Il consiglio che mi sento col cuore di darle è di imparare ad annusare e ad assaggiare l'olio,magari organizzando dei minicorsi con i consumatori della sua associazione.E' ovvio che anche dopo aver acquisito i fondamentali per riconoscere un olio di qualita',si trovera' davanti al suo scaffale con lo stesso dubbio,quale compro? Ne compri due o tre extra e due o tre DOP e li assaggi,magari sentendo anche il parere di un bravo assaggiatore,e poi ne scelga uno o magari due.
Oggi purtroppo siamo a questo,le etichette sono dei bei quadretti,ma dicono poco,bisogna quindi aggeggiarsi e imparare per conto proprio e le dirò che non è assolutamente una perdita di tempo,forse all'inizio di qualche soldo in piu',pero' poi quando avra' capito ne guadagnera' sicuramente il gusto e la salute.
Un saluto.

EMILIO FRANCIOSO

02 febbraio 2012 ore 19:39

Caro Giannone, mi permetta il "car"o per la simpatia che porto agli entusiasti/appassionati colti, le risposte ai miei quesiti sono arrivate e arrivano dai molteplici interventi e contributi che ogni giorno animano le pagine di TN. Certamente farò tesoro anche delle sue prossime risposte.
Sappia che il suo obiettivo non è distante dal mio. Quando nel 1993 Piero Antolini, presidente dei Mastri oleari, lesse la sincerità del mio entusiasmo, mi suggerì di fondare un'associazione di consumatori. L'associazione Amici dell'Olio Buono è rimasta sopita dall'anno della sua fondazione, il 1996, al 2010, in questi anni siamo andati a caccia di olio buono su e giù per l'Italia e abbiamo davvero fatto tante felici scoperte (qualcuna anche infelice).
Ora che il numero dei soci è cresciuto sono anche cresciute anche le esigenze e le aspettative. Tra noi c'è chi sostiene che sia ora di trovare oli aromatici, magari monocultivar, equilibratamente amari e piccanti anche nei supermercati a prezzi ragionevoli. Forse non ci crederà ma qualcuno di noi ha messo insieme dati e calcoli arrivando a sostenere che se costano meno di 12 euro gli oli non possono essere eccellenti. E alcuni di questi signori, la prego di credermi, non hanno mai assistito a raccolta o frangitura, ma dialogano con i produttori per il solo piacere di farlo e di dire che hanno imparato qualcosa. Il consumatore può trasformarsi in un animale strano, coccolabile dalle mode e capace di dare fiducia ai tiranni (non è questo il caso).
Questa mia soltanto per acclarare che innanzitutto è necessario imparare a conoscere e riconoscere. Per tutte le cose è necessario andare a scuola carpendo il sapere dell'esperienza altrui. E se ci saranno scuole, insegnanti e studenti sono sicuro che il suo sogno diventerà realtà.

Raffaele Giannone

02 febbraio 2012 ore 17:52

Egregi signori e,permettetemi,amici,
i ricordi del liceo mi fanno ripensare al "sine ira et studio" con cui nientemeno che Tacito aspirava a scrivere i suoi Annales...e io, più mediocremente, spero di non dimostrare certamente ira, ma solo un pò di sano entusiasmo/passione (studio)in quello che vado propinandovi da qualche giorno a questa parte!
Abbiate pazienza se non m'inoltro nei meandri, pur significativi, delle percentuali, dei margini centesimali di profitto, di argomenti alla moda come packaging e marketing..roba che lascio a chi ha più tempo e competenza,come il buon Grimelli che non coglie la provocazione costruttiva e comunque legittimamente dissenziente del mio periodare.
Vivendo in QUESTO mondo come voi (e non fra cavernicoli e montanari sperduti..)so benissimo cosa vale fare fatturato, reddito, profitto, imprenditoria moderna e innovativa, fare e-commerce, fare biologico per scelta e per strategia, molire e imbottigliare per scelta e per strategia aziendale, partecipare a corsi, concorsi, associazioni, fiere , e chi più ne ha più ne metta..
Se non sono riuscito ad esprimere compiutamente il mio miserrimo parere è certamente per colpa mia e me ne scuso. Proverò un'ultima volta (a riguardo) e poi toglierò il disturbo a lor signori...La primavera si avvicina e le mie centinaia di piante di olivo mi aspettano, non so se riuscirò a rubare tempo alla mia professione e alla mia famiglia per loro...!
Dunque ben vengano le elucubrazioni dotte, documentate, direi scientifiche del sig. Grimelli a cui va la mia sincera ,e sottolineo sincera, considerazione.
Mio convincimento è un altro: considerato, atteso, accettato da Grimelli e da mille altri studiosi che l'olivicoltura italiana è forse nel periodo più critico della sua millenaria storia,che stentiamo a tenere il passo di Spagna e altri, al momento imbattibili sul piano delle quantità e del costo/prezzo.
E' verosimile che il procedere della cosiddetta globalizzazione tutto farà, meno che riallineare i costi/prezzi delle nuove nazioni produttrici,essendo questa una questione di macro-economia e di cambiamenti sociali, epocale, per non dire di evoluzione umana.
Dato uno sguardo,possibilmente "tacitiano" , all'attuale situazione della presenza italiana nel mercato globale,dove risultiamo paese esportatore...pur non producendo nemmeno l'olio necessario al nostro fabbisogno interno..!
Mi CHIEDO e vi CHIEDO, è possibile che qualcuno faccia balenare la remota possibilità di salvare l'olivicoltura italiana NON rincorrendo la suicida frenesia del prezzo più basso, degli oliveti super-intensivi,delle scavallatrici sui "cespugli d'olivo", sugli oliveti da spiantare ogni 25 anni, etc..etc..per non parlare dei blend (così oggi si chiamano le miscele !!) con oli di dubbia origine e fattura ????
E' possibile avviare,ipotizzare,sognare,preparare sapientemente per l'olio d'oliva italiano quello che è avvenuto nei secoli per lo champagne francese o per il barolo, per l'Amarone,per il Parmigiano reggiano etc.??
Viva Iddio,poi nei banconi della GDO continueremo sempre a trovare (mi perdonino le ditte!!) lo spumantino Rocca dei ...deboli da 2 euro,il vinello in cartoccio da 1,5 euro, il mattone di formaggio fuso da 3euro, ma sapremo che il VERO OLIO d'OLIVA ITALIANO(senza altri aggettivi) può, e mi si permetta,DEVE COSTARE da 8 euro in su .
Mi si dirà...e i grandi guadagni? I grandi marchi? I consumatori di massa? Rispondo che come non ci si scandalizza,anzi diventa tradizione,acquistare uno champagne a 35 euro la bottiglia, si comprerà olio VERO a 8/10euro. Insomma la qualità HA un suo PREZZO.
Di certo c'è che l'attuale rincorsa al prezzo più basso sta portando o a enormi alterazioni e frodi alimentari o al fallimento definitivo dell'olivicoltura di qualità.
La qualità,poi, non è un'araba fenice o un termine generico,come mi viene ingiustamente addebitato, ma su questo,pur potendolo, mi astengo per non sfiorare nemmeno la sucettibilità la competenza scientifica di chi ne sa più di me.

In conclusione, per riprendere Tacito, senza ira, ma con benevolo "studio" voglio ringraziare chi,come Grimelli, affronta fior di analisi e proiezioni e c'informa su quel che avviene nella "bolgia" del mercato globale, delle SOS Chuetara spagnole, etc. permettendomi solamente di ricordare loro che possono esistere altri spunti e,perchè no,opportunità evolutive dell'olio d'oliva, italiano in particolare.

Io resto convinto, da cassandro di montagna, che i nostri olivi ora stanno ridendo delle
nostre dispute, perchè fra mille anni noi e i nostri numeri saremo polvere, mentre
loro continueranno a veleggiare nel sole e nel vento! E questo mi conforta.

Cordialmente, Raffaele Giannone.

P.S. spero di poter rispondere al sig. Francioso appena possibile.

EMILIO FRANCIOSO

02 febbraio 2012 ore 11:47

Sig. Giannone,
le confesso che fa piacere leggere la fortissima passione che dedica all'uliveto e all'extravergine che se ne dovrebbe sempre estrarre, ossia il supereccellente per antonomasia, ma qui si rischia la sterilità se continua a leggere Grimelli con lo spirito di Don Chisciotte. Se lei non è per nulla interessato al mass-market fa solo bene, ciò indica che per vendere la sua eccellentissima produzione di olio ha leve alternative alle regole dei mercati "all'ingrosso". Ottimo! Ma tre cose vorrei chiederle:

1) Lei a me, consumatore e rappresentante di un gruppo di consumatori, che cosa può consigliare quando devo scegliere davanti ad uno scaffale di extravergini? Tenga presente che questa è una risposta attesa dal 98% degli abitanti delle grandi città italiane.

2) Nel mercato di nicchia, quello a cui personalmente sono interessato, supponendo che lei sia stato bravo ad attirare l'attenzione sulla sua azienda, che contenuti sa trasmettermi perché io percepisca l'eccellenza e mi faccia acquistare il suo olio? E a che prezzo?

3) E sempre nel mercato di nicchia esistono parametri per capire se è possibile formulare una sorta di prezzo medio? La gente comune, sa, ha bisogno di riferimenti e di distinzioni...

In attesa delle sue cortesi risposte, vorrei fare una semplice considerazione:
stiamo parlando troppo inter nos, dovremmo sederci ad un tavolo politico (per la polis) con proposte ed idee capaci di far diventare il mercato della qualità un mercato più importante e stabile, anche nell'interesse della grande industria dell'olio. E senza le preziose informazioni che ci sta trasmettendo Grimelli non potremmo farlo mai.

Cordialmente
Emilio Francioso, consumatore "per scelta"

Alberto Grimelli

02 febbraio 2012 ore 10:13

Gent. Sig. Giannone,
ferma restando la necessità di abbassare i toni, per dar luogo a una discussione più serena e tranquilla, le posso confermare che nessuno qui è ostile al settore olivicolo-oleario e tantomeno ai piccoli produttori come lei.
Prendo altresì atto che lei non ha letto i commenti all'articolo e probabilmente un po' superficialmente l'articolo.
Visto che sugli scaffali dei supermarket si trovano oli extra vergini d'oliva a 2,59 euro/litro e 2,99 euro/litro, visto che molti non si spiegano come sia possibile, se non attraverso frodi e sofisticazioni, ho deciso di approfondire la materia. Al pari di quanto fatto nel 2004 per i costi di produzione, ho intervistato persone, consultato documenti e varie fonti per delineare un quadro realistico.
Non è quindi una mia visione ma un approfondimento della realtà.
Comprendo bene la sua passione, essendo io stesso olivicoltore. I miei olivi sono su terrazzamenti e so bene quanta fatica e sacrifici comporti la loro coltivazione. Questo non significa però che debba fuggire o rifiutare la realtà. Questa mi dice che i supermercati vendono l'olio extra vergine a queste cifre. Capire come è possibile, che tipo di olio extra vergine è, da dove viene, come opera l'industria/commercio e la GDO è mio preciso interesse perchè solo così posso individuare gli elementi per cui posso differenziarmi.
In altre parole, solo partendo da questa indagine economica basilare può seguire un serio ragionamento su un percorso di valorizzazione lungo il quale l'industria/commercio non può seguire olivicoltori e frantoiani. Occorrerà poi capire se gli elementi individuati sono o possono essere apprezzati dal consumatore, il quale dovrà riconoscere un premio di prezzo. Troppo spesso, nel recente passato, gli elementi individuati sono stati, proprio per olivicoltori e frantoiani, fonte di cocenti delusioni. Forse è il momento di partire da zero e cominciare a ragionare da imprenditori. Gli olivicoltori/frantoiani che vogliono ricavare un reddito dal loro lavoro, non devono essere nè santi nè eroi. Esattamente come non lo sono i vitivinicoltori che, al contrario, sono e operano come imprenditori, quindi nella logica del profitto.
Non si può "uscire dagli schemi del profitto". Occorre invece fare profitto uscendo dalla logica del prodotto di massa, che caratterizza l'industria/commercio. Ma qual'è la logica del prodotto di massa? Qual'è la logica e il percorso sottointesi alla vendita di olio extra vergine d'oliva nella GDO ai prezzi che conosciamo?
Le statistiche e le analisi economiche, per quanto a lei sgradite, servono esattamente a questo. Olivicoltori e frantoiani non possono essere tanti piccoli eremiti. Non si può vivere solo nel proprio piccolo mondo, coltivando il proprio orticello e pensare che questo, di per sè, sia elemento di valorizzazione della propria produzione. Troppo spesso il mondo olivicolo/oleario si è trincerato dietro a termini generici, come qualità e distinzione, che devono però essere riempiti di contenuti per dar loro un valore.
So che può far male sentirselo dire ma senza un profitto l'olivicoltura italiana è destinata a morire. I vitivinicoltori si sono creati il mercato, il loro spazio di nicchia che hanno accudito esattamente come le vigne. Per costruire un mercato di nicchia occorre prima di tutto capire qual'è quello di massa, cosa lo caratterizza e quindi individuare elementi di differenziazione e riempirli di contenuti apprezzati dal consumatore. I vitivinicoltori l'hanno fatto, trasformandosi da semplici agricoltori in imprenditori. E' un salto culturale che prevede l'accettazione della realtà, di un quadro economico di riferimento, della presa di coscienza che un mercato di massa e un mercato di nicchia possono coesistere, che il mercato di nicchia va costruito.
Cordiali saluti
Alberto Grimelli

Raffaele Giannone

01 febbraio 2012 ore 19:43

Excusatio non petita....
Non ho l'onore di conoscere il sig. Lo Scalz,ma immagino, nell'interesse di Gramellini, a cui mi sono rivolto con la schiettezza e la correttezza di un "montanaro", che egli non sia un suo solerte scudiero!
Ma,come tutti i montanari,non mi sottraggo alla"pugna" !
La cortesia me la faccia Lei,illustre Lo Scalzo,a non interloquire con tanto sarcasmo e supponenza.
Molto umilmente io parlo da OPERATORE, da frantoiano, da continuatore di generazioni di olivicoltori anche se non certamente da olimpico "esperto del settore" quale Lei certamente ritiene di essere.
Io parlo a lei,e ,mi auguro, soprattutto a chi ha veramente a cuore l'olivicoltura italiana, di eccellenze, di qualità inimitabili,del tesoro preziosissimo che il nostro sud svende al "suo" mondo globalizzato e ai suoi altisonanti settemiliardi d'individui...EMBE'?? Dimentichi per un attimo i numeri....e mi spieghi il perchè noi si debba rincorrere il suicidio del mercato iberico,tunisino..del prezzo più bassodelpèrezzo ai centesimi...ma tanto gratificante per qualche esimio economista da scrivania...
Perchè non URLATE al mondo che anche per l'olio può e deve esserci una distinzione,come per i vini, fra vinello e Barbaresco..fra gassosa..e Champagne...
Esca una volta tanto dai suoi "aurei" discorsi intrisi di ansia da prestazione in borsa...cammini fra olivi e frantoi...senta il profumo del vero OLIO d'OLIVA...lasci perdere le battute sul medioevo e gli otri di capra,dimostrando più rispetto verso i contadini che forse faranno anche vin santo..ma certamente fanno il SANTO lavoro di presidiare la montagna e l'olivicoltura italiana!
Teatro naturale dell'ottimo Caricato, penso serva ANCHE a questo,con buona pace delle statistiche a cui Lei tanto tiene,foss'anche,e mi stupisco, per interposta persona!
La mia vuole essere solo una proposta, forse provocatoria, ma sincera,di provare ad USCIRE dagli schemi perdenti del profitto e del dividendo, sicuramente perdente per i costi italiani in un mondo globalizzato,puntando sullaqualità e sulla distinzione spinta all'estremo (sull'esempio dei vini).
Cordialmente.
Raffaele Giannone,olivicoltore

Vincenzo Lo Scalzo

01 febbraio 2012 ore 18:04

Per cortesia, siamo nell'anno 2012, in 7 miliardi di bocche umane, distribuite in continenti e i continenti in nazioni.
L'Italia e prima Roma è il riferimento storico degli ultimi 20 secoli di storia del condimento dell'alimentazione umana tra i più diffusi nel pianeta, in continuo incremento, perchè cresce vigorosamente in natura accanto al lavoro e la mente dell'uomo. Mettere in dubbio come "visione" l'argomento in corso di sviluppo che consiste nella descrizione dello scenario economico delle fasce di qualità e di prezzi degli oli d'oliva che il Dr Grimelli sta presentando in Teatro Naturale è come mettere in dubbio che l'Italia consti di una penisola, di due grandi isole e di altre più piccole, bellissime, con la loro storia umana storica che si sviluppa socialmente nei territori subito dopo l'ultima era di ritorno a temperature meno glaciali, circa 10.000 anni fa. L'olio si lascia riconoscere, per quanto ne sappiamo, da 6000 anni fa. Detto questo, 6000 anni fa c'erano si e no 20.000.000 (ventimilioni di abitanti) nel mondo conosciuto (riferimento http://it.wikipedia.org/wiki/Popolazione_mondiale#Stime_sul_numero_totale_di_esseri_umani_vissuti_sulla_Terra_in_ogni_epoca).

Mi perdoni, mancano ancora 3 o 4 puntate al completamento delle informazioni sullo stato in Italia e nel mondo dei costi e dei prezzi dell'oliod'oliva extravergine. L'Italia e i lettori di Teatro Naturale hanno la fortuna e l'opportunità di farsi un'idea di quale sia la situazione dei prezzi e costi dell'olio che possono trovare sugli scaffali della grande distribuzione e nelle cantine dei castelli e cantine a ridosso degli oliveti o dei villaggi rurali che ancora lo conservano in orci di terracotta. Oggi non più negli otri di pelle del medioevo...

Si rassicuri che l'olio della sua montagna vale tutta la sua passione ed il lavoro che lei fa, come da centinaia di anni capita a tutti i rari contadini che fanno ancora vin santo, quello da offrire agli amici più cari, oltre che al prete per fare messa sacra.

Raffaele Giannone

01 febbraio 2012 ore 16:43

Egr. sig. Grimelli,
non certo per avviare una polemica lontana dalle mie intenzioni e dallo spirito del mio commento, ma mipermetta di precisare alcune forzature gratuite :
1) non contesto MAI norme, leggi o regolamenti conoscendone benissimo la fonte, la sede e le finalità sociali, semmai contestavo e contesto, civilmente, la SUA visione dell'argomento! (Fermo restando il diritto inviolabile di cittadino..ma questa è altra storia!)
2) il fatto che lei inscriva,bontà sua,l'olio d'oliva fra i "prodotti" agroalimentari la dice tutta sulla distanza fra la "passione" di un olivicoltore e un erudito contabile;
3) ho avuto modo di snellire la mia ignoranza leggendo l'articolo del 2004 (!) che mi ha consigliato. La lettura mi rende ancora più critico verso il suo ultimo scritto, se solo riporto quelloche lei stesso indica ( nel2004 !!) come costi minimi (3.63 €) e massimi (6,60 €)di un kg di olio. Ergo, nel 2012 in una pubblicazione,immagino diretta ANCHE alla filiera italiana,come può concepire un costo base di € 1,60 ?

Concludo confermandole la mia completa stima e sincerità,forse solo ombreggiata dall'evidente passione (di cui sono orgoglioso) di picolo olivicoltore di montagna!
Montagna sulla quale forse non arriveranno mai studi statistici, luminari del mercato e sapientoni delle percentuali,ma dove, le assicuro, contribuisco ad ESTRARRE ancora vero e splendido olio d'oliva....semplicemente ..d'oliva!
Raffaele Giannone

Alberto Grimelli

31 gennaio 2012 ore 18:57

Gent. Sig. Giannone,
l'articolo non è un'esaltazione o valorizzazione dell'extra vergine, tanto meno italiano, ma un semplice conto economico. I conti, di per sè, devono essere freddi, perchè oggettivi, ovvero scevri da quella passione che il suo commento dimostra.
La filiera olivicolo-olearia è una filiera agroalimentare e l'olio extra vergine d'oliva è un prodotto agroalimentare, a tutti gli effetti.
Olio extra vergine d'oliva è anche una denominazione commerciale, ben regolamentata.
Naturalmente lei può contestare tutte le norme, le leggi, i regolamenti che stanno alla base della produzione e commercializzazione dell'olio extra vergine d'oliva ma finchè queste sono, occorre rispettarle e farci di conto.
In altre parole il quadro è questo, che lei lo condivida o meno.
Nell'articolo non si parla di olio extra vergine italiano a 1,60 euro/kg ma, se rileggerà con attenzione, di oli di diversa provenienza. Rileggendo i commenti, riportati di seguito all'articolo, potrà anche capire l'origine del prezzo di 1,60 euro/kg e le motivazioni per cui non sono partito dal costo di produzione dell'olio ma dalle quotazioni internazionali.
In merito alla sua domanda: sì, conosco bene i costi di produzione dell'olio extra vergine, tanto da averne scritto un articolo proprio su Teatro Naturale: http://www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/l-arca-olearia/633-olio-extravergine-d-oliva-ma-quanto-mi-costi-ecco-un-approfondita-analisi-delle-voci-di-spesa.htm. E' del 2004, un po' datato ma è sufficiente un aggiornamento delle cifre per arrivare al costo di produzione attuale.
La invito anche a una rilettura di tutti i commenti, forse potrà cogliere lo spirito con cui questa inchiesta è stata realizzata.
Cordiali saluti
Alberto Grimelli

Raffaele Giannone

31 gennaio 2012 ore 18:23

Egregio sig. Grimelli, mi permetta di esprimerle il mio più profondo, sentito e sconfortato dissenso di fronte a "tanta" fredda e cinica lontananza dal mondo olivicolo e oleario.
Rispetto la minuzia contabile dei suoi calcoletti da ragioniere d'impresa,ma,mi permetta, contesto totalmente la sua impostazione di fondo.
Lei che parla di olio extravergine senza dire nulla della mendace dizione commerciale, passa poi alla semplice voce "olio" e infine..all'assimilazione a "prodotto industriale"..ma suvvia!Innanzitutto per sua cultura sappia che l'Olio d'oliva NON è un prodotto, ma un ESTRATTO e poi...mi dica DOVE, COME e con quali MEZZI lei è riuscito a trovare un olio extravergine italiano con costo base di 1,60 € iva inclusa!!
Lei sa come si arriva al costo EFFETTIVO di un kg di VERO OLIO??
Ne dubito.
Il guaio..è che semina sale..sullegià esangui speranzedi risollevare l'olivicoltura italiana!!
La prossima volta provi amettere un pò piùdi anima e di partecipazione umana a quello che scrive!!
Senza astio.
Un olivicoltore molisano
Raffaele Giannone

Pietro Hausmann

26 gennaio 2012 ore 15:48

Ora la mia domanda è: e perchè dovrei comprarlo?

Cioè da consumatore non riesco a capire il ragionamento che fa chi lo compra.....

Vincenzo Lo Scalzo

25 gennaio 2012 ore 20:59

Emilio, mi piace questa sintesi! E' razionale e va trasformata in piano operativo, attuabile tatticamente e strategicamente, possibilmente consolidando le risorse per la sua capacità di dimostrare la validità degli obiettivi.
Quello commentato è stato il campionato delle commodities. Abbiamo altri campionati alla ribalta e sono curioso di verificare le riflessioni e motivazioni che susciteranno.
Controfirmo, per il poco che conta, l'affermazione conclusiva che ritengo comdvisibile per ciascuno degli scenari che seguiranno.

EMILIO FRANCIOSO

25 gennaio 2012 ore 17:39

Gli ultimi due puntuali interventi dei sig. Bellucci e Breccolenti, riportano a galla i due presupposti cardinali da cui credo si debba ripartire per parlare di consumatore e mercato costruttivamente.

1)Il consumatore deve conoscere il cibo di cui si nutre a cominciare dalla scuola primaria (se non addirittura materna); così, per esempio, potrà valutare da sé il rapporto tra data di scadenza e mantenimento delle caratteristiche qualitative dell'extravergine. Questo sarebbe anche l'unico modo per sensibilizzarlo alla sana alimentazione e alla corretta dieta mediterranea. Sensibilità che gli renderebbe più facile sia aggiornarsi sia scoprire che dietro ad ogni alimento c'è un mondo di curiosità e piaceri da approfondire. C'è una terra e il suo territorio con persone che sanno dare il meglio per ottenere il meglio, compresa la creazione di attenzioni e servizi per la sua visita.

2)Riconoscere il doppio binario per il mercato dell'extravergine significa riconoscere l'esistenza di domande diverse. Quello della quantità non farà la parte del "cattivo", ma sarà semplicemente il mercato di massa, senza particolari esigenze, dalla filiera più o meno lunga e che comunque dovrà saper vigilare e promuovere intelligentemente il consumo.
Quello della qualità non farà la parte del "buono", ma dovrà rappresentare l'esempio d'eccellenza. Per poter acquisire quote dovrà puntare a distinguersi, creando attorno alla sua filiera cortissima un indotto capace di dare il giusto valore alla propria nicchia, portando il consumatore alla fonte, invogliandolo a tornare.

Credo che, in regime di onestà e professionalità, questi mercati avranno bisogno l'uno dell'altro e, soprattutto nel caso dell'olio, l'economia italiana avrà bisogno di loro per recuperare nell'agroalimentare la sintonia e il rispetto del "saper fare", la dignità dell'esperienza sudata e la stima oltreconfine.

giovanni breccolenti

25 gennaio 2012 ore 14:08

Ecco un altro grosso problema dovuto sempre a regolamenti sbagliati fin dalle fondamenta che il sign Bellucci mette in evidenza.Si puo' dare a un olio una scadenza di diciotto mesi a partire dalla data di imbottigliamento che puo' avvenire anche a agosto dell'anno successivo alla produzione?Non solo,magari ad oli che in partenza avevano solo i regolari(un'assurdita') 100-150 polifenoli che in genarale le norme dop prevedono? Dopo due anni quegli oli non è che sono morti,sono sepolti(a parte eccezioni di oli che partono con oltre 600 di polifenoli e che riescono a rimanere in vita anche dopo due anni).Badate bene,non è che voglio dire che quegli oli siano dannosi per la salute,io per morte di un olio intendo la fine delle sostanze antissodanti e aromatiche che fanno si che un olio sia"vivo".Proprio una gran bella pubblicita' per le nostre DOP,queste normative.
Educare il consumatore,restringere i parametri chimici,aumentare i livello dei polifenoli in tutti gli extravergini e soprattutto nei DOP è basilare,anche alla luce della grande importanza salutistica che hanno assunto quest'ultimi;infine portare a sedici mesi dall'ottenimento dell'olio,la scadenza.Poche cose ma chiare.

Luigi Bellucci

24 gennaio 2012 ore 17:10

Carissimo Alberto, molto chiaro ed esauriente l'articolo. Come membro di panel test faccio spesso esperimenti con oli acquistati nella grande distribuzione e concordo sul fatto che siano spesso oltre "il limite" dell'extravergine e con qualche difetto già evidente, anche se spessissimo non ben identificabile da un panel di assaggio.
Ciò che mi lascia spesso interdetto è invece di trovare, sempre nlla GDO, degli oli DOP a prezzo pieno e vicini alla scadenza, come il DOP Umbria a 19 Euro / litro, "Produzione 2009 - Scadenza 04/2012" visto la settimana scorsa a Chiavari, o il DOP Riviera dei Fiori a 18 Euro /litro, "Produzione 2010 - Scadenza 06-2012" visto il 3 gennaio a Bordighera.
E magari il produttore di quell'olio non ne sa nulla. Certo che chi lo compra non si sarà fatto una bella idea sulgi oli DOP, che avrà giudicato eccessivamente cari in rapporto alla qualità. A mio parere in questi casi la GDO si dà un po' la zappa sui piedi. Che ne pensi?

Vincenzo Lo Scalzo

23 gennaio 2012 ore 15:00

Dr Grimelli, chioso il suo ultimo commento "Sono giovane ma frequento il settore oleario da abbastanza tempo da sapere che negli anni tanti parametri analitici, tante metodiche, tanti bollini sono stati indicati come l'ancora di salvezza. Poi si sono avute cocenti delusioni.
Di burocrazia nel mondo dell'olio ce n'è anche troppa. Altra non serve" con quanto segue: sono anziano, bastano 79?, e condivido la stessa osservazione. Per sua statistica: noi consumiamo poco più di 30 kg di "olio del pianto" all'anno... in due (coevi). E siamo felici di pagarlo quanto costa produrlo, a casa via PP, a 8 E/kg, per la fiducia ed il nostro piacere.

Quest'anno la nostra amica di Brindisi ha scelto e raccolto solo il 20% della produzione, lasciando la libertà di liberare le piante dal loro frutto alla popolazione locale. Come Luigi sa, i miei amici altrettanto antichi, a Greve hanno lasciato sulla piante l'intera stagione di frutto! Sono li da secoli...ma la burocrazia che si addossa al raccolto e altro non consente agli anziani miei coevi di perseguire un piacere incomprese reso addirittura "sacrificio", Si parliamone se volete al Festival, perchè il problema è vostro, delle giovani generazioni.
Per chi va a scegliere dagli scaffali della GDO, data la difficoltà di trovare indicazioni appropriate in etichetta primaria e secondaria (quando è ammessa) sarebbe meglio avere fiducia della competenza dei "Private Label". E' cosi in Europa, raramente in Italia.
Ma ne potremmo chiarire dubbi ed esperienze: i dubbi imperversano e le esperienze sono contate nel nostro paese, a partire dai primi anni '80, quando partì l'idea nel marketing dei prodotti "Private Label" tra "consumer goods" in Europa. Quindi singoli Marchi con le garanzie dei produttori e Private Label con la garanzia del distributore.
Il mio amico Harry è in grado di testimoniare...la nascita, la crescita e lo sviluppo ad oggi: anche con due protesi alle rotule dei due ginocchi... E' una storia vera e se i giovani manager specializzati non l'hanno ascoltata ai loro master... non posso fare altro che far loro sapere che funziona ancora, nel mondo, non solo in Nord Europa e in UK...

D a Londra a Milano non ci vorrebbe molto: auguriaoci di proporlo per l'edizione 2013, augurandoci di esserci ancora (autosostegno!)...


Alberto Grimelli

23 gennaio 2012 ore 13:26

Gent. Sig. Breccolenti,
le lancio una provocazione. Se il mercato di nicchia arrivasse al 15%? E' un obiettivo tutt'altro che utopistico. A conti fatti significa poco più di un litro pro capite all'anno.
Perchè allora la quota di mercato di questo olio di nicchia è statica, ferma, immobile da tanti anni? E' questa la domanda chiave, attorno a cui tutto ruota.
La crisi economica globale ha certamente eroso potere d'acquisto, a scapito di beni voluttuari, tra cui rientrerebbero gli extra vergini di nicchia.
Il vero problema, però, è che il sistema olivicolo è stato esso stesso troppo statico per anni, contando che la semplice introduzione di certe normative portasse, di per sé, un aumento delle quotazioni.
Prima le Dop, poi il Made in Italy, infine certificazioni di filiera ecc ecc
Non si è capito un dato essenziale.
I bollini, le certificazioni, così come le analisi, di qualunque tipo, sono degli strumenti in mano agli imprenditori. Se non si usano correttamente, non si ricava alcun vantaggio.
E' come avere parcheggiata nel garage una Ferrari e poi lamentarsi di dover prendere l'autobus. La Ferrari c'è, basta tirarla fuori dal garage. Il vero problema, la reale nota dolente dell'olivicoltura, è che sono pochi coloro i quali sanno guidare la Ferrari.
Un amico mi ha raccontato che recentemente ha partecipato a una sessione di degustazione con la presenza di molti produttori. Il capo panel ha esordito chiedendo ai presenti quanti sapessero la differenza tra olio extra vergine e olio d'oliva. Vi è stato un imbarazzante silenzio.
Le assicuro che non si tratta di un caso così isolato. Magari non si raggiungono questi livelli ma spesso la cultura oliandola dei produttori è assai scarsa.
Se l'unico argomento che si utilizza col consumatore è: “senti com'è buono quest'olio, mica come la schifezza che ti vende l'industria”, non si andrà molto lontano. L'extra vergine deve emozionare ma il produttore deve ispirare fiducia e competenza.
Il settore dell'olio d'oliva sta perdendo credibilità anno dopo anno. Le inchieste giornalistiche che si sono susseguite hanno fatto perdere la fiducia del consumatore. E' per riconquistarla che vorremmo implementare tutti questi nuovi sistemi analitici (DNA, isotopi ed altro). Ma serviranno davvero se poi tutto il resto rimarrà com'è ora?
Sono giovane ma frequento il settore oleario da abbastanza tempo da sapere che negli anni tanti parametri analitici, tante metodiche, tanti bollini sono stati indicati come l'ancora di salvezza. Poi si sono avute cocenti delusioni.
Di burocrazia nel mondo dell'olio ce n'è anche troppa. Altra non serve.
Di iniziativa pubblica (promozionale e d'altro genere) ce n'è ugualmente in abbondanza e non sempre è utile.
In sintesi. Ben vengano tutti gli strumenti analitici, le certificazioni, i nuovi parametri, gli studi e le ricerche. Ben venga anche l'indicazione in etichetta di tutto questo, purchè abbia carattere volontario, ovvero sia strumento per quegli imprenditori che vogliano caratterizzare meglio il loro prodotto, conferendo un valore aggiunto. Gli strumenti non bastano se non ci sono coloro che dovrebbero beneficiarne attraverso il loro lavoro di marketing, di promozione e di comunicazione.
Infine. L'olio che lei descrive e immagina è l'extra vergine che l'industria e il commercio oleario descrivono come premium e che sarà oggetto dell'ultima puntata dell'inchiesta, sabato 4 febbraio. Numeri alla mano ne potremo riparlare.
Cordiali saluti
Alberto Grimelli

giovanni breccolenti

22 gennaio 2012 ore 20:03

Sign. Grimelli,intanto vorrei dirle che è un piacere interloquire con lei soprattutto dopo la meravigliosa espressione che lei ha usato riferendosi all'olio di nicchia:"deve emozionare",daccordo con lei in assoluto.Pero' c'è da dire che questi oli che emozionano delle tre o quattrocento aziende sparse in tutta Italia sono una percentuale molto bassa dell'olio consumato in Italia,un uno o due per cento a stare larghi.E ce da dire che queste eccezionali piccole e medie aziende che producono di media poche decine di quintali di olio che emoziona veramente, sono fuori categoria,ma soprattutto non hanno un reale bisogno del doppio binario per vendere i loro prodotti, anche a prezzi elevati.I premi,le guide,il consumatore preparato li caratterizza e li rende immuni da tutto.
Quest'alta qualita' è quindi necessaria non per il prodotto di nicchia ma piu' che altro per avere sul mercato anche un prodotto medio-alto,ben distinguibile,cosa che con la sola dicitura extravergine non è facile da mettere in evidenza.Se ci abbiniamo a questo una auspicabile quanto mai ormai necessaria ufficialita' delle metodiche del DNA per la caratterizzazione varietale e quindi di provenienza dell'olio,potremmo immettere nel mercato un prodotto sicuro Italiano,di buona qualita'con un prezzo adeguato. Soprattutto saremo in grado di dare al consumatore un prodotto che ha,oltre a un'alta percentuale di omega (3-6-9)con i giusti rapporti,quelle proprieta' salutistiche aggiuntive che oggi vengono decantate,dipendenti dalla giusta presenza nell'olio delle sostanze fenoliche.
Pero' su una cosa mi piacerebbe sapere il suo parere:la ritiene una cosa positiva che il cosumatore quando compra una bottiglia non debba sapere in toto che cosa c'è dentro? Ma è mai possibile che oltre ai salutari acidi grassi insaturi(omega)non ci siano scritti i quantitativi e il tipo di polifenoli?Ma qual'è la paura?Dove sta la sleale concorrenza?

Alberto Grimelli

22 gennaio 2012 ore 14:21

Gent. Sig. Breccolenti,
come detto affronteremo in inchieste e speciali successivi gli aspetti relativi alla promozione e al marketing, ovvero a come creare questo secondo binario.
Sarebbe un successo, per ora, che si prendesse consapevolezza, da parte di tutti, della necessità di creare questo secondo binario, senza volersi confrontare, sempre e a tutti i costi, con l'industria/commercio da parte di chi ha, o dovrebbe avere, altri target.
Le possibili strade sono molteplici. Una di queste è la cosiddetta “alta qualità”. A livello personale non sono convinto che la soluzione risieda nei parametri chimici, di qualunque tipo. In base alla mia esperienza l'industria/commercio possono reperire sul mercato quantitativi significativi di extra vergini dai prezzi molto competitivi con un profilo analitico di prim'ordine. Sotto i 3 euro/kg si possono tranquillamente trovare migliaia di tonnellate di olio con acidità inferiore a 0,2, perossidi inferiori a 10 e polifenoli a 250 o più. Anche nella vituperata Spagna, per non parlare della Grecia o del Cile, si producono oli di eccellente qualità chimica a quotazioni che, grazie a una diversa strutturazione della filiera, in Italia non sono raggiungibili. Ritengo inoltre che i numeri, di per sé, siano freddi mentre un prodotto di nicchia deve emozionare.
Ho le mie riserve, quindi, su una politica di marketing basata su parametri analitici, ma nulla naturalmente vieta che sia la via giusta.
In merito alla Picual. I descrittori organolettici varietali sono stati assegnati dai panel della nazione dove la varietà ha origine. E' una regola di buon senso. Far caratterizzare una cultivar da un “estraneo” porterebbe a descrittori poco rappresentativi o piuttosto fumosi/fantasiosi. Gli spagnoli hanno definito quel particolare odore come caratteristica varietale. Dobbiamo creder loro, come loro credono che certe nostre varietà hanno sentori di “more”, “banana”, “erbe aromatiche”. Naturalmente fino a prova contraria. La prova non può però essere solo l'assaggio di una Picual con un profilo organolettico assai diverso rispetto allo standard. Tale esperienza empirica può far sorgere qualche sospetto ma nulla più. Occorre avere una prova scientifica della loro presunta menzogna. Questa prova non c'è. In sua assenza l'odore di “fenolo”, “medicinale”, “pipì di gatto” della Picual resta varietale.
Cordiali saluti
Alberto Grimelli

EMILIO FRANCIOSO

22 gennaio 2012 ore 13:10

Mi associo a Lo Scalzo. Soprattutto nel complimento a Grimelli per come pragmaticamente abbia sintetizzato e suggerito analisi e risposte a una situazione che tutto sommato non rappresenta un problema, quanto piuttosto una "comune legittima preoccupazione" che certamente terrà aperto l'ampio dibattito.
Però, al di là di quanto il piccolo o grande produttore possa dire all'acquirente, penso che esista una sorta di minimo comune denominatore applicabile ad un olio EXTRAVERGINE "MIGLIORE" che debba avere un valore oggettivo irrinunciabile utile alla comprensione più che alla comparazione, oggettività poi declinabile soggettivamente nella valutazione dell'EXTRAVERGINE "DIVERSO".
E dalla chiusa di Grimelli, butto lì un interrogativo, magari da affrontare proprio al festival: la comunicazione e il marketing fino ad oggi sono stati di valido supporto per tutti gli attori della filiera?

giovanni breccolenti

22 gennaio 2012 ore 12:38

Sign. Grimelli finalmente entriamo nel cuore del problema."Il doppio binario" cioe' il gran calderone dell'"extravergine" e la famosa "alta qualita'".Come verra' stabilita questa alta qualità,quali saranno i parametri che la definiranno e quali i limiti minimi?
Se ci si attiene alle tanto sospirate e alla fine giunte al termine,ricerche scientifiche sui benefici salutistici,allora tutto dovra' essere incentrato sul contenuto di polifenoli minimo(proprio perche' hanno messo in evidenza che è per la maggiorparte a loro che si debbono questi benefici,e si hanno solo se non si scende sotto a certi livelli) e sulla forte restrizione degli altri parametri chimici.Il tutto unito a un panel test che certifichi l'assenza di difetti e di un fruttato di oliva pulito sia al naso che al gusto.
Se si sbagliera' sui parametri chimici,cioe' se il livello polifenolico minimo sara' al di sotto di 250-300, se i perossidi(oltre ai K) e l'acidita non veranno drasticamnte abbassate,sara' l'ennesimo lavoro di immagine "per valorizzare l'eccellenza" ma che alla fine si rivelera' come un altro calderone leggermente piu' ristretto.

Un altra soluzione,in alternativa al doppio binario, sarebbe quella piu' logica di poter riportare in etichetta i parametri chimici,ad esempio i polifenoli.Questo si che darebbe una giustificazione alla diff. di prezzo.Pago un prodotto, es 8 euro,perche' ha un contenuto alto di polifenoli,perche' in tv o nelle riviste mi hanno detto che sono queste le sostanze che fanno bene ma che sono anche un ottimo indice per capire che l'olio è il piu' sano e "vivo" possibile.Chi è che impedisce di scrivere questo in etichetta?Le magiche leggi della libera concorrenza tenute in mano dal grande commercio?

Un ultima cosa,una semplice curiosità,sign. Grimelli.Lei in un suo post precedente dice che la maggiorparte di oli che entrano dall'estero rientrano nei parametri chimici e sono valutati esenti da difetti dagli organi di controllo.Verissimo,pero' mi chiedo,chi è che ha stabilito che il "profumino particolare" che si sente nella gran parte di olio Spagnolo ottenuto da olive Piqual è una caratteristica varietale o invece magari dovuto a qualche errore(stoccaggio delle olive?) nelle fasi di ottenimento del prodotto? No perche' questa varieta',peraltro ottima,se lavorata bene da un olio con un profumo "molto diverso".Lei cosa ne pensa di questo?

Vincenzo Lo Scalzo

22 gennaio 2012 ore 12:01

Bravissimo Dr Grimelli, ha tutta mia stima e accordo. La positività di questa serie di articoli d'informazione che sta preparando, di schede d'identità e di valore, rende facile e comprensibile la necessità d'indirizzarsi per tutti i produttori-distributori al proprio target di consumo.
Da consumatore ne condivido lo spirito e l'efficacia, da consulente di strategia lo metterei tra i documenti di pregio delle background information necessarie per scegliere un piano operativo di proposte competitive, competitività globale distinta per esaltazione delle diversità che provengono dalla cultura del gusto e delle colture.
Mi perdoni Luigi l'intromissione in natura, ma la scienza è altrettanto strumentale alla natura quanto alla sintesi creativa dell'uomo...
In questo secondo settore nion avrei dubbi nel confermare la validità ed il servizio reso dal Dr Grimelli, che mi auguro d'incontrare al FESTIVAL!

Alberto Grimelli

22 gennaio 2012 ore 10:31

Immaginavo che la presente inchiesta avrebbe portato immediatamente il tema sulla competizione tra industria/commercio oleari e aziende olivicole/frantoi.
E' infatti chiaro, direi quasi lampante, che nessuna azienda olivicola o frantoio può competere con l'industria o il grande commercio oleario.
Non è una questione di prezzo ma di mercato.
Industria e commercio competono in una logica di mass market, di prodotto di massa che soddisfa il bisogno basilare.
Aziende olivicole e frantoi dovrebbero competere in una logica di prodotto di nicchia, che esula dal soddisfacimento del bisogno basilare e invece soddisfa altre esigenze (qualitative, emozionali...)
E' quindi sbagliato continuare a ragionare in termini di: come faccio a vendere il mio olio a un prezzo remunerativo se l'industria e commercio praticano certi prezzi? Significa porsi nella logica del mass market, laddove si è perdenti a priori.
Facendo un esempio è come se un piccolo mobiliere si chiedesse come fare a vendere i suoi mobili visto che esiste Ikea. Il piccolo mobiliere dovrà puntare su design, innovazione, tecnologia e altre caratteristiche tali da porlo fuori dalla logica di mass market che caratterizza Ikea.
Il vero problema del settore oleario è che non è stato creato questo doppio binario, ovvero questo doppio mercato: massa e nicchia.
La nicchia si crea attraverso la cultura dei consumatori ma anche attraverso un salto culturale da parte dei produttori. Finchè si penserà a un unico mercato, nel quale sono mischiati olio di massa e olio di nicchia, si andrà poco lontano.
Rovesciare il paradigma.
Non dire al consumatore: compra il mio oli perchè è MIGLIORE rispetto a quello dell'industria ma compre il mio olio perchè è DIVERSO da quello dell'industria.
Questo genererà immediatamente una domanda: diverso perchè? A quel punto starà alla bravura del singolo produttore esaltarne i pregi, fornendo al consumatore un'immagine, un'idea, una prospettiva.
Teatro Naturale tornerà comunque sul tema del marketing e della promozione.

Roberto La Pira

22 gennaio 2012 ore 08:54

Gentile Alberto Grimelli, più volte ho trattato il tema del prezzo dell'olio extra vergine sul sito ilfattoalimentare.it. Trovo la sua analisi interessante e sono curioso di leggere i prossimi articoli. Mi piacerebbe sentirci e riprendere in un articolo riassuntivo questi temi anche nelle nostre pagine web.
Buon lavoro
Roberto La Pira ( roberto.lapira@fastwebnet.it)

EMILIO FRANCIOSO

21 gennaio 2012 ore 19:42

Vorrei essere più esplicito e preciso per non essere frainteso. Per quanto mi riguarda accetto ben volentieri il lavoro della grande industria olearia concentrata sul mass-market e che fa e deve fare profitto per le regole che lo stesso mercato impone. Anzi, affermo a gran voce di apprezzare l'industria olearia onesta perché già solo commercializzando olio extravergine d'oliva svolge un ruolo socialmente utile: contribuisce a diffondere la dieta mediterranea e innesca il cossiddetto “consumo salutistico” e questo, a mio parere, già significa “fare cultura”. Certo, poi il consumatore deve metterci del suo per trarre vantaggio nel distinguere e gustare olio d'eccellenza... E se lo aiutiamo in tenera età tanto di guadagnato.

Aggiungo che è giusto condannare l'accanimento di quei giornalisti - o presunti tali - affezionati agli stereotipi, che sparano nel mucchio nella speranza di ammazzare i disonesti, e così facendo feriscono a morte l'intero mercato. Ecco perché apprezzo tutte le precisazioni di Grimelli e il lavoro di puntualizzazione che sta svolgendo in proposito. Al bando perciò le denigrazioni gratuite e scandalistiche, viva la chiarezza, dati alla mano.

Ma quello che voglio evidenziare è una pericolosa debolezza dell'industria dell' “olio di quantità” che spesso finisce con l'agevolare il sospetto di episodi distorti. Mi riferisco all'incapacità di organizzare importanti e durature azioni mirate ad accrescere la “cultura dell'olio” tra i consumatori. Una priorità che conosce bene chi gira l'Italia ad assaggiare e far assaggiare olio.
Il nostro Paese, anche se avvantaggiato da un'esperienza d'altissimo livello, è vittima di dannosi luoghi comuni e usanze tradizionali che non aiutano il consumo di qualità. Situazione che fa il paio con la frequente cattiva informazione anzidetta. Il marketing, da parte sua, mettendoci una pezza con messaggi ad effetto, non offre risposte brevi e concise per far capire, per esempio, che cosa significhi “spremuta di olive”. Ecco quindi, che alla prima occasione di cronaca, lo scandalismo fa breccia e il consumatore si ritrova a convivere con l'incubo che un bene primario della sua cultura alimentare possa essere contraffatto. La traccia del messaggio che resta impressa può essere palese o subliminale, ma resta lì in agguato per emergere nel momento dell'acquisto (…questo intendevo nel mio precedente intervento). La scintilla parte quando le logiche che fanno il prezzo non si correlano facilmente con quei meccanismi che invece motivano l'acquisto e dirigono la domanda.
Ecco perché la “cultura dell'olio” diventa vincolante non solo rispetto all'ignoranza, ma anche e soprattutto rispetto alla media conoscenza, che, non dimentichiamolo, è il valore di riferimento per chi produce e, soprattutto, per chi vende.
Che cosa succede dunque al supermercato quando ci si imbatte in bottiglie d'olio che costano dai 2,59 euro ai 20 euro al litro? Un consumatore non particolarmente esigente, che comunque cerca qualità, rimane disorientato. Neppure fa lo sforzo comparativo pensando allo scaffale del vino. Per scarsa conoscenza si sente preso in giro. A primo impatto dice che l'olio a basso prezzo “è adulterato” e quello a prezzo più alto “è una vergogna”. Poi guarda le etichette e alla fine compra un prodotto di marca tra i 6 e gli 8 euro, magari suggerito dal responsabile di reparto.

LINO SCIARPELLETTI

21 gennaio 2012 ore 19:07

Gentilissimo Dott. Grimelli
siamo alle solite. sul mercato non ci può essere onesta e corretta competizione tra un prodotto "drogato" ed uno naurale(mi sia consentita l'espressione)non possiamo fare paragoni fra una miscela di oli, di varia provenenza,al limite della scadenza, per non parlare di altre peculiari caratteristiche che denotano un buon olio.
Perché non vengono messe in etichetta le "provenienze" di questi oli a basso costo? perché non viene indicato l'anno di produzione, il produttore originario e tutti gli elementi che consentono la "rintracciabilita" fino all'rigine del prodotto?
Molti piccoli produttori mettiamo in etichetta una "carta d'identità" del nostro olio, compreso l'indirizzo ed il n. di telefono della nostra azienda(spesso individuale),è ovvio che non riusciremo mai a competere con i "colossi" dell'industria olearia, che spesso ritirano dai piccoli produttori oli vecchi a pochi centesimi. Personalmente, già da quest'anno ho raccolto solo una parte delle mie olive, lasciando agli uccelli e al terreno la parte rimasta sulle piante;preferendo lo "scempio" al ricatto della speculazione.

ANDREA GIOVANELLI

21 gennaio 2012 ore 18:37

Secondo me bisogna trasmettere al consumatore un po' di cultura sull'olio.Incentivando attraverso la personalizzazione dello scaffale la vendita dell'olio di qualità 100% italiano. E' ora che la gente la smetta di pensare che l'olio Bertolli viene prodotto a Lucca, Carapelli a Firenze e Sasso in Liguria. Purtroppo oggi si sta sempre di più allargando il delta di prezzo tra un buon olio italiano e un olio comunitario.

renzo quarena

21 gennaio 2012 ore 16:38

Sto leggendo le risposte; ma cosa state dicendo? ma che lingua parlate? ho una ottima padronanza dell'italiano ma le vostre argomentazioni mi risultano ostiche.
Credo che ciò sia dovuto al fatto che viviamo su pianeti diversi.
Ma voi cosa alla fine auspicate per il futuro dell'olio italiano?
A Verona ho visto piccoli produtori con olio straordianrio in vendita a € 6,00 che non sapevano a chi venderlo ma c'è chi pretende di venderlo e venti euro e pensa che sia poco.
Ma a chi volete venderlo un olio a venti euro ? al turista che visita il lago di Garda o le cinque terre o la riviera ligure
se lo porta a casa come suvenir e lo mette sullo scaffale assieme alla bottiglietta con l'acqua di Lourdes.
questi calcoli li potete fare voi commerciani che seguite la logica della tentata vendita non avete una produzione da smaltire a prezzi dignitosi, comprate sul venduto alla faccia dei produttori da cui comprate a prezzi da fame.
la renumerazione dignitosa dell'olio passa attraverso una filiera che tuteli i piccoli produttori ben felici di prendere, per del buon olio, anche 7 euro liberandoli dai commercianti. che trasformano un prodotto BENE PRIMARIO in una operazione di speculazione commerciale.

Alberto Grimelli

21 gennaio 2012 ore 16:12

Gentile Sig. Severini,
le riporto, a solo titolo informativo, le quotazioni indicate dal COI a dicembre per olio extra vergine d'oliva della campagna 2011/12:
- Spagna 1,79 euro/kg
- Grecia 1,84 euro/kg
- Italia 2,43 euro/kg
Questa è la realtà, per quanto triste e drammatica.
Come fanno a esistere questi prezzi? E' la legge della domanda e dell'offerta, che notoriamente prescinde dai costi di produzione. Tali quotazioni esistono perchè la produzione mondiale è in aumento, con giacenze enormi. Il COI stima 888mila tonnellate alla fine della presente campagna. Finchè la produzione crescerà le quotazioni resteranno basse perchè, evidentemente, le olive verranno raccolte e frante, ottenendo olio che verrà venduto nelle borse merci e dai grandi intermediari. Il mercato è ormai globale. Credere che la generazione di queste quotazioni, su un bacino di circa 2milioni di tonnellate d'extra vergine d'oliva, sia solo frutto di frodi e sofisticazioni è assai fantasioso.
Una quotazione di 1,60 euro/kg per un olio della campagna precedente o uno stock che, per le più svariate ragioni, viene esitato a prezzi d'occasione, è assolutamente ragionevole. Si tratta infatti del 10% in meno rispetto alle quotazioni attuali di olio spagnolo o del 13% in meno rispetto a un olio greco. Sono stato persino prudente, mi creda.
Questa è la dinamica del mercato, per quanto possa non piacere e nascondere la testa sotto la sabbia non serve.

Enrico Severini

21 gennaio 2012 ore 15:30

"Acquisto olio (IVA inclusa) 1,60 euro/KG"........
purtroppo l'olio in natura non si trova tal e quale lo si conosce....
quindi perchè non partire dal prezzo dell'oliva??????
tanto per farsi due risate.......perche non andiamo anche a visitare quel modello di azienda agricola o produttore che riesce a produrre olive in grado di generare olio extravergine di oliva a 1,60 euro/k (iva inclusa).....
è solo una curiosità.....

Alberto Grimelli

21 gennaio 2012 ore 14:40

Nel mondo dell'olio serve un po' di onestà intellettuale, il che significa anche rifuggire da qualche comodo stereotipo. Il più comune è che l'industria e il commercio oleario sono “cattivi” e vogliano affossare olivicoltori e frantoiani per lucrare, fare enormi profitti, dissanguare il comparto a loro vantaggio, utilizzando tutti gli strumenti, leciti e illeciti, a disposizione.
La verità sta nella semplicità. Industria e commercio fanno semplicemente il loro mestiere: mettono sul mercato uno o più oli di massa. Gli oli di massa servono a soddisfare una domanda di base, essenziale. Come tutti i prodotti di base, la competizione è sul prezzo e quindi sul costo. L'olio è una commodity. Gli oli in questione, includendo quelli da 2,59 euro/litro, sono rispettosi delle norme. Una legge viene rispettata o no. Non esistono vie di mezzo. Il Sig. Francioso afferma che ogni panel li boccerebbe ma mi risulta che le condanne per frode in commercio per l'industria e il commercio oleari si possano contare sulle dita di una mano. Le inchieste dei Nas, Icqrf ed altre autorità spesso finiscono con clamorosi buchi nell'acqua, dopo essere state annunciate con clamore. Frodi, sofisticazioni o adulterazioni sono reati. Quante le condanne emesse? Certe accuse e descrizioni, anche sulla stampa, sono quindi giocoforza generiche e indefinite. La realtà è questa, per quanto possa non piacere.
Confrontiamoci quindi con la realtà e non con mondi immaginari.
L'industria e il commercio ostacolano la diffusione della cultura olearia? Non è così. I produttori vitivinicoli sono riusciti a giustificare prezzi, rispetto al prodotto base, ben più elevati. Lo stesso vale anche per altri settori. Perchè nell'olio no? Forse, prima di attribuire colpe e responsabilità su altri, è necessario interrogarsi, cercando di capire se sono stati utilizzati argomenti realmente convincenti per il consumatore e quanto, certi stereotipi, invece abbiano danneggiato tutti.
La cultura non si fa denigrando ma valorizzando e cercando di capire quali elementi possono dar luogo a un premio di prezzo.
Rovesciare il paradigma. Non, tu consumatore mi devi perchè io ho prodotto un olio eccellente ma piuttosto, cosa vorresti tu consumatore per darmi un certo prezzo?
Si noterà, forse con una certa sorpresa, che il consumatore ama essere affascinato, che il prodotto di nicchia deve emozionarlo, colpirlo, gratificarlo. Per ottenere questo risultato è probabilmente inutile accalorarsi parlandogli di ppm di polifenoli. Un disciplinare di produzione, di per sé, non è attrattivo. Occorre un'immagine, una prospettiva, un'idea.
E' questo che l'industria e il commercio oleari non potranno mai copiare, semplicemente perchè non è il loro lavoro, semplicemente perchè loro offrono una cosa diversa: il soddisfacimento di una necessità di base, elementare.

Vincenzo Lo Scalzo

21 gennaio 2012 ore 14:13

Il messaggio/informazione di Grimelli non è inviato con scopi subliminali, ma semplicemente informativi come primo di una serie già annunciata riguardante oli di fasce di prezzo/valore più alto, proprio a scopo informativo e formativo.
E ne esprimo il ringraziamento per la corretta informazione.

Condivido personalmente che condivido la riflessione centrale del sig Francioso a partire "E dire che ..." compresa la "postilla in sintonia". Mi auguro che il suggerimento possa essere messo in pratica, riconfermo che ho sempre visto TN sempre favofrevole alla trasparenza ed onesta individuale e collettiva dei produttori ed assaggiatori che aiutano il consumatore all'apprezzamento degli aspetti personalmente variabili della qualità degli oli.

L'esposizione di riferimento ne farà testimonianza tra poche settimane: il FESTIVAL è aperto al dibattito, vero? Ne sono certo e lo auspico...

EMILIO FRANCIOSO

21 gennaio 2012 ore 12:06

Concordo sul fatto che vada sfatato il messaggio, palese o subliminale, per cui un olio extravergine a quel prezzo debba essere considerato giocoforza sofisticato o adulterato. Ciò non toglie che l'olio contenuto in quelle bottiglie resta un olio "di cui liberarsi" per diverse ragioni. Così come è certo che è meglio mettere sul mercato a bassissimo prezzo un olio comunque al limite dei parametri oltre i quali anche la biochimica impallidirebbe, piuttosto che riciclarlo, speculandoci... Ma quell'olio - bocciabile da ogni panel - andrà a condire e alimentare quella persistente ignoranza che impedisce a moltissime (troppe) persone ragionevoli di capire che cosa significhi la parola "olio buono". Quelle bottiglie impediscono che il concetto di qualità si diffonda proporzionalmente al livello culturale del consumatore. Quanti riescono a giustificare e acquistare un olio a 20 euro lt di un piccolo produttore onesto che guadagna 2 euro su quella bottiglia, se il mercato crea delle disparità così evidenti? Questo motiva di più sia chi crede che quell'olio a 2,59 è un olio adulterato o sofisticato, sia chi crede che quello a 20 euro al lt è frutto o di qualcuno che "ci sta provando, credendo d'essere furbo" oppure che si tratti di un olio "per ricchi".
E dire che tutto sarebbe più semplice se, come è più o meno accaduto per il vino, si imparasse a distinguere un olio extravergine di quantità da uno di qualità. Poi il prezzo lo farebbe da una parte il mass-market, dall'altra il mercato di nicchia.

Vorrei vivere in un mondo trasparente, dove la genuinità e la qualità di un prodotto e il suo giusto prezzo non debbano far fatica ad emergere solo perché le filiere hanno spesso bisogno di "aggiustare l'aggiustabile". E con la crisi, prepariamoci a vederne tante di situazioni "al limite".

Una piccola postilla in sintonia. Sono ancora uno dei pochi che crede che la cultura debba "muovere" il mercato e non viceversa, di conseguenza sono estremamente convinto che la comunità degli assaggiatori onesti e quella dei produttori di qualità onesti debbano mettersi insieme per insegnare nella scuola primaria i "valori della bontà", aiutando a gestire le percezioni sensoriali e a far scoprire quei meccanismi naturali che ci spingono ad essere competitivi attraverso conoscenza e passione.

Vincenzo Lo Scalzo

21 gennaio 2012 ore 09:11

Grazie Grimelli, questo può essere il riferimento di prezzo/costo di olio extravergine a norma ufficiale, standard, spot, mercato libero, in regime di offerta.
Si tratta della condizione di mercato odierna che attraversano alcuni paesi produttori tradizionali, per lotti spot disponibili e trattabili anche in fase di trasferimento bulk, via mare per lotti di quantità.
Sono condizioni e riferimenti che sono adottate nel mercato petrolchimico di base per trade locale e internazionale.
Anchde l'olio d'oliva extravergine non può uscire da questi schemi.
La sovrapposizione di altre fasi di gestione del prodotto per differenziarne il cammino fino al consumatore finale non può fare altro che aggiungere costi veri o margini fasulli fino a raggiungere prezzi e valori che ne possono giustificare un giusto prezzo di mercato.
Solo il prodotto di nicchia può pretendere, cpme ha preteso finora, di uscire dalla schema e trovare il suo collocamento.
In questi casi, tutti, senza ricorso a sofisticazioni.
La semplificazione dei percorsi per i prodotti di significativa valorizzazione del marchio è essenziale, per lasciare un equo ritorno al produttore-distributore protagonista.
Era cosi anche negli anni 50. Cosa cambierebbe nel 2000? La validità delle informazioni corrette, affidabili, intelligenti. TN lo sostiene da quando ne ho preso conoscenza.