L'arca olearia

Viva l’olio italiano, viva l’olio che non c’è

Il duro J’accuse di Federolio a partire da due lettere inviate al ministro Romano. Paradossalmente, dichiara Gennaro Forcella, non si riesce ancora a stabilire quanto olio effettivo si produca in Italia. La “tolleranza zero" va bene, ma che sia esercitata con equilibrio, non con le spettacolari pistole esibite dal Corpo Forestale dello Stato. Resta una domanda di fondo: se la commercializzazione da parte di soggetti diversi dai produttori olivicoli sia da considerarsi attività illecita

04 giugno 2011 | Luigi Caricato

C’è grande fermento, seppure silenzioso, nel comparto olio di oliva in Italia. E’ un fermento sotto traccia, invisibile, ma qualcosa si muove. Per esempio: è da qualche tempo in atto la campagna a tutti nota come “tolleranza zero”, lanciata qualche tempo fa con grande enfasi sui media. E’ stata pensata per stanare i furbi, così almeno dicono. Non sappiamo tuttavia se tale strategia si riveli davvero efficace e se apporti, in concreto, un’utilità pratica.

Sulla situazione del comparto oleario italiano ha intanto fatto luce il presidente di Federolio Gennaro Forcella, con due distinte lettere inviate all’indirizzo del neo ministro per le Politiche agricole Francesco Saverio Romano. Le lettere sono state inoltrate in due differenti date: la prima il 21 aprile 2011, la seconda a distanza di un mese: il 26 maggio 2011.

Non risulta pervenuta alcuna risposta da parte del Ministro. Ed ecco cosa mi scrive il presidente di Federolio Gennaro Forcella.

 

LA DIFFICILE VITA DELL'OLIO IN DOGANA

Caro Luigi,

credo che Ti potrebbero interessare, anche ai fini di una pubblicazione su “Teatro Naturale” le due lettere (…) allegate e che, a poca distanza di tempo, ho ritenuto di dover scrivere al nuovo Ministro delle Politiche agricole.

Giro anche a Te, considerata la Tua autorevolezza nel settore, la domanda che nella sostanza porgo al Ministro: in Italia la commercializzazione di olio di oliva da parte di soggetti diversi dai produttori olivicoli è da considerarsi un’attività illecita?

Leggo spesso su vari giornali che in Italia la sicurezza delle persone è quello che è perché per strada non ci sono abbastanza operatori delle forze dell’ordine.

Lo credo bene! Sono tutti nelle imprese di confezionamento e di commercio all’ingrosso dell’olio di oliva!

Ma attenzione, non paghi di tutto ciò, gli organi di controllo rendono difficilissima la vita in dogana, sia nell’import che nell’export, alle imprese del settore. Questo anche se per stessa ammissione dell’Agenzia delle Dogane, i campioni risultati irregolari hanno un’incidenza da prefisso telefonico.

Ovviamente anche nel commercio e nell’industria qualche (isolatissima) mela marcia ci sarà; ma allora si operi “chirurgicamente” su di esse e non si faccia di tutta l’erba un fascio.

Che ne pensi?

Gennaro Forcella

Presidente Federolio

 

COSA NE PENSO?

Cosa ne penso io? Ma è una domanda puramente retorica, ovviamente. Si sa bene cosa ne penso in proposito: io aspiro a un comparto oleario coeso e non più conflittuale, capace di parlare una sola lingua, affinché tutti i vari attori della filiera possano interagire tra loro in grande armonia, così da poter continuare a essere sempre più competitivi sul mercato, proprio come lo eravamo un tempo. E non solo: aspiro anche anche a figure istituzionali più attente e sensibili alle vere esigenze di ciascun attore della filiera, a figure, per essere più precisi, che anziché affidarsi a dimostrazioni a effetto, di puro stampo propagandistico, compiano per davvero il proprio dovere, quello che non hanno finora assolto.

Sarebbe di conseguenza necessario creare con la massima urgenza le condizioni ideali affinché l’intero comparto olio di oliva possa esprimere una voce sola, senza che i soliti e noti furbi agiscano indisturbati come è finora accaduto, con la complicità di chi dovrebbe vigilare con severità, ma con giudizio, senza opprimere chi lavora, e soprattutto senza opporre una barriera burocratica perniciosa che rallenta e intralcia l’operato delle aziende.

Io credo in fondo che in Italia il mondo dell’olio sia stato abbandonato a se stesso, essendo mancata a tutt’oggi una regia autorevole – a livello istituzionale, e non solo – in grado di operare per il bene del settore. E se il presidente di Federolio Forcella oggi mi pone l’imbarazzante questione se sia legittimo o meno, da parte di soggetti diversi dai produttori olivicoli, commercializzare gli oli di oliva, è segno che qualcosa in tutti questi anni non ha funzionato, e che qualche meccanismo si è con ogni probabilità guastato, al punto da non far funzionare più una meravigliosa “macchina” che un tempo era l’orgoglio dell’Italia.

Sono fortemente convinto che solo attraverso l’unità di filiera sia possibile giungere alla soluzione degli annosi problemi che affliggono il settore. Lo storico ruolo che hanno esercitato le aziende di marca nostrane nel dare notorietà e prestigio all’Italia è stato esemplare e magnifico, non riconoscerlo è da folli, anche perché l’export che permette oggi a tante piccole e medie aziende agricole di fare la propria fortuna commerciale all’estero, è frutto di un lavoro di oltre un secolo profuso da parte di grandi “missionari dell’olio” ante litteram.

La politica denigratoria che si sta esprimendo negli ultimi anni a danno delle nostre grandi aziende, le poche rimaste, non aiuta il sistema Italia. Non so cosa ne pensiate voi lettori, in tutta sincerità e franchezza, ma non vedo altre vie d’uscità se non l’unità, al di là delle chiusure mentali che di certo non giovano a nessuno.

Ma io mi fermo qui, per ora. Non vado oltre: sia perché il mio pensiero al riguardo l’ho espresso più volte – e direi anche in maniera esplicta e plateale, per esempio: attraverso i dieci punti del Manifesto per il Risorgimento dell’olio italiano – e sia perché le due lettere che Forcella ha inviato al ministro Romano, e che riporto in coda, sono sufficientemente lunghe da richiedere la massima attenzione.

Lascio dunque ai lettori il compito di replicare, invitandoli però a farlo con animo sincero e onesto, senza pregiudizi o luoghi comuni, perché –ricordate – è in gioco il futuro del comparto oleario italiano.


LETTERA DEL 21 APRILE 2011

Prot. n. 341

On.le FRANCESCO SAVERIO ROMANO

Ministro per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali

Via XX Settembre, 20

00187 R O M A

OGGETTO: Situazione nel settore dell’olio di oliva – Richiesta di un incontro.

Le scrivo nella mia qualità di Presidente della Federazione nazionale del commercio oleario -Federolio, la maggiore organizzazione operante in Italia nel settore del commercio all’ingrosso e del confezionamento dell’olio di oliva.

Mi consenta una premessa.

Ho seguito con la dovuta attenzione i Suoi primi giorni da Ministro e debbo dire che comprendo perfettamente il Suo punto di vista e quello del Suo Ministero.

In concreto, al di là della cosiddetta - e beninteso da me del tutto condivisa -“tolleranza zero” propugnata dai Suoi predecessori, è stato soprattutto scelto di dare ad alcune azioni di vigilanza il massimo risalto mediatico anche per far vedere – anzi soprattutto per far vedere – ai produttori agricoli e alle loro organizzazioni che il Ministero è dalla loro parte contro gli speculatori ecc.

Le confesso che fin qui la mia lettera è pressoché identica a quella che inviai al Suo predecessore on. Zaia all’atto del suo insediamento perché identiche sono le situazioni in cui i Ministri delle Politiche agricole debbono operare nel settore dell’olio di oliva.

Ho già detto che anche io e l’organizzazione che presiedo siamo per la “tolleranza zero”e per la massima trasparenza sia negli scambi commerciali sia nei confronti dei consumatori.

Credo però che se si applicasse sempre e comunque la “tolleranza zero”, mi chiedo che cosa dovrebbe farsi delle centinaia (ma forse dovrei dire migliaia) di confezionatori del settore agricolo (nel senso di operatori che confezionano sostanzialmente solo l’olio da loro prodotto) le cui etichette sono piene di riferimenti all’origine del prodotto non ammessi dall’attuale regolamentazione.

Ma non basta.

Cosa ne sarebbe della produzione nazionale – della cui qualità e dei cui pregi si va tanto fieri sui giornali – se si volessero fare controlli sul rispetto nella produzione stessa dei limiti dei residui di antiparassitari e di contaminanti. E qui non si parla di etichettatura ma di sicurezza alimentare. E so bene quanti sforzi costi alla categoria del commercio cercare partite di olio extra vergine di oliva italiano rispettose dei limiti di cui sopra.

Non mi interessano le polemiche; al contrario di altri sono convinto che si debbano trovare ai problemi sul tappeto delle soluzioni concrete e praticabili.

Potrei documentarLe numerose iniziative delle imprese aderenti alla Federolio volte a pagare un “plus” ai produttori olivicoli sul prezzo di mercato all’olio extra vergine di oliva italiano in grado di garantire certi requisiti di qualità e di sicurezza alimentare; e potrei documentarLe anche come tutte queste iniziative, ancorché proposte a tutte le organizzazioni olivicole, non abbiano dato risultati soddisfacenti.

Del resto, Signor Ministro, ben dieci anni fa alcune imprese aderenti alla Federolio, insieme ad alcuni produttori e ad alcuni frantoiani, diedero vita a un Consorzio per la valorizzazione dell’olio extravergine di oliva italiano, tracciato e certificato da un ente terzo e di qualità superiore a quella prevista per gli oli convenzionali. Anche in questo caso era previsto un “plus” di prezzo a favore dei produttori italiani in grado di fornire un prodotto conforme agli standard consortili. E anche in questo caso non vi furono esiti apprezzabili né, tanto meno, un appoggio da parte del Ministro di allora, l’on. Alemanno.

Però, alla luce di tutto questo, converrà che è alquanto singolare sentir parlare del commercio oleario italiano come di una sorta di affamatore del comparto della produzione olivicola nazionale!

Spero che la Sua azione sia orientata anche a sanare (e a “stanare”) alcune criticità che da troppo tempo caratterizzano l’olivicoltura nazionale.

Nel settore italiano dell’olio di oliva – lo sanno tutti – c’è un serio problema di conoscenza dei reali dati di produzione. E’ un problema che si trascina da tempo e i Suoi collaboratori certamente gliene avranno già parlato o gliene parleranno tra breve.

Personalmente, tuttavia, non guardo al passato ma al futuro.

Le politiche agricole, per essere adeguatamente sviluppate, richiedono conoscenza delle realtà operative.

Il nostro principale competitor, la Spagna, si è dotata di uno strumento (un decreto real) con cui impone a tutti gli operatori della filiera (produzione, trasformazione, frantoiani, commercio, industria) di dichiarare periodicamente (con cadenza mensile) quello che hanno prodotto, trasformato, commercializzato, confezionato ecc. Tutto ciò suddiviso per tipo di olio (ad es. extra vergine, vergine, oli di oliva raffinati, oli di sansa ecc.).

L’Italia, teoricamente, avrebbe un decreto che impone ai frantoi di comunicare quanto olio hanno ottenuto dalla trasformazione delle olive, ma i risultati ottenuti sono modesti e creano anche un po’ di perplessità. Da una recente elaborazione dei Servizi della Commissione è emerso che mentre tutti gli altri Paesi olivicoli hanno formulato previsioni di produzione del tutto aderenti ai dati successivamente elaborati sulla base delle comunicazioni degli operatori (essenzialmente i produttori e i frantoiani), nulla di tutto questo si è verificato per l’Italia in relazione alla quale il dato previsionale stride vistosamente con quello elaborato sulla base delle comunicazioni dei frantoiani.

L’ultimo di questi documenti (ma la storia si ripete da diversi anni) riporta una previsione di produzione di 480.000 tonn. di olio di oliva e per contro un olio ottenuto di sole 216.000 tonn., come si evince dal resoconto della Commissione che Le allego.

Comunque, a parte questo, il commercio oleario pensa che anche il Governo italiano debba percorrere in futuro la strada che non ha invece voluto percorrere con un decreto del Suo predecessore on. Zaia che la Federolio ha dovuto impugnare presso il T.A.R. del Lazio perché, tra l’altro, perpetuava l’incertezza sulla effettiva consistenza quali quantitativa della produzione italiana. La strada da percorrere è quella di imporre (e senza gli inaccettabili termini e procedure di cui al decreto impugnato) a produttori, frantoiani, commercianti, raffinerie, confezionatori e, perché no, grande distribuzione di comunicare i dati rilevanti per conoscere almeno quanto si è prodotto, quanto si è venduto nel settore dell’olio di oliva e le rispettive giacenze di magazzino; ciò con le necessarie distinzioni interne per tipo di olio.

Del resto, nel settore sono già operative interessanti forme di monitoraggio del mercato attraverso i progetti (tra cui quello portato avanti dalla Federolio) finanziati da Bruxelles con i programmi di attività delle organizzazioni di operatori del settore oleicolo. Tali progetti possono farsi carico di “indagare” in tutte le pieghe della commercializzazione (ad esempio, quali e quanti oli extravergini Dop o “bio” si vendono e dove; quanto extra vergine acquista la Germania e quanto la Svezia; quanto “spremuto a freddo” allo stato sfuso è stoccato a fine campagna presso le imprese laziali e quanto in quelle toscane e potrei continuare con mille altri esempi).

Ma questi progetti, paradossalmente, non riescono a stabilire un dato: quanto in realtà si produce in Italia di olio di oliva.

Mi consenta un’ultima considerazione.

Sono convinto che Lei per primo, alla luce della conoscenza (quando questa sarà resa possibile con l’iniziativa qui proposta) delle effettive realtà produttive italiane di olio di oliva, converrà con me che occorre veramente un serio piano olivicolo e quello recentemente approvato pur partendo con le migliori intenzioni è fortemente ipotecato da ben noti e paralizzanti condizionamenti.

La produzione italiana è solita lamentarsi con noi del commercio perché non aiuteremmo l’olio extra vergine di oliva italiano. Il nostro monitoraggio – quello cui prima accennavo – dimostra l’infondatezza di questa posizione agricola (e poi nella Federolio su 120 imprese aderenti, più di 100 hanno richiesto, quando era necessario, il riconoscimento per confezionare l’olio extra vergine di oliva italiano). Tuttavia convengo nel dire una cosa: se la produzione italiana producesse più olio extra vergine di oliva, noi lo compreremmo. Una cosa però è certa: non si può comprare un olio che non c’è. Quest’anno ha raggiunto i prezzi che tutti conosciamo perché la verità è che la produzione è stata molto scarsa e di fatto l’olio è già finito.

In Italia, al di là di quello che dicono i dati diffusi dalle organizzazioni dei produttori, sono disponibili per il commercio e per l’industria non più di 200.000 t. di olio di oliva italiano di tutte le categorie (extra vergine, vergine e lampante) e tutto questo olio viene acquistato.

Ma a fronte della suddetta disponibilità di olio di oliva italiano di 200.000 t., a commercio e industria ne servono oltre 700.000 t. per soddisfare sia la domanda nazionale che quella dei Paesi comunitari ed extra comunitari.

Che cosa pensa di questo il nuovo Ministro delle Politiche agricole? Pensa che ci si debba vergognare o si debba andare fieri di un comparto, che pur non disponendo di una produzione italiana adeguata quanto meno sotto il profilo dei volumi, ricorre alle importazioni per poter fare il suo lavoro? Pensa che questa prerogativa di vendere olio di oliva in tutto il mondo, debba essere conservata in capo alle imprese italiane del commercio e dell’industria o debba essere ceduta a quelle spagnole?

Di questo mi piacerebbe parlare con Lei nell’incontro che oggi Le chiedo di accordarmi.

In attesa di un Suo riscontro, Le porgo deferenti ossequi.

Gennaro Forcella

Presidente Federolio

 

 

LA LETTERA DEL 26 MAGGIO 2011

Prot. n. 410

On.le FRANCESCO SAVERIO ROMANO

Ministro per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali

Via XX Settembre, 20

00187 R O M A

OGGETTO: Situazione nel settore dell’olio di oliva – Seconda richiesta di un incontro


Le scrivo nuovamente, a breve distanza dalla mia precedente lettera, nella qualità di Presidente della Federazione nazionale del commercio oleario - Federolio, la maggiore organizzazione operante in Italia nel settore del commercio all’ingrosso e del confezionamento dell’olio di oliva.

So che corro il rischio di dire cose già dette e comprendo perfettamente come per Lei sia veramente difficile corrispondere a tutte le richieste di incontro che Le vengono indirizzate.

Tuttavia sarebbe veramente importante che Lei mi accordasse l’incontro che Le ho richiesto, perché ho l’impressione che in Italia l’attività di commercializzazione dell’olio di oliva da parte di soggetti diversi dai produttori olivicoli venga sempre più assimilata a un’attività illecita.

Mentre Le scrivo nuclei congiunti di finanzieri e di funzionari della Repressione Frodi stanno controllando per l’ennesima volta varie imprese del settore che rappresento.

Ma non aveva detto proprio Lei – e con Lei anche il Ministro on. Tremonti – che i controlli erano troppi? In alcune imprese si creano addirittura “ingorghi” tra le varie attività ispettive con il controllore ultimo arrivato che deve valutare se “aggregarsi” all’opera di quello arrivato prima o andare per conto suo.

Non manca anche chi – come il Corpo Forestale – quando entra nei locali delle imprese di confezionamento fa bella mostra oltre che della divisa (cosa alquanto insolita) anche di grosse pistole!

Tutto questo è giusto? Sono proprio così pericolosi i commercianti e i confezionatori di olio di oliva?

Certo – mi viene da pensare – quante cose cambierebbero se si volesse fare una volta tanto chiarezza su quanto olio di oliva italiano viene prodotto!

Basterebbe seguire quello con la tracciabilità e nessuno potrebbe fare più imbrogli perché si saprebbe – finalmente – che l’olio di oliva italiano è tot di cui extra vergine x, vergine y e lampante z.

Solo che questo nessuno lo vuole fare; non i Suoi predecessori che hanno fatto (l’on. Zaia pubblicandolo e l’on. Galan non modificandolo) un bel decreto che fa tutto – compreso subissare di mille inutili oneri le categorie rappresentate dalla Federolio – salvo stabilire quanto olio di oliva italiano si produce e di quale categoria; e nemmeno il TAR del Lazio – presso il quale il decreto era stato impugnato – e che, evidentemente anch’esso condizionato dal can can mediatico – ha concluso dicendo che i produttori olivicoli non vanno granché controllati perché sarebbero comunque più virtuosi dei commercianti e dei confezionatori, i quali - che orrore! – importano addirittura olio di oliva da altri Paesi!

Si chieda, Signor Ministro, perché i commercianti e i confezionatori italiani debbono importare olio di oliva (anche se proprio “importazione” non sarebbe da definire l’operazione di acquisto da altri Paesi comunitari)?

Ho avuto modo di spiegarlo già nella mia prima lettera ma lasci che lo ripeta. I commercianti e i confezionatori italiani debbono importare perché hanno bisogno di moltissimo olio di oliva, molto più di quello che l’Italia offre loro, dato che hanno clienti in tutto il mondo che lo chiedono alle imprese italiane e meno (almeno per ora) alle imprese spagnole e greche o di altri Paesi. Evidentemente i clienti esteri apprezzano le capacità del commercio italiano più di quanto non apprezzino il commercio spagnolo o greco.

Questo successo delle imprese del commercio italiano, Signor Ministro, La rende soddisfatto o La preoccupa? Sarebbe importante saperlo. 330 milioni di litri esportati nel mondo dalle imprese italiane nell’ultimo anno rappresentano un successo o una colpa?

I commercianti e i confezionatori italiani sarebbero ben lieti di fornire ai loro clienti di tutto il mondo solo olio di oliva italiano; ma l’olio di oliva italiano è decisamente troppo poco e comunque è decisamente troppo poco quello effettivamente disponibile per il commercio e per l’industria nazionale.

Il compito di una politica olivicola nazionale – Le chiedo - è quello di far produrre più olio di oliva italiano di buona qualità o di mandare la Finanza e la Repressione Frodi dai commercianti e i confezionatori che debbono “importare” per fare il loro lavoro? Tutto questo, poi, aiuta l’olivicoltura italiana o piuttosto la spinge sempre più in basso, laddove sono ineluttabilmente destinate le categorie troppo protette?

Rischio di ripetermi, lo so: ma non è colpa mia se la produzione di olio di oliva che l’Italia comunica al COI e a Bruxelles è di 480.000 tonnellate e invece sulla base delle dichiarazioni dei frantoi risulta essere di 216.246 tonnellate (!) mese di febbraio compreso, dunque molto meno della metà di quella stimata. E sui giornali anche prestigiosi si ciancia di una produzione italiana di 500.000 tonnellate se non 600 e addirittura 700 e queste indicazioni vengono riprese da “esperti” di varia natura! E’ accettabile questo stato di cose?

Questi dati non sono miei ma dati ufficiali pubblicati dalla Commissione UE e ai suoi uffici perfettamente noti.

Insomma se il Ministro delle Politiche agricole concorda con il fatto che le imprese del commercio e del confezionamento di olio di oliva debbano cedere il loro “business” agli stranieri vorrei saperlo. Già “Carapelli”, “Bertolli” e la “Sasso” sono in mani straniere ma se Lei è d’accordo si può continuare su questa strada, purché dopo non si pianga – come è successo per i suddetti marchi – sui gioielli del “made in Italy” che vanno all’estero.

Se il Ministro pensa che i commercianti e i confezionatori di olio di oliva italiano siano categorie pericolosissime tanto da meritare cicli di verifiche congiunte dei vari organi di controllo, a ritmi serrati e senza soluzione di continuità e semmai rese più spettacolari dalle pistole del Corpo Forestale, ebbene pure questo vorrei sapere.

E vorrei sapere quello che si vuole dire quando su pubblicazioni ufficiali leggo del successo dell’olio di oliva “made in Italy”, asserzione sulla quale concordo del tutto se per “made in Italy” si intende anche l’attività delle imprese rappresentate dalla Federolio ma che risulta assai inconsistente se la si vuole riferire al solo olio di oliva “geograficamente” italiano che è talmente poco da non coprire nemmeno i consumi interni. E del resto “Bertolli”, “Carapelli” e “Sasso” sono o non sono “made in Italy”? Io credo di sì. E Lei?

Vede Signor Ministro, la Federolio anni fa rinunciò al “suo” aiuto comunitario al consumo dell’olio di oliva e chiese che gli importi così risparmiati fossero trasferiti all’aiuto alla produzione destinato agli olivicoltori. Correva l’anno 1992 (non l’altro ieri) e fare quanto Le ho appena detto significava essenzialmente favorire la produzione italiana che allora era imperante mentre la Spagna era ben lungi dal rappresentare quanto oggi rappresenta nel mondo dell’olio di oliva.

Quindi nella mia prima lettera Le ho anche detto dei nostri sforzi – purtroppo non assecondati dai Suoi predecessori – di valorizzare il prodotto nazionale.

Non mi voglio ripetere, però Lei deve sapere che sono preoccupato perché avverto come la situazione attuale – che pure genera al commercio e al confezionamento gli enormi problemi che Le ho descritto – in realtà rischia soprattutto di condannare anche la produzione italiana di olio di oliva a un irreversibile destino di declino e marginalità, caratterizzato da una scarsa quantità e da una qualità con i problemi di cui ho detto nella mia prima lettera.

Credo che sia veramente indispensabile un incontro tra di noi; per me per capire se le categorie che rappresento sono un problema o una risorsa per il Paese in cui viviamo. Ma anche per Lei potrebbe essere veramente importante ascoltare una voce fuori dal coro.

Rimango pertanto ancora in attesa di una convocazione da parte Sua e le rinnovo il mio deferente ossequio.

Gennaro Forcella

Presidente Federolio

 

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Romano Satolli

04 giugno 2011 ore 14:14

Caro Luigi, condivido perfettamente il tuo pensiero e quello del dott. Forcella, che conobbi all'incontro di Alghero. Non è tanto un paradosso se si afferma che le forze dell'ordine sono quasi tutte impegnate nel controllare le nostre aziende agroalimentari, anzichè le strade. In Italia ci sono i controllori, i controllori dei controllori ed i controllori dei controllori dei controllori! Lo vediamo in tante cose, non solo nell'agroalimentare. Il Ministro dell'Agricoltura ha gli Ipsttori dell'ICQRF, personale altamente specializzato (almeno nella maggior parte) nel controllo dei prodotti agricoli, ma poi ha dato mandato anche alla Forestale di fare gli stessi controlli. Perchè invece costoro non vanno a controllare i boschi, anzichè invadere il campo di altri colleghi e servizi, dove tra l'altro ci girano NAS, ASL, G.diF. e compagnia bella? Nel vino, per esempio, le cantine sono controllate dall'ICQRF, (oltre a tutti gli altri corpi)ma per avere la possibilità di commercializzare i vini a DOCG/DOC, IGT, ci sono Enti di certificazione ai quali si paga per certificare i prodotti comemrcializzati. A loro volta questi Enti di certificazione sono controllati dall'ICQRF per controllare se si comportano secondo le regole. Questi, per non subire sanzioni dall'organo ministeriale, devono esere più realisti del re, per cui molte segnalazioni di difformità (gravi o leggere)riguardano le misure dei mm. di altezza dei caratteri, il colore degli stessi, le indicazioni al consumatore, spesso vietate per l'esistenza di disciplinari fatti più sulla carta da burocrati che dai veri interessati: i produttori.
Le cantine, alla fine, passano grana parte del loro tempo a sbrigare pratiche burocratiche, a perdere intere giornate per stare dietro gli ispettori dei vari organismi che si avvicendano nei controlli, spesso persecutori, fatti semza un minimo di coordinamento e che comportano costi, arrabbiature, spesso verbali anche per sciocchezze puramente formali che, però, consentono al Ministro, a fine anno, di fare il suo bel comunicato stampa fatto di numeri, di statistiche ma che, a guardare bene, riguardano quasi interamente violazioni che non interessano nè la salute nè l'errata informazione dei consumatori. Purtroppo viviamo in uno Stato di Polizia, fatto di intercettazioni, di spiate dentro le alcove, di gossip, e di verbali a gogò solo per fare cassa.
Per non parlare poi della assoluta mancanza di garanzia di difesa alle aziende verbalizzate, le quali devono presntare le proprie argomentazioni allo stesso ufficio che le ha sanzionate. Tra poco scoppierà anche la grana dei ricorsi alle segnalazioni degli organi di controllo, in quanto le garanzie di difesa sono ancor più aleatoire, ma ne parlerò quando scoppierà il bubbone, perchè prima o poi scoppierà.
Vai vanti cosi e non guardare in faccia a nessuno.

massimo occhinegro

04 giugno 2011 ore 07:48

Sono contento. Finalmente il caro Presidente Forcella ha parlato chiaro e si e' mosso. Personalmente coinvolgerei anche il Ministero dello Sviluppo economico. Il lato industria - commercio deve fare la sua importante parte. Qui si parla non solo di problema agricolo ma di un problema commerciale da "numeri di PIL"che il governo italiano non puo' snobbare. Si agisca subito prima che spagnoli o greci o turchi ci sottraggano ancora fette importanti del MADE IN ITALY.