Bio e Natura
Il terreno si può decontaminare con i batteri giusti
Uno studio del Cnr evidenzia l’importante funzione di alcuni microrganismi, in grado di metabolizzare i prodotti tossici. Una risorsa naturale contro i residui degli agrofarmaci
12 luglio 2008 | Ernesto Vania
Sono microscopici e difficili da identificare. Ma grazie ad uno studio realizzato dallâIstituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (Irsa-Cnr), è stato possibile individuare alcuni gruppi di batteri in grado di eliminare dal suolo i residui velenosi dei pesticidi. âIn particolare degli erbicidi triazinici, che sono tra i più utilizzati in Italia e nel mondo per il controllo selettivo delle erbe infestanti in diversi tipi di coltureâ, precisa Anna Barra Caracciolo, ricercatrice Irsa-Cnr.
âQueste sostanze però tendono a persistere nellâambiente ed il loro utilizzo in agricoltura costituisce uno dei principali fattori di contaminazione del suolo e delle acque sotterranee, destando preoccupazione per la salute dellâuomo e degli ecosistemiâ. Grazie a questi microrganismi, i âveleniâ possono essere rimossi dallâambiente: âLe capacità omeostatiche degli ecosistemi, infatti, sono legate alla presenza o meno di comunità microbiche adattate, in grado di utilizzare i pesticidi come fonte energeticaâ, spiega la ricercatrice. âUn erbicida potrà essere definitivamente rimosso dallâambiente grazie a una o più specie batteriche in grado di utilizzarlo come fonte di carbonio utile per la crescitaâ.
Il Rhodococcus wratislaviensis, questo il nome del ceppo batterico individuato sia nel suolo sia nelle acque sotterranee, è risultato particolarmente interessante per le sue capacità di degradare e di mineralizzare lâerbicida terbutilazina e composti simili (terbutilazina, simazina e metaboliti). âSi tratta di uno dei primi lavori in cui si descrive un ceppo batterico in grado di degradare i composti triazinici in un acquiferoâ, sottolinea Barra Caracciolo, âche sono tra quelli più frequentemente riscontrati nelle acque a concentrazioni superiori ai limiti di legge (0.1 mg L-1). Lâidentificazione di tale batterio in suoli ed acque può quindi essere un indicatore utile per la valutazione del potenziale di attenuazione naturale presente negli ecosistemi contaminati da questo erbicida. Inoltre, ceppi batterici con tali capacità potrebbero essere utilizzati per un eventuale bio-risanamento di siti contaminatiâ.
Lo studio dei microrganismi, in particolare della componente batterica, è stato per molto tempo limitato dallâesiguità delle tecniche per individuarne la presenza. âI cosiddetti metodi colturali indiretti, basati sulla crescita di batteri su terreni preparati in laboratorio, hanno permesso lâidentificazione di circa 3.000 specie che rappresentano soltanto lâ1-10 % circa di quelle esistentiâ, spiega la ricercatrice del Cnr. âLe potenzialità di utilizzo dei batteri in campo ambientale sono praticamente illimitate e grazie a nuove tecniche molecolari basate sullâidentificazione del DNA batterico che codifica lâacido ribonucleico ribosomiale (rRNA 16S) è oggi possibile individuare, riconoscere e classificare inequivocabilmente le comunità battericheâ.
In particolare, la tecnica utilizzata dallâIrsa-Cnr si basa sullâidentificazione dei batteri attraverso la cosiddetta âtecnica di ibridazione in situâ con sonde molecolari fluorescenti. âIl principio si basa sullâutilizzo di brevi sequenze (oligonucletidi) di DNA batterico ribosomiale, altamente specifico per il riconoscimento del gruppo di appartenenza, che vengono legate ad un marcatore fluorescenteâ, prosegue la ricercatrice. âIl campione da analizzare viene trattato in modo da permettere alle sonde di entrare nelle cellule batteriche e di ibridarsi con le corrispondenti sequenze di RNA ribosomiale, se presenti. Se avviene lâibridizzazione allâinterno delle cellule batteriche, sarà visualizzabile con un segnale luminoso al microscopio a fluorescenza, indicando, inequivocabilmente, la presenza della specie o del gruppo batterico cercatoâ.
Fonte: Cnr