Bio e Natura 23/02/2024

Fitofarmaci: non tutto ciò che è naturale è buono

Fitofarmaci: non tutto ciò che è naturale è buono

Il risultato finale dell’attuale tendenza “no a tutto” potrebbe essere tragicomico: l’aumento dei costi in Europa si tradurrà in maggiori importazioni di alimenti da quei paesi dove consumatori, lavoratori ed ambiente sono meno, o per niente, garantiti


In queste ultime settimane è montata la protesta degli agricoltori che ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica un malessere del settore che cova da tempo, l’agricoltura sembra un malato terminale che rischia di vedere negli aiuti della PAC (politica agricola comune), tra l’altro in calo, un solo accanimento terapeutico, visto che i problemi dell’agricoltura si trascinano da anni (decenni) e le caratteristiche del settore vincolano ad una pianificazione più che decennale. Ma forse l’esasperazione è accentuata dalla politica pare essere sorda alle reali necessità di un settore che è strategico per molti aspetti: necessità che non possono svincolarsi da una strategia chiara e di lungo termine.

I temi toccati dalla protesta sono molti e i problemi ancor più articolati, ma uno degli argomenti caldi ruota intorno al green deal e nello specifico all’uso dei prodotti fitosanitari, strumento tecnico spesso al centro di nuove proposte di regolamenti/limitazioni/divieti, ma in realtà sono l’elemento di un settore molto ben normato e molto controllato, molto più e molto meglio che in passato.

Le regole sui fitofarmaci in agricoltura

Il principale regolamento che lo guida è il Reg UE 1107/09 che ha unificato ed uniformato le procedure di autorizzazione e registrazione delle sostanze attive e dei prodotti fitosanitari sul territorio unionale, secondo il quale i prodotti fitosanitari (PF) sono strumenti tecnici che includono tutte quelle sostanze o agenti vivi che hanno un effetto generale o specifico contro un agente patogeno, un insetto o una pianta infestante; sono inclusi tra i PF anche i fitoregolatori, i cosiddetti ormoni vegetali che regolano la vita delle piante (non hanno nulla a che fare con gli ormoni animali).

La Direttiva UE 128/09 ha proprio lo scopo di portare ad un uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, ma è difficile affrontare il tema dei prodotti fitosanitari per una sola coltura; infatti, un prodotto in commercio raramente è autorizzato per una sola specie vegetale e per un solo patogeno o insetto; bensì, spesso le revoche sono proprio dovute all’uso molto diffuso che ne è stato fatto su un numero di colture estremamente elevato e su ampi territori, causando problemi di inquinamento ambientale diffuso e consistente.

Dietro al termine tecnico “prodotto fitosanitario” si cela dunque una realtà molto ampia e la sua analisi, inevitabilmente, prevede l’approfondimento di molte materie, dalla pratica agricola alla normativa ambientale, dalla sicurezza alimentare alla sicurezza sul lavoro, dalla politica agricola comunitaria e nazionale alla politica di mercato e della disponibilità di cibo, ma negli ultimi anni si è inasprita la diatriba tra i sostenitori ed i detrattori dei pesticidi portando la discussione su “terreni” del tutto sterili.

Per meglio introdurci nel settore è utile fare un viaggio nel recente passato; infatti, sino ad un secolo fa era molto diverso fare agricoltura: c’erano rame, zolfo, letame e poco più. Con la prima metà del Novecento la ricerca ha rivoluzionato gli strumenti chimici conosciuti e con la necessità di molti paesi di essere autosufficienti ha preso piede la filosofia del “produci il più possibile per unità di superficie”, con l’indiscriminato uso dei prodotti di (allora) nuova generazione, ma è ancora così? Il nostro obiettivo è ancora massimizzare la produzione ad ettaro?

No, l’agricoltura è rivolta a produrre al minor costo possibile, in un predefinito rapporto qualità/quantità, non conta solo quanto produco per unità di superficie, ma anche quanto costa quel chilogrammo in più che voglio ottenere.

Quindi cerchiamo di chiarire che cosa si intende per difesa fitosanitaria: è un complesso di pratiche agricole che permette di proteggere la produzione. Produzione agricola che ha un ruolo multiplo ed importante:
- produrre alimento per il consumatore (nella storia si verificavano eventi fitosanitari che hanno portato a carestie);
- produrre reddito per l’azienda (… e per chi lavora nell’azienda e per l’azienda);
- gestire il territorio;
- garantire alimenti e bevande con maggiori apporti nutritivi e nutraceutici, oltreché più salubri;

Perdere produzioni su aree estese come succedeva in passato anche per patogeni, ora gestibili, poteva causare una carestia, mentre oggi vorrebbe dire, oltre a doversi approvvigionare da altri paesi, perdere aziende che fanno manutenzione al territorio, lo curano e lo mantengono riducendo i ben noti effetti di dissesto idrogeologico.

La difesa fitosanitaria permette, se applicata correttamente, di avere un prodotto agricolo sano. Prendendo ad esempio le olive, (ma potrebbero essere pesche, fragole o melanzane) un frutto sano e integro contiene proprietà nutritive e nutraceutiche maggiori rispetto ad un frutto, di pari condizioni, ma pesantemente deteriorato da erosioni o gallerie di insetti o da attacchi fungini che oltre ad avere un sapore poco gradevole, diciamolo, fa proprio schifo, ha proprietà nutritivo/nutraceutiche minori rispetto al frutto integro.

La difesa fitosanitaria ci permette infine di avere prodotti più salubri, ad esempio gli agenti patogeni di alcune malattie fungine producono micotossine che possono essere a loro volta dannose per la salute umana, rendendo il prodotto non commercializzabile se contenute negli alimenti in quantità superiori ai limiti di legge.

Fitofarmaci: non tutto ciò che è naturale è buono

Nel tentativo di fare chiarezza prendiamo in esame una bufala che circola ormai da anni secondo la quale “tutto ciò che naturale è buono o fa bene.” I processi naturali sono regolati e indotti da sostanze chimiche; quindi, la chimica controlla molte delle funzionalità dei viventi (animali e vegetali) ed in natura esistono sostanze estremamente tossiche che possono essere mortali per l’uomo anche a dosaggi molto ridotti. Infatti, queste sostanze presentano già un’elevata tossicità acuta, ad esempio i veleni prodotti da alcuni funghi, da alcuni rettili o lo stesso cianuro che possiamo trovare libero in natura o in composti che lo originano dopo degradazione.

Quindi è la tossicità intrinseca, insieme al dosaggio ed all’esposizione che contribuisce a formare il profilo di rischio e pericolosità per un operatore o consumatore, come del resto per l’ambiente stesso. Infatti, uno dei parametri che viene preso in considerazione anche dall’EFSA e dalla Commissione europea, proprio nei processi autorizzativi, è l’esposizione, ossia con quale frequenza e per quanto tempo il soggetto interagisce con la sostanza, sia per contatto, che per inalazione e ingestione.

Tutto quello che noi utilizziamo ha un impatto sulla salute umana e sull’ambiente, pensiamo ad alcuni detergenti che si usano in ambito domestico, i carburanti, i medicinali stessi, il punto è cercare sempre di stabilire quanto e in che modo, ed usarli correttamente.

Ho volutamente scritto difesa fitosanitaria, non solo di uso del prodotto fitosanitario, perché in realtà questa ormai è una branca delle pratiche agronomiche che non fa uso esclusivo di prodotti fitosanitari, ma già da anni sfrutta ogni possibile strategia conosciuta per migliorare la qualità del cibo, pensiamo alla scelta di varietà che possono essere meno suscettibili ad una malattia, ad insetti o funghi antagonisti, a prodotti corroboranti o induttori di resistenza che possono ridurre gli effetti di patogeni ed insetti diversificando gli utilizzi. In poche parole, dalla corretta pianificazione di un impianto, dalla nutrizione all’utilizzo della “terza via”, all’utilizzo di strumenti tecnologici avanzati come modelli previsionali e rilevazioni spettrofotometriche, dalla comunicazione chimica e vibrazionale tra gli insetti oppure tra i vegetali e gli insetti, possiamo avere strategie che aiutano a gestire le problematiche fitosanitarie dando un grande contributo alla produzione di ottimi prodotti agroalimentari ed alla riduzione degli impatti ambientali o sulla salute umana.

Altro principio riguarda l’agricoltura biologica, che non vieta l’uso di prodotti fitosanitari, ma permette solo prodotti che non siano frutto di processi di sintesi industriale; quindi, solo originati da processi naturali e utilizzati secondo le prescrizioni del disciplinare. Il produttore biologico, infatti, avendo meno prodotti a disposizione e con caratteristiche limitate, è abituato a lavorare sulla prevenzione investendo molto sulla corretta pratica agronomica.

Il biologico stesso può essere una strada importantissima per la tutela dell’ambiente e delle persone in cui le aziende italiane sono in vetta a molte classifiche, sia quantitativa che qualitativa, ma dobbiamo anche essere onesti. Il bio considerato che molte aziende agricole comunque devono vendere su canali all’ingrosso (anche se auspicabile che queste crescano è forse utopistico pensare che tutto il mercato venga occupato dalle vendite dirette?), ad oggi, si fa realmente e bene su alcune colture ed in area vocata.

Le singole specie vegetali non hanno tutte le stesse problematiche/necessità colturali, alcune sono piuttosto facili da gestire, altre presentano maggiori problematiche fitosanitarie. Per fare alcuni esempi, molti cereali presentano una difesa fitosanitaria piuttosto semplice, mentre il pesco è molto complicato da coltivare in generale, ancor più secondo i dettami del biologico.

Un altro aspetto fondamentale è la vocazione pedoclimatica per la coltura, la stessa olivicoltura o la viticoltura possono essere gestite secondo i disciplinari di produzione biologica con relativa facilità e ottimi risultati in alcune aree, mentre in condizioni pedoclimatiche meno vocate diventa complicato, a volte quasi impossibile, aumentando il numero di trattamenti necessari.

Facciamo però attenzione: il Biologico per il sistema produttivo non è da considerare un passo indietro, bensì un grosso passo avanti e deve essere ampliato, potenziato e valorizzato, ma è indispensabile avere sempre più strumenti adeguati; quindi, serve ancor più ricerca scientifica e trasferimento dell’innovazione.

Nella gestione agronomica non possiamo tralasciare l’aspetto che è stato aggravato con la globalizzazione e la rapida circolazione di merci e persone che osserviamo quotidianamente: lo spostamento anche di patogeni e parassiti in nuove aree, (solo per fare alcuni esempi la cimice asiatica, il cinipide del castagno, la Xylella fastidiosa) con conseguente aumento delle problematiche che spesso presentano una dannosità maggiore sulla coltura agricola rispetto alle zone di origine, in particolare quando il nuovo patogeno/parassita si trova in aree in cui non sono presenti gli antagonisti naturali.

Fitofarmaci: il mercato delle derrate agricole è mondiale

Talvolta leggendo articoli sulla stampa generalista veniamo assaliti da paure atroci. Ma noi stiamo ancora utilizzando i prodotti fitosanitari come decenni fa?
Negli anni 50 il prodotto chimico era usato in modo davvero diffuso e con poche attenzioni con la lotta a calendario, successivamente sono arrivate la lotta guidata, l’agricoltura biologica e da queste ha tratto spunto l’agricoltura integrata obbligatoria imposta dal Piano di Azione Nazionale sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari nel 2014.

Ad un’evoluzione di questa portata siamo arrivati non perché “ora siamo tutti bravi, belli e sostenibili, mentre in passato erano degli sciagurati”, bensì perché nei decenni sono state raccolte informazioni sugli effetti indesiderati di molte sostanze e sono senza dubbio migliorate le strategie, oltre agli strumenti e alle tecniche di applicazione.

Pensiamo al solo DDT, sostanza insetticida che veniva venduta per l’utilizzo anche in ambito domestico, con l’unica prescrizione di “areare il locale prima di soggiornarvi”, mentre ora non abbiamo nemmeno in campo aperto prodotti autorizzati così pericolosi.

Questo calo nell’utilizzo risulta evidente anche dai dati del ministero delle politiche agricole presentati al convegno a Bologna nel novembre 2022, risulta che dal 2003 al 2019 in Italia sia stato ridotto l’uso di prodotti fitosanitari utilizzati del 44%.

I dati (2020) di “residui” nei cibi ed alimenti di EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) evidenziano come nel 70% circa dei campioni analizzati non ci sia presenza di residui rilevabili, in meno del 30% è presente residuo rilevabile quasi sempre di una sola sostanza, mentre nell’1,7% sono presenti residui superiori al Residuo Massimo Ammesso e nello 0,9% residui non conformi (ad esempio la presenza di sostanza revocata o non autorizzata su quella coltura).

Non è una situazione tragica, anzi per molti aspetti è una situazione virtuosa, su cui è però necessario lavorare nello specifico per migliorare le criticità, dove presenti.

D’altro canto, se osserviamo attentamente il contesto, ridurre molto la disponibilità di prodotti fitosanitari andrà nella direzione opposta ad un utilizzo ragionevole ed attento, utilizzare obbligatoriamente solo poche sostanze, seppur meno tossiche, potrebbe comportare l’acuirsi di tutti gli aspetti negativi delle stesse quali l’aumento dell’accumulo in alimenti e ambiente.

Il risultato finale dell’attuale tendenza “no a tutto” potrebbe essere tragicomico (ma forse ci siamo già vicini), rischiamo di raggiungere il paradosso in cui poniamo regole rigidissime che aumentano le difficoltà di produzione e/o i suoi costi di produzione in Europa ed, essendo ormai il prezzo il parametro intorno al quale orbitano i mercati – con la sempre maggiore libertà imposta nella circolazione delle merci a livello globale -, non è difficile ipotizzare che l’aumento dei costi in Europa si tradurrà in maggiori importazioni di alimenti anche da quei paesi dove consumatori, lavoratori ed ambiente sono meno, o per niente, garantiti.

In un’ottica di medio-lungo periodo appare evidente che il legame con l’origine dell’alimento obbligatoria in etichetta, possa diventare una garanzia di maggior tutela per il consumatore stesso e per l’ambiente in cui vive.

La strada tracciata dalla Direttiva UE 128/09 che affianca il Reg UE 1107/09 nell’applicazione dei prodotti autorizzati, e dalla Direttiva UE 129/09 che ottimizza l’applicazione in campo è una strada che va nella giusta direzione con l’intento di guidare il corretto utilizzo in campo delle varie strategie attraverso la crescita culturale e professionale. Essa deve però essere affiancata sempre più dalla ricerca scientifica indipendente, con una maggior attenzione dove il rischio o l’esposizione possono essere più elevati, senza fare di tutta l’erba un fascio; perché ogni nostra azione comporta dei rischi, ma dobbiamo valutare anche cosa comporti il “non fare”!

di Angelo Bo

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Commenti 2

Mauro Galardi
Mauro Galardi
24 febbraio 2024 ore 18:32

Giustissime riflessioni

Angelo Bo
Angelo Bo
26 febbraio 2024 ore 20:23

Grazie Mauro!