Bio e Natura

L'agricoltura sociale come il biologico. Alla larga gli opportunisti

Ora che l'agricoltura sociale sta arrivando a una propria definizione concettuale ed economica, occorre uno sforzo da parte delle istituzioni affinchè si arrivi presto a una normativa e a un marchio. Fare presto per evitare di sprecare un'opportunità

17 novembre 2012 | Francesco Presti

In questi ultimi anni l’agricoltura sociale ha mosso i suoi passi verso una propria auto definizione concettuale, economica e normativa. I promotori e gli attori di queste virtuose buone pratiche agricole ed etiche stanno creando una rete che possa poi godere di un riconoscimento diffuso su larga scala. Una sfida ambiziosa ma molto difficile.

Un notevole progresso è stato fatto grazie ad un riconoscimento a livello regionale (anche se ogni regione fa storia a se), anche il valore intrinseco che viene attribuito all’agricoltura sociale è percepito favorevolmente: alle aziende,coop. sociali o alle associazioni che intraprendono questo percorso viene riconosciuto un ruolo molto importante a livello locale poiché queste pratiche possono favorire la cooperazione e le relazioni sul territorio, creare benessere, generare piccole economie e forme di aiuto che in qualche modo rispondo ai nuovi bisogni sociali.

A livello nazionale però manca una normativa che definisca i confini dell’agricoltura sociale, non esiste un marchio che contraddistingua e dia identità a queste produzioni e l’universo delle realtà che approcciano a questi progetti sono sempre molto piccole e hanno scarse capacità produttive, economiche e quindi di commercializzazione e distribuzione. Questa situazione rende le esperienze di agricoltura sociale puntiformi, quasi incapaci di comunicare e confrontarsi fra loro per tantissimi fattori diversi.

Comunque nelle regioni dove le istituzioni a vari livelli hanno investito su animazione, formazione e portato avanti iniziative sul territorio per la diffusione delle pratiche di agricoltura sociale, le esperienze concrete si sono moltiplicate e le richieste per finanziare i progetti anche, il bando sull’agricoltura sociale della Regione Toscana del 2012 ne è la dimostrazione. Eppure se è evidente sottolineare l’importanza dei finanziamenti a favore di questi progetti, c’è chi mette in guardia dalla “dipendenza da erogazione” e sostiene il finanziamento come forma di avvio ma non di mantenimento perché il rischio di non riuscire a camminare autonomamente è alto, specialmente in questi tempi di crisi.

Le potenzialità e le opportunità per un territorio che sceglie la diffusione di un’economia civile e sociale sono molte, a partire dall’inclusione sociale delle categorie svantaggiate e un miglioramento della qualità della vita dei beneficiari, alla creazione di piccoli poli di produzioni di nicchia (quasi sempre biologiche e a km 0).

Le esperienze estere (Francia, Olanda) dimostrano che certe strade sono percorribili ma ad alcune condizioni, prima fra tutte l’esistenza di una legge che regoli i rapporti fra tutti i soggetti impedendo per esempio ingerenze di soggetti opportunisti; le Istituzioni poi, che diventano garanti di eticità e ponte fra soggetti che altrimenti non parlerebbero mai fra loro (sanità e agricoltura). Il tutto senza appesantire i progetti con apparati burocratici cervellotici. In altri paesi europei l’agricoltura sociale è una realtà (anche grazie al volontariato, è giusto dirlo), funziona con riconoscimenti su scala nazionale e locale perché i benefici economici, sociali e ambientali sono tangibili. Chissà come andrà da noi…

Alcuni sostengono che anche all’agricoltura biologica sono serviti molti anni per essere riconosciuta non solo a livello economico e commerciale ma anche a livello di contenuti e di comunicazione. L’agricoltura sociale è un po’ come il biologico 30 anni fa, il cammino quindi è lungo e in salita ma le potenzialità e le ricadute sociali davvero molte, sarebbe un peccato per questo nostro Paese sprecare l’ennesima opportunità di riscatto.

Ma ormai non ci stupiamo più di niente.

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17 giugno 2025 | 13:00 | Marcello Ortenzi

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Mimmo Ciccarese

17 novembre 2012 ore 09:15

L’agricoltura sociale, si può definire l’agricoltura della nuova epoca, diversa, cosciente o ecocompatibile, impegnata alle forti richieste di ruralità collettiva. L’agricoltura, qui, non è intesa come insano apparato ma è all’opposto un luogo d’incontro, con le tradizioni e con le molteplicità naturali
La “Rete delle fattorie sociali” stabilisce perciò una Carta dei Valori che delinea i suo maggiori tratti: “l’Agricoltura Sociale (AS) trova il proprio fondamento nei valori e nei principi della Carta costituzionale e, in particolare, nell’art. 3 che impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese e nell’art. 44 che finalizza l’intervento pubblico in agricoltura alla cura della qualità del territorio e al perseguimento della giustizia sociale. Il suo valore etico si iscrive, pertanto, nel carattere universalistico dei diritti umani fondamentali e, in particolare, di quelli riferiti all’inclusione sociale di tutti senza distinzione alcuna e all’accesso equo alle risorse della Terra, ora e in futuro, per fare in modo che ognuno sia libero di poter contribuire al bene comune”.