Fuori dal coro 11/07/2009

Mirko Sella, da Mezzane di Sotto: "alla fine il sogno ha preso piede"

A volte non basta l'attestazione di imprenditore agricolo professionale per avere la coscienza in pace, dice. Ci vuole tolleranza, ch'è poi la perfetta sintesi di cultura, sensibilità, equilibrio e corretto vivere


Nato in una famiglia di agricoltori progressisti, Mirko Sella si ritiene soddisfatto di aver frequentato il liceo scientifico nonostante gli fosse stato consigliato l'istituto tecnico. "Ho fatto in tempo a respirare per un pò l'aria della facoltà di giurisprudenza", aggiunge: "anche con profitto, ma sono stato chiamato alla mia vocazione a vent'anni".

Già, parla proprio di "vocazione". Infatti precisa che di essersi mosso per un paio d'anni "tra la campagna, la morosa e la cantina sociale, poi ho incontrato la Cia, la Confederazione italiana agricoltori, che mi ha aperto gli orizzonti e ha dato una possibilità concreta alle mie curiosità".

Nel 2002 ha pensato di trasformare in proprio le uve e le olive, impiantando un piccolo frantoio e una cantina. In un paio d'anni "molto convulsi e senza respiro", si è allontanato dalla cantina sociale e ha assunto qualche incarico presso la Cia: "ho esplorato tutto quello che potevo, ho cominciato a trasformare direttamente l'olio, abbiamo costruito la cantina e rimodernato i vigneti, acquisito nuovi terreni e alla fine il sogno ha preso piede".



Da quanto tempo si occupa di agricoltura e con quali risultati?
Mi occupo di agricoltura più o meno da tutta la vita. Io sono nato il 6 giugno del 1978 e la prima estate l'ho passata con mia mamma e mio nonno nella pineta di San Mauro di Saline a pascolare le pecore e aspettando mio papà che tornava dalla stagione della mietitura del grano.
A parte gli scherzi, io vengo da una famiglia di agricoltori e respiro quest'aria fin da piccolo. Ora sono, a partire dal 2000, il responsabile dell'azienda San Cassiano che, in qualche modo, riassume l'esperienza dei miei genitori e dei miei nonni.
Mio nonno era mezzadro nell'orfanotrofio femminile Don Nicola Mazza a Casa Sole, in collina, e nel 1965 ha acquistato il primo appezzamento con un una piccola casetta; nello stesso anno ha subìto una grandinata che ha distrutto la produzione del '65 e del '66, da cui la decisione di mettere su un pò di pecore per sopravvivere. L'allevamento si era ingrandito e si andava producendo anche un pò di formaggio, finchè, negli anni '80, è stato messo insieme un gregge di 400 pecore; quando, alla fine di quegli anni il seminativo ha lasciato spazio al vigneto e le colline di Mezzane, d'estate non sono più diventate gialle. Hanno abbandonato l'allevamento per iniziare un'esperienza di agriturismo (solo ristorazione in modo più o meno improvvisato, ma con buon successo).
Io ho cominciato ad aiutare nell'agriturismo a 13-14 anni, ma nel contempo studiavo coltivando altri sogni e prospettive.
In azienda l'energia stava venendo meno quando, nel '98, è stato abbandonato l'agriturismo, e dopo un paio di anni di discussione, ho abbandonato l'università e mi sono dedicato al recupero dell'azienda.
Come si vede il mio arrivo non corrisponde con l'anno zero, ma ho recuperato una situazione esistente e ancora adesso i miei genitori sono attivi.
Forse l'unico merito è stato quello di tener insieme anche le proprietà dei miei zii e gestire tutto insieme per la costruzione della cantina e del frantoio.
Attualmente posso contare su una proprietà di 26 ettari (11 a vigneto, 8 a olivo e il resto bosco e seminativo), di una cantina e di un frantoio.

E’ soddisfatto, perplesso o preoccupato?
Sono perplesso, vedo apatia, tutti parlano in terza persona, tutti parlano di crisi strutturale e di futuro impossibile, o difficile da intravedere, con la stessa passione di chi legge la lista della spesa. Non mi preoccupano le difficoltà, ma bisogna mettere in campo le energie necessarie per affrontarle.

Perché il mondo rurale ha perso in centralità e importanza negli ultimi decenni?
Credo che non ci sia più un settore produttivo centrale e importante. Partendo dal presupposto che è centrale quello che è vicino al centro, il fulcro potrebbe essere l'Europa. Purtroppo la politica, la politica agricola e le visioni di ampio respiro sono finite nell'immediato dopoguerra. Se avevamo qualche chance di creare una politica agricola comunitaria che potesse essere modello e alternativa a un divenire quasi casuale, guidato esclusivamente dal mero interesse economico privato, ce la siamo giocata negli anni '60 con i Trattati di Roma e con i lavori preparatori alla costruzione della Comunità Economica Europea. Da allora in poi un progetto comune sostenibile si è sfilacciato e corrotto diventando un mero rapporto di forza e di veti incrociati, paralizzando di fatto la politica europea e quindi quella degli stati membri. La Casa comune rischia di diventare una grande Babele. Non vedo le condizioni per avere un riferimento autorevole e, come hanno dimostrato le ultime elezioni, in un momento di perdita di orizzonti si affermano le pulsioni settarie e individualiste. Siamo in un periodo di decadenza.

Crede che il comparto agricolo possa restare ancora un settore primario in Italia?
No, ma credo che la differenza la possano fare le persone, credo che l'agricoltura, più che in passato, possa rappresentare qualche occasione interessante.

E lei perché ha scelto di operare in agricoltura?
Per portare avanti un progetto di famiglia. Mio nonno ha acquistato i primi campi emancipandosi dalla mezzadria, i miei genitori hanno lavorato tutta la vita, per fare un ulteriore passo in avanti: servivano energie fresche e nuove.
A volte non basta l'attestazione di imprenditore agricolo professionale per avere la coscienza in pace.

Un aggettivo per definire il mondo agricolo?
Reazionario, non credo ci sia bisogno di spiegare.

Un aggettivo per definire invece le associazioni di categoria?
Semplice, ma non con un aggettivo: le definisco "chiavi di lettura", o almeno è quello che hanno cercato di essere.

Una parola d’ordine per l’agricoltura di domani?
Tolleranza, senza dubbio. Credo che la tolleranza possa essere una buona sintesi di cultura, sensibilità, equilibrio e corretto vivere.
La tolleranza è come un faro in una notte senza stelle.... e i fari valgono anche in agricoltura!

Se dovesse consigliare a un amico di investire in agricoltura, quale comparto produttivo suggerirebbe?
Secondo me non è importante il comparto, è l'approccio che conta, si deve adottare un sistema verticale che si allunghi il più possibile nella filiera, dalla produzione alla vendita, non per mero interesse, ma per una questione di equilibrio etico. Per anni si è ricercata la competitività nell'efficenza produttiva, mutuando di fatto il concetto ottocentesco fordiano della catena di montaggio. Questo ha funzionato fino agli anni ottanta, ma un'eccessiva segmentazione della filiera ha portato a una perdita di responsabilità e a una conseguente perdita di potere contrattuale. Ad esempio non noto alcuna differenza sostanziale tra la soccida e la mezzadria più efferata, quasi schiavista. Vedo vincente un modello dinamico, illuminato, che si rapporti direttamente con l'ecosistema e con la società.
Può essere illuminato chi produce fagioli o piccoli frutti in trentino e che vende attraverso un rapporto diretto con i mercati locali, come chi ha cinquanta ettari di serre, produce pomodori che colloca attraverso mercati generali, importatori e contratti con la Gdo. L'importante è avere un disegno complessivo della cosa.

Un imprenditore agricolo che ritiene possa essere un modello a cui ispirarsi?
Sono molti i modelli a cui ispirarsi, ma sinceramente credo che l'agricoltura non possa essere un modello deduttivo. Il mio professore di diritto diceva che un buon giurista (e perchè no? un buon agricolo) sa distinguere le differenze tra cose estremamente simili e le similitudini tra cose estremamente diverse.
... i miei modelli sono sempre stati gli umanisti più che i tecnici.

Un ministro agricolo al quale sente di esprimere pieno apprezzamento?
Non saprei dire, ma non per disfattismo o qualunquismo. Io credo nella politica, ma non credo ci siano oggi le condizioni per una grande politica e per un ragionamento di respiro.
Premesso che il ministro dell'agricoltura è sempre stato considerato un ministro di serie b, è ridotto a fare un po' di burocrazia e un po' di populismo, alcuni fanno più burocrazia, altri più populismo, ma siamo comunque lontani dalla sufficienza.

Le certificazioni di prodotto sono davvero utili al consumatore o lo confondono?
Le certificazioni sono uno strumento e, come tutti gli strumenti, devono essere usati con cognizione di causa. Non credo che sia compreso il significato delle certificazioni, nè dalla produzione e nè dal consumo: la produzione pensa di certificare producendo esattamente come ha sempre fatto, pensando di essere depositaria del sapere assoluto; il consumatore, forte del fatto dell'atto economico dell'acquisto, si pone nella veste di giudice senza riconoscere il ruolo e la valenza, anche sociale, dell'agricoltore.
Ora le certificazioni sono una specie di dialogo tra sordi, ma possono avere una grande valenza, sempre se si affermerà la tolleranza.

Un libro relativo al mondo rurale che consiglierebbe di leggere?
Se posso essere proprio provinciale direi: Dino Coltro, I leori del Socialismo; se no, Nico Orengo, Di viole e liquirizia, autore tra l'altro scomparso da qualche settimana.

Un libro di narrativa, poesia o saggio che non si può non aver letto?
Ce ne sono diversi: a un agricoltore che non ha letto Montale o Neruda non darei la qualifica di imprenditore professionale.
Non si può non conoscere Cervantes, Rostand, Sepulveda...
Un agricoltore vive quotidianamente con forze incommensurabili e ineffabili, deve saper masticare qualche sogno vero, che abbia dignità per essere definito tale.

Il libro che in questo momento sta invece leggendo?
Luis Borges, Cconversazioni americane.

Perché gli italiani, e gli agricoltori in particolare, non leggono?
Semplice: leggere ti costringe a camminare piano. E camminare piano è contrario a qualsiasi stereotipo di efficenza.
Efficenza, nell'immaginario collettivo fa rima con velocità, performance, successo.
Lentezza fa rima con inefficenza, senilità, noia.
Poco importa se camminare con lentezza sia l'unico modo per sedimentare e per evitare la superficialità più banale.
Quando accompagnavo mio nonno a pascolare le pecore, mi raccontava che non bisogna necessariamente rincorrere le erbe più fresche.
Qualsiasi animale bruca quello che trova davanti a sè e ha una sola occasione per brucare sul verde e sul pulito, dietro rimangono solo erbe calpestate o digerite. Il passo deve essere lento e inesorabile. Non è importante quanti chilometri sono stati percorsi, è importante che gli animali la sera si sentano sazi

di T N