Fuori dal coro

Alessandro Modica, un giovane umanista proiettato nell'imprenditoria agricola

E' nel processo di modernizzazione che si gioca il futuro delle aziende agricole, ma un grave impedimento viene dall'eccesso di burocrazia. Resta il fascino della terra, ma non c'è da aspettarsi cospicui guadagni

19 gennaio 2008 | T N

Alessandro Modica è nato ad Avola il 13 aprile del 1984.
Laureato con lode in Storia Antica alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, sta per concludere il biennio di specialistica, ancora a Bologna, e in Storia Antica, con un’altra tesi di Numismatica.
Imprenditore agricolo professionale dal 2007, è subentrato al padre Felice nella conduzione dell’azienda di famiglia: 300 ettari, di cui 40 vitati e circa 6000 piante di ulivo.
Nel 2006 ha pubblicato a quattro mani con il padre il volumetto Bufalefi, illustrato con foto di Wowe.
Nel 2007 ha allestito a Noto la Casa – Museo “Antonino Modica Nicolaci”.



Da quanto tempo si occupa di agricoltura e con quali risultati?
Dal 2003, come piccolo imprenditore agricolo. Dal 2007, subentrando a mio padre Felice nella conduzione dell’azienda di famiglia. Sto continuando la sua azione modernizzatrice.

E’ soddisfatto, perplesso o preoccupato?
È ancora presto. Tuttavia, posso dire di essermi aggiudicato un bando per l’ampliamento e l’ammodernamento della cantina, su cui si gioca il futuro dell’azienda.

Perché il mondo rurale ha perso in centralità e importanza negli ultimi decenni?
Per via dell’abbandono delle campagne. Laddove – come nel ragusano – la gente è rimasta in campagna, modernizzandosi, questa centralità non si è persa.

Crede che il comparto agricolo possa restare ancora un settore primario in Italia?
A patto che si sposi con un turismo di qualità o, comunque, che esprima produzioni di altissimo livello.

E lei perché ha scelto di operare in agricoltura?
Perché penso di avere una mentalità imprenditoriale e l’azienda di famiglia è stata la prima e non trascurabile opportunità che mi si è presentata per fare l’imprenditore. Spero sia un trampolino di lancio.

Un aggettivo per definire il mondo agricolo?
Affascinante. Pensando solo ai cicli della terra e astraendoci dalla burocrazia che lo opprime.

Un aggettivo per definire invece le associazioni di categoria?
Troppo poco influenti sulle decisioni politiche nazionali.

Una parola d’ordine per l’agricoltura di domani?
Non arrendersi!

Se dovesse consigliare a un amico di investire in agricoltura, quale comparto produttivo suggerirebbe?
Penso che la terra sia l’investimento ideale per chi ha grande liquidità ma non si aspetta cospicui guadagni. Tutti i comparti possono andar bene, a patto di non improvvisare.

Un imprenditore agricolo che ritiene possa essere un modello a cui ispirarsi?
Un imprenditore è tale per la mentalità e le capacità. Non ha molto senso distinguerlo in agricolo, industriale ecc. ecc. Voglio citare due nomi, giusto per sparare in alto: Silvio Berlusconi, il principe degli imprenditori e il mio amico Salvatore Monteforte, altro inarrivabile modello, un self made man, tra l’altro titolare a Roma della “Dolce Vita”. Trasportare in agricoltura le loro capacità imprenditoriali, più che un obiettivo è un sogno.

Un ministro agricolo al quale sente di esprimere pieno apprezzamento?
Nessuno di quelli da me conosciuti.

Le certificazioni di prodotto sono davvero utili al consumatore o lo confondono?
Sono utili ma vanno semplificate e non devono inflazionarsi.

Un libro relativo al mondo rurale che consiglierebbe di leggere?
Consiglio il saggio di Arnaldo Marcone, “Il lavoro nelle campagne”, in Storia di Roma. L’età Tardoantica, Einaudi, Torino, 1993.

Un libro di narrativa, poesia o saggio che non si può non aver letto?
Il Gattopardo, di Tomasi di Lampedusa.

Il libro che in questo momento sta invece leggendo?
Per studio I papiri Grecidi Eric Turner (Carocci) e per diletto La casa della vita di Mario Praz (Adelphi).

Perché gli italiani, e gli agricoltori in particolare, non leggono?
Perché manca una educazione alla lettura, a partire dalla scuola.

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