Fuori dal coro 21/07/2007

AMPELIO BUCCI: "GLI AGRICOLTORI SONO I CUSTODI DEL TERRITORIO. DIFENDONO IL PAESAGGIO FISICO, CULTURALE E PERFINO SALUTISTICO

Ecco un imprenditore modello. Il noto produttore marchigiano di vini e oli ha avuto successo quale esperto di marketing nel campo della moda e del design. Ma la sua anima è rimasta contadina. Tant'è che dall'età di 13 anni segue con passione le sue campagne


Ampelio Bucci è un uomo di cultura, prima ancora che un produttore sic et simpliciter. Ed è proprio questo a contraddistinguerlo da molti altri, pur altrettanto bravi imprenditori agricoli. Ma non vive di sola agricoltura, è consulente di marketing, soprattutto nel campo della moda e del design, e docente universitario.

Lo spazio dei "figli della terra" è dunque uno spazio ampiamente meritato. Visto che lo riserviamo a coloro che hanno qualcosa di nuovo da dire e dimostrare. Tant'è che - non a caso - si è dilungato sulle risposte, proprio in quanto gli è servito, come lui stesso ammette, a farlo riflettere.

"L’argomento agricoltura - dice - è ritornato ad essere molto più interessante in questi ultimi anni. L'intervista - aggiunge - mi ha riportato indietro nel tempo, alla mia infanzia, perché l’azienda agricola, grande di circa 400 ettari, dei quali solo 26 a vigne e olivi, noi l’abbiamo sempre posseduta e io la mando avanti da quando avevo 13 anni, ben prima di mettermi a fare il vino, negli anni ’80, perché mio padre era molto vecchio".

"Puoi immaginare - prosegue Bucci - l’odio (e l’amore) che ho maturato nei confronti di questa attività, che si svolgeva, allora per me, soprattutto durante i fine settimana e l’estate, mentre i miei amici andavano in vacanza".

"L’agricoltura, in questi cinquant’anni, ha avuto cambiamenti rivoluzionari che ho dovuto affrontare. È cambiato tutto: il lavoro, le colture, il mercato, i prodotti, la stessa cultura agricola".

"Negli anni ’50, in centro Italia e nelle Marche, in cui sono, c’era ancora la mezzadria e ho dovuto coraggiosamente spostarmi da un contratto di lavoro abbastanza facile e senza rischi a una conduzione diretta imprenditoriale, molto più rischiosa. Nel frattempo le colture più organizzate e anche più redditizie si sono dovute chiudere perché la globalizzazione in agricoltura è arrivata cinquant’anni fa. Quindi bachi da seta, tabacco e poi zootecnia abbiamo dovuto abbandonarli".

"Dico questo - precisa Ampelio Bucci - perché è stata una grande sofferenza dover chiudere sia le attività che andavano avanti da sempre, sia un modo di lavorare e di tenere i rapporti con le persone".

"In questi cambiamenti non si capiva – anni ’60 e ’70 – dove sarebbe andata l’agricoltura. Questo mi è servito a non dedicarmi per intero a questa attività ma a intraprendere, dopo la laurea in economia, l’attività di consulenza di marketing soprattutto nella moda e nel design.

"Nel frattempo - precisa - i risultati economici della nostra azienda erano (rispetto alle altre aziende agricole degli amici che si dedicavano a tempo pieno a quell’attività), proporzionalmente buoni. Forse perché io, laureato in economia, so organizzare soprattutto le cose che non mi piacciono".

"In quegli anni l’industria stava asservendo completamente l’agricoltura a suo servizio. Istruendoci – tramite Consorzi, Agenzie, Convegni - su cosa dovevamo fare e rendendo l’agricoltore sempre più dipendente dall’industria sia chimica (concimi, anticrittogamici, antiparassitari) sia meccanica (trattori, mietitrebbia, petrolio). Da allora la funzione dell’agricoltore si è ridotta sempre di più: aumentano i costi, aumentano gli inquinamenti (quanti concimi ci hanno indotto a buttare sui terreni?). L’industria continua anche oggi a spingere per usare l’agricoltura come sbocco dei suoi prodotti sempre più cari e addirittura brevettabili. Parlo degli Ogm, le cui sementi una volta piantate legano per sempre quel terreno all’industria, perché i semi diventano sterili e bisogna ogni anno acquistarli dall’industria che potrà quindi fare il gioco dei prezzi che vorrà. Questo è l’ “aspetto agricolo” degli Ogm, di cui si parla molto poco, c’è poi l’aspetto di cui invece si parla molto e cioè del fatto che non si sa se i prodotti generati da questi Ogm faranno bene o invece faranno male".

Ampelio Bucci ha molto da raccontare, e noi ovviamente lo seguiamo punto per punto con grande attenzione e curiosità: "Questo possibile avvento di un legame definitivo a servizio dell’industria ha scatenato giustamente resistenze e riflessioni intorno ai problemi ecologici e ai nuovi ruoli dell’agricoltura, che non riguardano solo la produzione del mangiare. Gli agricoltori infatti sono anche i custodi del territorio, difendono il paesaggio sia quello fisico che quello culturale, che quello salutistico, che quello delle bio-diversità".

Su questo tema l’agricoltura è tornata di nuovo di grande interesse, e quindi in questi ultimi anni sono molto soddisfatto di aver resistito, e infatti sono oggi un agricoltore molto attivo. Le cose forse possono cambiare (speriamo) perché l’inquinamento e la sostenibilità sono diventati temi importanti e riguardano molto il mondo agricolo".

"In questi ultimi anni - prosegue senza sosta, tante sono le cose da precisare - su questa battaglia, che sta assumendo dimensioni etiche che riguardano il futuro dell’umanità, mi sono molto attivato e partecipo a dibattiti e cerco nuove soluzioni per rendere le aziende agricole sempre più economicamente interessanti anche per i giovani che trovano sempre meno posti di lavoro e sempre di più devono inventarsi l’attività o la professione.
L’agricoltura forse non può dare gli stessi redditi di altre professioni, o di altre attività industriali, però può dare soddisfazioni molto intense, perchè può offrire possibilità di invenzioni imprenditoriali interessanti. Infatti in questi ultimi anni il consumatore (o almeno una parte consistente dei consumatori) sta ponendosi il problema di cosa mangiare, di come mangiare e dell’origine dei cibi.



Da quanto tempo si occupa di agricoltura e con quali risultati?
Mi occupo da oltre cinquant’anni di agricoltura e da venti anni di viticoltura e olivicoltura. Con risultati economicamente sufficienti sulle colture estensive e buoni su vino e olio. E con risultati molto positivi, appassionanti, sul piano personale soprattutto negli ultimi anni.

E’ soddisfatto, perplesso o preoccupato?
Sono soddisfatto, a livello personale, per i risultati raggiunti sul vino, e perché oggi molti settori dell’agricoltura possono ritornare ad essere interessanti per le evoluzioni in atto verso una coscienza più ecologica e sostenibile e verso una alimentazione più sana e più naturale. Gli scandali come “mucca pazza” hanno fatto capire a molti consumatori che conoscere l’origine dei prodotti che mangia può essere importante.
Sono invece molto perplesso e preoccupato sulla politica agricola: regionale, italiana, comunitaria. In agricoltura girano molti soldi, molti finanziamenti: questi soldi sono strumenti di potere e di clientelismo, spesso contro l’agricoltura e gli agricoltori. Inoltre le lobbies industriali delle potentissime multinazionali alimentari hanno gioco facile a Bruxelles, per cercare di “sganciare” le produzioni agricole dai terroir e farle diventare commodities. L’hanno fatto con l’olio di oliva, lo stanno tentando sul vino, e così via. Prendere le materie prime dove costano meno e far perdere valore al luogo di origine è il loro obiettivo.

Perché il mondo rurale ha perso in centralità e importanza negli ultimi decenni?
Il mondo rurale, che ha indubbiamente perso centralità nei decenni passati, sta ora forse recuperandola. Senz’altro non a livello delle grandi masse, ma a livello di minoranze, non però marginali, non solo economicamente di classe elevata e non solo in Europa.

Crede che il comparto agricolo possa restare ancora un settore primario in Italia?
Secondo me il comparto agricolo ha superato il punto di minimo e ritorna a essere un settore non solo fisicamente primario (perché il 70% del territorio italiano è agricolo), ma torna a essere un settore di grande interesse anche culturale. Operare in modo attivo, imprenditoriale e non più passivo in agricoltura, non è un mestiere retrogrado ma anzi può quasi far immaginare fughe in avanti anche troppo entusiasmanti.

E lei perché ha scelto di operare in agricoltura?
Mentre per molti decenni mi sono sentito costretto ad operare in agricoltura per un senso di dovere e di legame alla tradizione della mia famiglia (che comunque non avrei mai rinnegato, perché la mia anima è contadina e non cittadina), oggi posso dire che scelgo di operare in agricoltura, e infatti sto riducendo l’attività di consulenza e di docenza universitaria. Non sto però abbandonando queste attività perché si possono trarre idee e esperienze innovative da trasferire nel mondo agricolo e del food. E poi ci sono da costruire ancora tutte le sinergie che Made in Italy come “stili di vita” può suggerire. Devo dire che in questo mio ritorno all’agricoltura come spirito e entusiasmo, non solo come dovere, ha giocato fortemente il fatto che vent’anni fa mi sono messo a fare il vino e l’olio di oliva. Per fortuna: perché sono prodotti sui quali si può (si deve) non solo fare la semplice fase agricola, ma quella di trasformazione, di imbottigliamento, di marketing, di vendita e p.r. in giro per il mondo. E in questa maniera la qualità e la cura che si mettono nella fase agricola/viticola sono strumenti di comunicazione e che si ritrovano nel prodotto finale e possono fare il successo di un marchio.

Un aggettivo per definire il mondo agricolo ?
Parlo del mondo agricolo più che del mondo del vino. L’aggettivo più giusto è “comunitario”, qualcosa più in là di amichevole perché è un mondo dove da sempre ci si aiuta, dove da sempre l’ospite anche nella casa più povera è trattato con grande rispetto, dove la povertà ha sempre un grande fondo di signorilità. Questo a tutti i livelli. Senza aggressività.
Nel mondo del vino, invece, ci sono due componenti, qualche volta contraddittorie. La prima è il legame comunitario e amichevole fra amici produttori. La seconda, invece, è una componente di competitività e invidia, che si sposta un po’ a livello del mondo manageriale industriale.

Un aggettivo per definire invece le associazioni di categoria?
Le associazioni di categoria sono rimaste indietro nel tempo. Pensiamo che tutto il mondo industriale italiano ha una sola Confindustria, nonostante il fatto che gli industriali non vanno tutti d’accordo fra loro, ma hanno capito che presentarsi con un'unica formazione e un unico portavoce da’ più forza alla categoria che viene ascoltata, si crea meglio quello che si chiama “lobby”. Invece nell’agricoltura le associazioni di categoria sono tre, come ci trovassimo negli anni ’50, prima di tutta la rivoluzione agricola del secolo scorso. Per questo la forza contrattuale dell’agricoltura verso la politica regionale, verso quella del governo e soprattutto verso quella comunitaria è modestissima. Ma non c’è niente da fare. Anche le altre associazioni si sono trasformate quasi sempre in interessi dell’associazione stessa e dei suoi funzionari, direttori. Parlo delle associazioni dei vari settori, di quelle delle bietole e così via, parlo delle cooperative che spesso hanno percorsi più politici che gestionali e hanno drenato soldi pubblici finendo in fallimento.

Una parola d’ordine per l’agricoltura di domani?
La parola d’ordine per l’agricoltura di domani è “imprenditorialità e non passività”.

Se dovesse consigliare a un amico di investire in agricoltura, quale comparto produttivo suggerirebbe?
Se dovessi consigliare a un amico di investire in agricoltura gli farei prima un lungo interrogatorio sulle sue passioni. Perché se non ha passione è inutile investire in un settore che comunque da solo non si muove. Se ha passione, interesse e creatività (ma grande passione), il comparto produttivo può essere qualsiasi perché ci sono risultati interessanti in tutti i settori dai fiori ai suini, dalle paste, all’ortofrutta, al vino. Risultati forse non di grande rilevanza economica, ma di grande soddisfazione personale, per – ripeto – l’appassionato.

Un imprenditore agricolo che ritiene possa essere un modello a cui ispirarsi?
Non conosco un imprenditore agricolo cui ispirarmi. Nel vino ci sono. Mi piace ricordare alcuni che sono morti, ma siccome erano molto bravi, quello che avevano costruito è rimasto ed è portato avanti dai figli: Bartolo Mascarello, Giacomo Bologna, Edoardo Valentini.

Un ministro agricolo al quale sente di esprimere pieno apprezzamento?
Non posso parlare positivamente di nessun Ministro. Forse a suo tempo Marcora fu molto bravo, soprattutto per il settore zootecnico. Troppe volte l’agricoltura è stata merce di scambio con altri settori più importanti.

Le certificazioni di prodotto sono davvero utili al consumatore o lo confondono?
Secondo me lo confondono. Molte certificazioni “di qualità” in effetti certificano la sanità del processo industriale e non la qualità come la intende il consumatore. E in più non sono valide nel processo artigianale che produce i migliori prodotti agricoli (penso ai formaggi, alle verdure dell’orto, al pollame, all’olio, al vino e così via).

Un libro relativo al mondo rurale che consiglierebbe di leggere?
Stanze Vuote e Stanze vuote addio di Rina Gatti, edizioni Thyrus per capire cosa era la cultura agricola e che eredità di dirittura morale ci lascia. E poi Il ritorno dei contadini di Silvia Pérez-Vitoria, edizioni Jaca Book per capire l’interesse etico e anche un po’ ideologico che si sta formando attorno all’agricoltura.

Un libro di narrativa, poesia o saggio che non si può non aver letto?
Cent’anni di solitudine, di Gabriel Garcia Marquez.

Il libro che in questo momento sta invece leggendo?
Il cinema secondo Hitchcock, il testo di una intervista famosa di Francois Truffaut al grande regista americano, edizioni Net.

Perché gli italiani, e gli agricoltori in particolare, non leggono?
Forse gli italiani non leggono “in media” e guardano invece i sempre peggiori programmi televisivi di massa. Però io in libreria vedo molte persone sempre. E mi sembra quasi sempre di più. La lettura non fa parte della cultura contadina dove la tradizione era soprattutto verbale. Però anche qui ci sono delle realtà sorprendenti. La moglie del mio cantiniere, Simona, mi ha portato una volta un libro, L’angelo delle tenebre, di John Farris, in cui aveva scoperto che si parla del Villa Bucci.


La pagina tratta dal libro di John Farris in cui si cita il Verdicchio di Villa Bucci

di T N