Fuori dal coro

Produrre vino come facevano i Greci 2500 anni fa

Il progetto è stato presentato in occasione della rassegna Oenovideo e ha vinto due premi: miglior cortometraggio e Revue des Oenologues, per l’originalità e il valore della sperimentazione

28 giugno 2019 | C. S.

Era un segreto degli isolani di Chio quello di tenere l’uva per qualche giorno in mare ed eliminare la sostanza cerosa esterna, detta pruina, per avere poi un appassimento più veloce e riuscir a far mantenere al vino aromi e sostanze.

Il viticoltore elbano Antonio Arrighi ci riprova all’isola d’Elba, con metodologie antichissime, quali l’uso dell’anfora come vaso vinario e la “macerazione” delle uve in acqua di mare, alla maniera dei vini di Chio, ricordata da Plinio e dagli antichi georgici latini.

L’esperimento, partito con l’Università di Pisa, da un’idea del professore ordinario di viticoltura dell’università di Milano Attilio Scienza, è stato documentato dal regista Stefano Muti Muti e prodotto da Cosmomedia. Il corto di 15 minuti è stato presentato nei giorni scorsi alla rassegna Oenovideo di Marsiglia vincendo due premi: Miglior Cortometraggio, a riconoscimento della qualità tecnico-artistica dell’opera, e quello della Revue des Oenologues, per l’originalità e il valore della sperimentazione. I premi saranno consegnati il 14 ottobre prossimo a Parigi.

“Un esempio di archeologia sperimentale - dichiara il professor Attilio Scienza - che ci consente di ritornare alle origini, di capire perché questo vino è più famoso degli altri e di dare così risposte a molti interrogativi rimasti inevasi”.

“Volevamo riprodurre il vino dei Greci dell’isola di Chio”, racconta Antonio Arrighi. “Ho un’esperienza nella produzione in anfora e l’Elba ha fondali bellissimi. Abbiamo utilizzato le ceste di vimini e l’Ansonica, un’uva resistente e originaria di quelle zone, un incrocio tra due vitigni dell’isola di Chio. L’abbiamo messa in profondità per alcuni giorni ed è stata proprio una ricerca, una prova per capire quanto potesse resistere. Siamo riusciti nel nostro progetto. L’uva è stata poi messa ad appassire sulle cannucce e successivamente in anfora. La quantità di sale presente dopo 5 giorni in mare ha permesso di evitare l’uso di solfiti: il sale ha fatto da antiossidante e conservante. A marzo, quando abbiamo assaggiato il vino con Attilio Scienza, ci siamo emozionati: è probabilmente un vino come usciva dalle cantine dell’isola di Chio, fino a questo passaggio identico a come lo abbiamo prodotto noi”. Uno studio volto anche a fare tornare all’Elba una produzione di qualità. “Stiamo lavorando – sottolinea il viticoltore elbano - perché l’Isola d’Elba torni ad avere lo spazio che merita: nella prima metà dell’ottocento era il principale produttore di uva della Toscana, con 5000 ettari presenti sul territorio. Il vino arrivava in Liguria e fino al sud della Francia”.

Un viticoltore che esplora nuovi metodi e si dice curioso di provare cose che “non sono inventate ma arrivano dalla storia”; un produttore che si è messo alla prova: nel 2018 Antonio Arrighi ha voluto cimentarsi in questa sfida. Non è la prima volta che sperimenta antichi modi di fare il vino.

Il primo è stato con la vinificazione in anfore di terracotta, sul modello degli antichi romani.

L’idea della tecnica dell’uva in immersione nasce dal professor Attilio Scienza, che l’ha illustrata ad Arrighi durante ElbAleatico. L’uva si tiene alcuni giorni in mare, in apposite “nasse” (ceste) di vimini, in modo che l’acqua di mare elimini dagli acini la pruina, una sostanza cerosa che protegge i chicchi. In questo modo si accelera il tempo di disidratazione dell’uva, portandola a perfetta maturazione. Viene poi messa sulle cannucce ad asciugare e appassire, per essere in seguito vendemmiata nelle anfore. Non è stato facile reperire ceste di vimini: Arrighi è andato fino in Sardegna a Castelsardo, dove ancora vengono realizzate dai pescatori. È quindi partito l’esperimento insieme all’Università di Pisa, che ha seguito i passaggi. A metà settembre 2018 è stata raccolta l’uva: le nasse sono state posizionate a una profondità di 7 metri su un fondale di 10, in mare aperto ma vicino al porto di Porto Azzurro. Con l’aiuto di sub sono state sospese e legate ad una catenaria posata sul fondo per impedire l’oscillazione dei contenitori, in modo che le correnti (utili ad eliminare la pruina) non influissero sulle nasse. Ogni mattina un campione è stato issato e controllato per vedere lo stato dell’uva. I primi giorni si presentava molto dura e coperta da una patina composta da una sostanza che si forma sull’acino a difesa del salino del mare, scomparsa una volta messa l’uva al sole. Arrighi per questo esperimento non ha utilizzato solfiti. Unico disinfettante antiossidante usato è il sale. Al momento il vino non risulta ancora adatto ad essere commercializzato, nonostante le numerose richieste che sono giunte al produttore una volta diffusasi la notizia dell’esperimento.

L’esperimento sarà ripetuto nel 2019, apportando alcune modifiche per perfezionare il metodo. Per esempio sarà anticipata la raccolta dell’uva per immergerla nelle acque ancora estive, godendo quindi di un maggior calore solare.

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