Fuori dal coro

In nome dell'olivicoltura collinare, una storia di passione per l'olio extra vergine d'oliva

Una nuova generazione di giovani olivicoltori sta portando linfa vitale nel settore, salvaguardando territori che rischiano di trasformarsi in cimiteri di olivi. Questa è una delle tante storie di coraggio e sacrificio dalla profonda Campania agricola

24 novembre 2017 | Rossella Angius

Sembra lunga la strada per arrivare. Lunga e impervia, si arrampica sulla costa della valle del Cervaro, situata tra l'Appennino Campano ed il Subappennino Dauno, tra le province di Avellino e Foggia. Siamo ad Ariano Irpino. Ma col coraggio, si sa, si può affrontare ogni strada. E così la famiglia Romolo, stretta attorno ad un’azienda impegnata nell'attività di molitura delle olive e della produzione di Olio Extravergine di oliva fin dal 1963 ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e nel 2014 ha fatto la grande trasformazione. Un frantoio tutto nuovo, moderno che lavora a ciclo continuo, a temperatura controllata, che usa l’azoto sia in gramola che nella conservazione. Locali grandi pulitissimi e super moderni, che profumano di fresco e di olio buono.

In una zona d’Italia dove ancora i frantoi hanno le macine di pietra e le presse d’acciaio e odorano di morchia e stantio, e dove i contadini aspettano che le olive maturino ancora un po’ “Se no quando le spremi...che rimane!”... e magari sperano che piova prima di raccogliere, “Che così l’olive si ingrossano ancora un po’”, questa famiglia di frantoiani sta sfidando convenzioni e usanze, in un percorso faticoso verso un’olivicoltura moderna. Qui però c’è una grande fortuna: gli olivi sono ovunque e crescono rigogliosi, adornano i giardini delle villette, come le piazze delle cittadine, sono nelle campagne, ma sono anche lungo le strade. E sono di ogni tipo, c’è una grande varietà, anche di cultivar antiche, come l’Olivastro e poi insieme le varietà autoctone della provincia di Avellino, quali la Ravece, l'Ogliarola Avellinese, la Marinese o Cacazzara, la Ruveja, l'Olivone, l'Olivella di Carife, l'Olivella di Grottaminarda che convivono con quelle tipiche della provincia di Benevento come l’Ortice, l’Ortolana, la Racioppella. La campagna è pulita, il terreno è poco concimato chimicamente e poco trattato, “Perché è buono di suo e i concimi costano troppo”, il verderame si scioglie nell’acqua raccolto in pezzi grossi e si da solo quello, perché il terreno è arso, soprattutto quest’anno e per fortuna, “Le mosche non sono proprio nate quest’anno, sono bruciate dal caldo e comunque qui difficilmente non si vedono….” .

Difficile coniugare cultura contadina, saperi antichi e modernità, ma non hanno avuto paura, Giuseppe e la moglie Katia, non ha paura il giovane Dino che studia agraria e ama la terra e le tradizioni né il giovanissimo Daniele: entrambi, dopo la giornata di scuola e di studio, in questo periodo dell’anno invece che con gli amici li trovi alle 10 di sera in frantoio ad ammirare il capolavoro di un frutto che diventa oro liquido. Fanno un po’ fatica, certo, ci raccontano, ma pian piano le persone stanno capendo, ci sono giovani produttori, alcuni che fanno biologico, e quelli storici che stanno sperimentando, si rendono conto che il prodotto fatto così è un’altra cosa, si rendono conto da soli dei profumi, della ricchezza che sprigiona un olio estratto in questo modo.

“Abbiamo iniziato in annate difficili” ci dice Katia, “Le ultime due con troppa acqua e questa con tanta siccità e olive davvero piccole che però stanno ‘tirando fuori’ un olio straordinario in qualità, seppure scarso in quantità purtroppo. Siamo però fiduciosi, ci stiamo ritagliando il nostro spazio, senza compromessi, ormai la strada è solo questa per chi vorrà produrre un olio di qualità, che vorrà avere dignità di essere imbottigliato e venduto ad un prezzo decoroso che ripaghi i tanti sacrifici del contadino ed i nostri.” Una storia, una delle tante storie dell’olivicoltura che è bello raccontare perché racconta di eroi del quotidiano che stanno lavorando al futuro possibile dell’extravergine.

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