Fuori dal coro 06/09/2003

FELICE MODICA, DALLA CARTA STAMPATA AI CAMPI: L'INTELLETTUALE CONTADINO

Investire in agricoltura: il modo migliore per perdere i denari. Ma se vi è passione e competenza, i risultati non mancheranno


Felice Modica nasce a Roma. Per quindici anni ha fatto solo il giornalista, come inviato e editorialista di varie testate specializzate (caccia e pesca) e come collaboratore della terza pagina del “Giornale” di Milano e della “Gazzetta di Parma”. Ha pubblicato qualche libro (tra questi una monografia sul cirneco dell’Etna, Habitat editori, e un volume sulla caccia in Sicilia, Vallecchi), per sei anni è stato capo ufficio stampa al Comune di Noto. Nel 2001, in seguito alla morte del padre, l’imprenditore agricolo Antonino Modica, ha ereditato l’azienda di famiglia: 300 ettari di vigne, ulivi, agrumi, colture cerealicole, mandorli e carrubi. Si è dimesso dal Comune e fa l’imprenditore agricolo, senza trascurare il vecchio mestiere. Sta affrontando una difficile fase di trasformazione e ha già ottenuto buoni risultati con l’imbottigliamento dell’olio e del vino (produce Dop e Doc).

Felice Modica

- Da quanto tempo si occupa di agricoltura e con quali risultati?
- “Da due anni, dalla morte di mio padre. Con risultati straordinari eppure per me insoddisfacenti, visto che sono tante, troppe le cose da fare”.
- E’ soddisfatto, perplesso o preoccupato?
- ”Tutti e tre. Sono soddisfatto per le prime cose cambiate nella organizzazione aziendale. Sono perplesso circa i tempi per la conclusione del processo avviato. Sono preoccupato perché le risorse necessarie sono enormi”.
- Perché il mondo rurale ha perso di centralità e importanza negli ultimi decenni?
- ”Credo essenzialmente per una questione di numeri, cioè di fatturato e di occupazione. Ai politici non interessa moltissimo difendere l’agricoltura. D’altra parte, l’agricoltore è in genere uno che lavora sodo e non si interessa troppo di politica”.
- Crede che il comparto agricolo possa restare ancora un settore primario in Italia?
- “Ne sono convinto. La qualità italiana ci farà vincere. Nonostante tutto e tutti”.
- E lei perché ha scelto di operare in agricoltura?
- “Non ho scelto, sono stato scelto dalla mia azienda, che è un patrimonio di famiglia da oltre 200 anni. Potevo vendere. O affittare per colture stagionali, vivere di rendita. Ho scelto di fare l’imprenditore agricolo indebitandomi fino al collo… Più scemo di così…”.
- Un aggettivo per definire il mondo agricolo?
- ”Laborioso. Fuor di retorica”.
- Un aggettivo per definire invece le associazioni di categoria?
- ”Politicizzate. Con tutto quello che, in positivo e negativo, ne deriva. Ma questo è un discorso più ampio. E’ l’infezione marxista mai guarita nella società occidentale, per cui, se la politica non è tutto, tutto è politica…”.
- Una parola d’ordine per l’agricoltura di domani?
- ”Conciliare la tradizione con la modernità”.
- Se dovesse consigliare a un amico di investire in agricoltura, quale comparto produttivo suggerirebbe?
- “Investire in agricoltura è il modo migliore per perdere denari… Li giochi piuttosto coi cavalli, i denari, questo ipotetico amico! Se invece ha passione per l’agricoltura e non intenti meramente speculativi, investa nel comparto che più gli interessa. Studi, si documenti, operi con serietà e correttezza. I risultati non mancheranno”.
- Un imprenditore agricolo che ritiene possa essere un modello a cui ispirarsi?
- “Diego Planeta, un grande siciliano che non conosco di persona, ma che ha imposto i suoi prodotti nel mondo con un marchio che è garanzia di qualità”.
- Un ministro agricolo al quale sente di esprimere pieno apprezzamento?
- ”Giovanni Marcora. Perché era un bravo tecnico e un buon politico”.
- Le certificazioni di prodotto sono davvero utili al consumatore o lo confondono?
- ”Sono utili. E’ dannosa la eccessiva burocratizzazione. Molto dipende dalle regole, moltissimo da chi è chiamato a interpretarle e a farle rispettare. Non sempre il buon senso prevale sul senso comune. Purtroppo”.
- Un libro relativo al mondo rurale che consiglierebbe di leggere?
- “Un libro sulla “campagna toscana nel XVI-XIX secolo”, che ho letto tempo fa. Mi pare l’autore si chiamasse Mineccia. Lo reputo importante perché associa alla campagna l’idea della bellezza. La bellezza può – e secondo me deve – convivere con l’agricoltura. Un’azienda deve avere dimensioni umane”.
- Un libro di narrativa, poesia o saggio che non si può non aver letto?
- ”Si può non aver letto niente e vivere benissimo. Anzi, avevano ragione i preti a sostenere che dalla scrittura derivano tutti i mali dell’uomo. Quanto alle mie personali preferenze, ne dico tre: il Don Chisciotte di Cervantes, il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e Il giorno del giudizio di Satta”.
- Perché gli italiani, e gli agricoltori in particolare, non leggono?
- ”Gli italiani non leggono perché scrivono troppo. Non so se gli agricoltori siano al di sotto della media. Un tempo poteva essere un problema di alfabetizzazione. Oggi, chissà? Forse impiegano tutto il tempo che potrebbero dedicare alla lettura per affrontare quel mostro chiamato burocrazia…”.

di T N