Fuori dal coro 30/04/2005

"SONO PREOCCUPATO", AFFERMA GIORGIO BARCHIESI. "L'AGRICOLTURA NON E' NELLE CHIAVI DEI POTENTI"

Ecco un personaggio inconsueto e divertente, per come si pone. Ha l'amore per la terra nel sangue ed è solo la passione che lo ha spinto ad affrontare un mondo, quello rurale, chiuso in se stesso e poco incline all'umorismo


Giorgio Barchiesi ha l’agricoltura nel sangue. E’ nato a Roma nel 1957 e vive a San Marco di Montefalco, in provincia di Perugia, dove svolge l’attività di consulente musicale e si occupa di agricoltura.



Da quanto tempo si occupa di agricoltura e con quali risultati?
Da preadolescente, avendo un’azienda agricola di famiglia. Poi, si sa, il legame con la terra diventa strano; io ci ho lavorato su tanto tempo. Dapprima ho seguito la mia azienda a carattere ceralicolo-zootecnico, da lì poi mi sono occupato di commercializzazione della carne e di altro ancora.

E’ soddisfatto, perplesso o preoccupato?
Preoccupato, perché l’agricoltura non è nelle chiavi dei potenti. Per quanto grande sia un’azienda, non sarà mai sufficiente per destare l’interesse della politica. In particolare in Italia, ciò resta un grave e irrisolto problema.

Perché il mondo rurale ha perso in centralità e importanza negli ultimi decenni?
Perché non sono stati spesi soldi per ricerca e innovazione, per esempio; ma abbiamo anche grossi problemi di cooperativizzazione; e non solo, da noi lo scarso peso del mondo rurale è un fatto di cultura. Non c’è infatti una cultura dell’unità d’intenti. Ogni azienda agricola è fine a se stessa ed è lontana da ogni altra realtà produttiva. C’è sempre una chiusura mentale. Ognuno fa meglio dell’altro e non c’è una comparazione fattiva. In più, occorre considerare che lo Stato non fa nulla; non crea, per esempio, degli sbocchi commerciali concreti per le aziende. E così – considerando anche la minacciosa competitività dei Paesi terzi, i quali si inventano prodotti uguali ai nostri che costano però cinquanta volta di meno – è inevitabile che ci massacrino, di conseguenza, il senso dell’umorismo.

Crede che il comparto agricolo possa restare ancora un settore primario in Italia?
Speriamo.

E lei perché ha scelto di operare in agricoltura?
Perché si sono create situazioni contingenti favorevoli. La mia è stata da sempre una passione, e quando trovi persone che di questa passione sono disposti a fare un motivo di vita o di sviluppo, allora ti ci butti a capofitto, anche perché sono pochissimi i “magnati” che vogliono investire in agricoltura e sperimentazione. Io in particolare sto sperimentando sull’olio perché c’è chi spende per me grazie a Dio e quindi spero di riuscire a fare qualcosa di buono.

Un aggettivo per definire il mondo agricolo?
Vecchio.

Un aggettivo per definire invece le associazioni di categoria?
Vecchie.

Una parola d’ordine per l’agricoltura di domani?
Eh! Innovazione...

Se dovesse consigliare a un amico di investire in agricoltura, quale comparto produttivo suggerirebbe?
Ha presente quella vignetta con i tre punti interrogativi e poi alla fine un punto esclamativo? Ecco.

Un imprenditore agricolo che ritiene possa essere un modello a cui ispirarsi?
Un imprenditore agricolo vero? Non ne conosco. C’è sempre uno sfondo commerciale dietro alle imprese. L’amore per la terra viene in secondo piano.

Un ministro agricolo al quale sente di esprimere pieno apprezzamento?
Pieno apprezzamento? Non ne conosco.

Le certificazioni di prodotto sono davvero utili al consumatore o lo confondono?
Se fossero veramente tali sì. Noi produciamo un olio extra vergine di oliva biologico, certificato Icea, certificato Aiab, certificato Ifoam, ma l’America per farlo entrare in casa loro vuole una supercertificazione con altre spese. Un piccolo olivicoltore si trova avanti una serie di muri, che vuol dire soldi, da spendere perché questo prodotto venga riconosciuto. Peraltro, le normative sono talmente complicate e talmente inavvicinabili da rendere necessaria una persona a parte, che ovviamente farebbe incrementare i costi ancora di più.

Un libro relativo al mondo rurale che consiglierebbe di leggere?
Mi viene in mente Luigi Colini, con Le voci del mare e della terra, quando la terra era ancora una cosa molto romantica.

Un libro di narrativa, poesia o saggio che non si può non aver letto?
Io direi Montale, Ossi di seppia.

Il libro che in questo momento sta invece leggendo?
Una stupidaggine. Siccome viaggio, mi è piaciuto l’ultimo di Wilbur Smith, ma non lo scriva.

Perché gli italiani, e gli agricoltori in particolare, non leggono?
Perché non ne hanno il tempo. In realtà la vita rurale, se intendiamo quella del contadino e dell’imprenditore, è piuttosto faticosa e niente e nessuno stimola il coltivatore a una apertura mentale. Il contadino deve rimanere tale; e solo pochi imprenditori hanno velleità intellettuali.

di T N