Fuori dal coro 24/03/2012

La fatica è di oggi e i risultati di domani

La fatica è di oggi e i risultati di domani

“Si è nelle mani della Natura”. Secondo Giorgio Anselmet il lavoro in vigna è sfibrante: “spesso ci fa sentire in colpa perché sottraiamo tempo alla famiglia, le attività in cantina seguono ritmi ferrei”


Giorgio Anselmet è nato ad Aosta nel 1964. Ha impiegato poco tempo a capire che la storia dei giovani che abbandonano l’agricoltura e se ne vanno in città era un po’ debole e che il futuro era in Valle.

Ecco che allora si applica con dedizione agli studi presso l’Institut Agricole Régional di Aosta, una scuola all’avanguardia, dinamica, favorevole all’innovazione ma con un profondo rispetto della tradizione.

In questi anni si dedica con passione allo sport semi-professionistico diventando uno dei pilastri del Rugby Aosta.

Raggiunto il diploma capisce che manca ancora qualcosa e si ferma altri tre anni presso l’Institut lavorando alla sperimentazione in cantina. Una chiamata dalla Crotta di Vegneron di Chambave (AO) lo fa uscire dalla fase di studio e lo ‘sbatte’ in produzione, quella delle cooperative! Un passaggio alla Cave des Onze Communes e, nel 2001, è pronto per entrare in azienda: Maison Anselmet.

Un grande confronto iniziale con il padre Renato che aveva intuito la necessità di una crescita, un primo periodo per capire come muoversi in una realtà profondamente diversa da quella delle cooperative e via con una razionalizzazione delle vigne esistenti, un significativo ampliamento di terreni coltivati e la creazione di un ventaglio di vini a dir poco, interessante!!

I compiti sono stati suddivisi con equità. Le vigne sono regno di Bruna, moglie di Giorgio, che ne gestisce tutte le attività, eccezion fatta per i due-tre trattamenti annuali. In cantina lavorano invece i due capostipiti e tre giovani promesse: Henri, Arline e Stephanie. Sono la terza generazione e, giusto per far capire le intenzioni, anche i nomi di tre vini della Maison.

Questo percorso ha portato Giorgio Anselmet ad una serie di riconoscimenti su diversi fronti, nazionali ed internazionali: “Chardonnay élevé en fût de chêne” si conferma anno dopo anno una eccellenza, “Le Prisonnier” che è ‘solo’ un vino da tavola con una storia centenaria, “Pinot Noir” che si posiziona tra i migliori in Italia, “Arline” un vino complesso da uve stramature.

Con la realizzazione di una nuovissima cantina in tufo, completamente operativa dal 2011, anche le aree di produzione e di invecchiamento sono ora come Giorgio e Renato volevano che fossero.

 

Da quanto tempo si occupa di agricoltura e con quali risultati?

Dopo gli studi allo IAR di Aosta, sono rimasto in istituto lavorando nella Cantina sperimentale dell’Institut Agricol Regional. Trascorsi tre anni ho iniziato a collaborare con una cooperativa vinicola di Chambave, la Crotta di Vegneron e successivamente con Cave des Onze Communes. Infine nel 2001 sono entrato nell’azienda agricola di famiglia, occupandomi della coltivazione nelle vigne esistenti e della selezione di nuovi vigneti per poter ampliare gli ettari coltivati e arrivare ad essere uno dei produttori di riferimento in una regione piccola e aspra come la Valle d’Aosta.

 

È soddisfatto, perplesso o preoccupato?

Sono soddisfatto perché faccio quello che più mi piace, perché i risultati iniziano ad essere tangibili e perché la strada che ho intrapreso è stata giudicata, da me ma anche dai miei interlocutori, essere quella giusta. Sono perplesso perché molto spesso le pratiche burocratiche tolgono tempo ed energia alle attività in vigna e in cantina. Sono preoccupato, perché se non lo fossi sarei incosciente in un settore in cui si è nelle mani della Natura.

 

Perché il mondo rurale ha perso in centralità e importanza negli ultimi decenni?

Perché è più facile sedersi davanti ad un computer o lavorare per otto ore al caldo e all’asciutto. La fatica è di oggi e i risultati di domani, una grandinata, una siccità, un parassita possono fare la differenza. La certezza sembrava, e faccio notare la coniugazione al passato, essere dell’industria, del commercio, dei servizi.

 

Crede che il comparto agricolo possa restare ancora un settore primario in Italia?

Deve essere così. In Italia non abbiamo materie prime, possiamo dire che l’unico settore primario sia l’agricoltura. Abbiamo ingegno e siamo dannatamente bravi a contrastare avversità e imprevisti, un po’ meno a mantenere le posizioni di eccellenza raggiunte o a garantire che i nostri prodotti non siano malamente copiati.

 

E lei perché ha scelto di operare in agricoltura?

Me lo domando ogni volta che sorge un problema, e nel corso di un anno ne sorgono tanti, ma mi rispondo quando vedo i risultati della mia fatica, quando tutta la famiglia si riunisce per festeggiare la fine della vendemmia, quando con mio padre assaggiamo una nuova annata.

 

Un aggettivo per definire il mondo agricolo?

Accogliente. In un non lontano passato è stato lasciato a se stesso, trascurato, violentato. Eppure è sempre disposto a farsi ridisegnare, a farsi riconquistare, a diventare un nuovo ed esigente compagno di avventura.

 

Un aggettivo per definire invece le associazioni di categoria?

Una sana opportunità di discussione, spesso una inesauribile fonte di litigio. Certamente un notevole filtro su molte delle pratiche extra-vigna ed extra-cantina. Io le vedo un po’ come una suocera con cui facilmente si litiga, ma che spesso ci fa comodo.

 

Una parola d’ordine per l’agricoltura di domani?

Ripetitività dei risultati. Professionalità. Preparazione.

 

Se dovesse consigliare a un amico di investire in agricoltura, quale comparto produttivo suggerirebbe?

Con un amico si condividono tempo ed esperienze quindi suggerirei: Vigne e cantina! Qual miglior modo di unire utile e dilettevole.

 

Un imprenditore agricolo che ritiene possa essere un modello a cui ispirarsi?

Gaja. È bravo, non scende a compromessi, definisce gli standard, il suo lavoro è apprezzato da amici e nemici. Un modello, e non solo per il settore viti-vinicolo.

 

Un ministro agricolo al quale sente di esprimere pieno apprezzamento?

Mi considero libero pensatore e non ho appartenenza partitica. Per questo motivo desidero citare da una parte Luca Zaia che ha messo buon senso e visione imprenditoriale a disposizione del settore agricolo, dall’altra Paolo De Castro che, al Governo prima e in Commissione Europea poi, si è prodigato per aiutare l’agricoltura attraverso il Piano di Sviluppo Rurale e il Piano Agricoltura Comunitaria attuale.

 

Le certificazioni di prodotto sono davvero utili al consumatore o lo confondono?

Le certificazioni possono aiutare ed essere utili se sono credibili, ma gli organi di controllo devono essere a tolleranza zero! Chi sbaglia deve pagare e pagare caro perché danneggia tutto il settore per il proprio guadagno o per leggerezza.

 

Un libro relativo al mondo rurale che consiglierebbe di leggere?

Non credo ce ne sia uno che in assoluto si possa distinguere tra gli altri.

 

Un libro di narrativa, poesia o saggio che non si può non aver letto?

Amo molto Stefano Benni. È imprevedibile, intelligente, curioso, sperimentatore. Un agricoltore mancato! Più che un romanzo mi piace citare un racconto “Il verme disiscio” due pagine di rara maestria dialettica.

 

Il libro che in questo momento sta invece leggendo?

Ho appena terminato le letture della stagione invernale, ora c’è da preparare le vigne …...

 

Perché gli italiani, e gli agricoltori in particolare, non leggono?

Non credo che gli agricoltori non leggano, siamo lettori stagionali!

Il lavoro in vigna è sfibrante, spesso ci fa sentire in colpa perché sottraiamo tempo alla famiglia, le attività in cantina seguono ritmi ferrei. La concentrazione indispensabile alla lettura di qualità deve essere trovata nei periodi di calma.

 

di T N

Commenta la notizia

Per commentare gli articoli è necessaria la registrazione.
Se ancora non l'hai fatto puoi registrati cliccando qui oppure accedi al tuo account cliccando qui

Commenti 1

Giulio P.
Giulio P.
24 marzo 2012 ore 07:50

Complimenti. Un bell'esempio di imprenditore agricolo, tosto. Mi piacerebbe saperne di più.