Fuori dal coro 03/12/2011

Imprenditori agricoli? No: missionari e visionari

Imprenditori agricoli? No: missionari e visionari

Alessandra Paolini, calabrese, avvocato, ha creduto e continua a credere nell’agricoltura. Si occupa dell’azienda di famiglia. E’ stata chiamata in maniera perentoria e traumatica, ma ora ci crede per scelta responsabile e per passione


Alessandra Paolini è nata a Cosenza nel 1967. Dopo studi classici si è laureata in giurisprudenza specializzandosi in bioetica. Dal 2001 si occupa dell’azienda di famiglia. “Più che imprenditore – sostiene – mi sono sempre sentita e continuo a sentirmi una passionaria agricola”.

Infatti, riflettendo sul proprio impegno ha tratto una conclusione sulla quale è bene riflettere. “Gli imprenditori agricoli – sostiene la Paolini – hanno connotati diversi”. Tant’è – ammette – “la maggior parte di essi, me compresa, non sono imprenditori nell’accezione più comune del termine.

Forse saranno missionari, forse saranno visionari, forse saranno compulsivi, forse saranno innamorati, forse saranno destinati, forse. Non lo so: la terra ha una voce, e chi l’ha sentita è in sua balia, come Ulisse con il suono delle sirene…non resta che farci legare, o tuffarci!”

 

Da quanto tempo si occupa di agricoltura e con quali risultati?                                                      La respiro da sempre e la amo da prima, me ne occupo da 11 anni e come risultato vedo magma, spero prenda forma qualche nuova terra

E’ soddisfatta, perplessa o preoccupata?
Soddisfatta per la visuale complessa di cui questo tipo di lavoro mi ha arricchito, perplessa per il ruolo marginale che oggi si attribuisce al mondo agricolo, preoccupata per l’assoluta mancanza di uomini interessanti ed idee emergenti.

Perché il mondo rurale ha perso in centralità e importanza negli ultimi decenni?
Per mancanza di cultura intesa in senso lato. Si è persa la messa a fuoco anche se, paradossalmente, si sono enfatizzati settori strettamente connessi al comparto agricolo, senza capire che bisognava tutelare la matrice per dare futuro alle diramazioni.

Crede che il comparto agricolo possa restare ancora un settore primario in Italia?
Sì, almeno fino a quando l’Italia vorrà continuare ad essere un paese che ha qualcosa da dire: la sua lingua madre è quella agricola e turistica, peccato faccia fatica a capirlo.

E lei perché ha scelto di operare in agricoltura?
Io sono Avvocato, la terra mi ha avocato a sé in maniera perentoria e traumatica all’indomani della morte improvvisa di mio padre che si occupava dell’azienda di famiglia. Sono rimasta per scelta responsabile e per passione.

Un aggettivo per definire il mondo agricolo?
Affabulatorio

Un aggettivo per definire invece le associazioni di categoria?
Patetiche

Una parola d’ordine per l’agricoltura di domani?
Rivisitazione

Se dovesse consigliare a un amico di investire in agricoltura, quale comparto produttivo suggerirebbe?
Dalle antiche varietà locali di piante, alle piante officinali, agli oli del territorio, a qualsiasi varietà connotata da valore organolettico, senza tralasciare le implicazioni nel settore cosmetico e farmaceutico. Qualsiasi settore purché punti alla rivalutazione.

Un imprenditore agricolo che ritiene possa essere un modello a cui ispirarsi?                  Ho sempre guardato al pervicace ostinato viscerale attaccamento alla terra che ha segnato le donne e gli uomini della mia famiglia

Un ministro agricolo al quale sente di esprimere pieno apprezzamento?
Arrigo Serpieri, per la sua lungimiranza e la sua modernità

Le certificazioni di prodotto sono davvero utili al consumatore o lo confondono?
Come bugiardini delle medicine, utili per chi sa decifrare, dannose per gli altri

Un libro relativo al mondo rurale che consiglierebbe di leggere?
La buona terra di Pearl S. Buck

Un libro di narrativa, poesia o saggio che non si può non aver letto?
Le poesie di Ungaretti, Quasimodo, Cardarelli, la prosa di Calvino

Il libro che in questo momento sta invece leggendo?
Il sangue del Sud di Giordano Bruno Guerri

Perché gli italiani, e gli agricoltori in particolare, non leggono?                                                  Non si trasmette loro da piccoli l’alchimia della narrazione.

 

di T N

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Commenti 17

Gabriella Coronelli
Gabriella Coronelli
05 dicembre 2011 ore 16:40

Alessandra quanto hai scritto è stupendo, molti di noi potrebbero mettersi a raccontare di queste storie incantevoli. Molti agricoltori, casari, contadini no, non per mancanza di volontà dei loro genitori o di loro stessi.
Quindi, semplicemente, penso, non sia questo il luogo di tali racconti, per il motivo che diceva Olmi: la leale volontà ... ecco, tutto qui ... questo, a mio modesto parere, è luogo di valorizzazione dei pregi di chi ha saputo portare avanti una cultura, non basata sui libri ma ricca, importante.

alessandra paolini
alessandra paolini
05 dicembre 2011 ore 15:53

Gentile Gabriella,
a dire la verità, mi sono interrogata se commentare il tuo commento oppure no. Il dubbio deriva semplicemente da una sorta di ‘imbarazzo da presenzialismo’: dopotutto tre interventi in una testata giornalistica, per una che non è una addetta i lavori, beh, potrebbero stonare! Ma sai poi perché mi sono convinta a farlo? La risposta me l’hai data tu! Rileggendo il tuo intervento io ho considerato che, in effetti, la necessità immediata che ho avuto a commentarlo e che ho provato a tenere a freno, era dettata dalla volontà di dare un messaggio. Messaggio che doveva sostenere qualcosa: nello specifico, un punto, una domanda fra quelle racchiuse nell’intervista del direttore Caricato che, senza dubbio, non a caso avrà messo lì e non a caso continua a riproporre. Io penso sia bene che ci stia quella domanda che può scandalizzare o offendere sul perché gli italiani e gli agricoltori non leggano, è questo che volevo scrivere.
Perché mi hai dato tu la spinta a farlo? perché tu dici che spesso, prima di pubblicare, non ci si domanda se quello che si sta scrivendo sia utile a qualcosa. Ora, in effetti, se quello che sto scrivendo sarà utile o meno non lo so, ne forse potrò mai saperlo, ma di certo so che gli sto affidando un concetto che mi piace condividere. Quindi ti prego di leggere quello che dico in maniera molto conviviale, come un bello scambio schietto e costruttivo. Tu dici che è ininfluente la quantità di libri che si legge perché quello che conta è ispirato da altro e citi, tra le fonti di ispirazione, realtà di fronte alle quali non resta che esprimere il più ammirato rispetto. Però io una lancia a favore della lettura la devo spendere e, se non lo facessi, forse non oggi, né domani né fra un anno, forse chissà in quale strano momento, io con me stessa dovrei scusarmi per non averlo fatto. E allora scusami se ora scrivo non solo per dire qualcosa di utile agli altri, ma anche perché quello che scrivo è e sarà utile a me, quanto meno a farmi pensare che ho difeso un qualcosa di immateriale, forse generico, forse imprecisabile, ma per me molto importante.
Io nella vita ho letto, non tantissimo, non pochissimo, non sono un’erudita e forse non sono neppure colta, non ho memoria di quello che leggo, forse anche per il mio leggere che si connota a volte dei toni dello sprofondare, spesso, quando leggo, io sprofondo e quando riemergo e mi distanzio dalla lettura ho lasciato parte di me in essa e parte di essa è diventata me, forse per questa osmosi, poi non ricordo! Ma una cosa è certa, quello che voglio insegnare ai miei figli è la lettura. Penso che insegnando questo si insegna dove imparare tutto quello che ai figli o alle altre generazioni non si può o non si sa dare. Ricordo quando mi arrampicavo sul letto e dal letto arrivavo in punta di piedi dove c’era la raccolta di libri di mio padre, ne prendevo due o tre e poi glieli sottoponevo perché mi desse il lasciapassare a quella lettura che poteva essere adatta o meno alla mia età. Mio padre mi ha dato una ricchezza immensa, come quella dei racconti di mia madre, questa ricchezza vorrei trasmettere io. Fra dieci anni, il mondo sarà diverso ed io non ho gli strumenti per sapere dove e in cosa cambierà, si troverà nei libri che verranno. Ma in molto sarà rimasto uguale, e questa continuità legherà i libri di ieri a quelli di domani.
E poi qualsiasi cosa pubblicata potrà essere utile solo se qualcuno la leggerà. Leggere è per me una predisposizione all’ascolto, all’uscire da sé, al confronto, al riconoscersi ignoranti, al saper chiedere aiuto. Ma è anche un voler entrare in contatto con il nostro io più profondo, una sete di conoscenza, la ricerca di un aiuto, la volontà di trovare soluzioni, l’aprirsi alla meraviglia al bello al nuovo all’ignoto, alla sfida. Io penso che l’insistere sull’importanza della lettura sia un insistere sulla chiave d’accesso alle soluzioni altre che il leggere ci propone.
La mia è una visione del tutto personale, ma non potevo non esprimerla, senza di questo non pentirmene prima o poi.

Gabriella Coronelli
Gabriella Coronelli
05 dicembre 2011 ore 11:37

Quanta acqua sotto i ponti ... da sabato ad oggi, significa che l'articolo ha valore. Concordo, il valore di quanto espresso da Alessandra è notevole e provocatorio. Trovo il commento di Alberto Guidozzi stimolante, dice qualcosa su cui vale la pena riflettere.
Intendo semplicemente, allargare un po' il pensiero che ho espresso velocemente l'altro giorno. Riconosco di essere scivolata in una generalizzazione, per fretta, citando le testate femminili, in realtà è vero le testate femminili, come la maggior parte di testate cartacee (femminili, maschili, politiche, economiche, ...) sono responsabili di passare informazioni fini a sé stesse poco approfondite, poco proattive. A dare un senso rimangono pochi professionisti capaci di introspezione e chiedersi, evidentemente ogni volta prima di pubblicare qualcosa "sarà utile a qualcuno, quello che sto scrivendo?"
Per spiegarmi meglio, prendo in prestito alcune riflessioni fatte da Ermanno Olmi, nel testo "I volti del cambiamento", Olmi afferma di non vedere, nonostante la crisi ancora in corso, leale volontà nel porre le basi di un nuova società civile che sia consapevole del rispetto dovuto ai più deboli. Con nuove strategie di manovra si tenta di ripristinare il medesimo sistema che, da sempre, agisce sul movimento del denaro reale dei risparmiatori creando ricchezza fasulla. Questo perché non è partito alcun cambiamento, che deve partire dal singolo, riordinando la priorità dei valori che danno significato alla vita di ciascuno. La proposta di Olmi è "innanzitutto, liberarci dal superfluo, che è una falsa felicità". Convertirci a una ragionata povertà, una povertà che restituisce al necessario il gusto della riscoperta dei beni più preziosi.
Personalmente penso che la comunicazione debba cambiare, concentrarsi non sui difetti ma sui pregi: esistono realtà rurali, contadine e agricole che costituiscono modello esemplare e replicabile di strutture produttive basate su valori solidi abbastanza da far intravedere un futuro certo e sano.
A questo dobbiamo guardare, quanti e quali libri questi signori leggano è assolutamente ininfluente, i valori sono quello che contano e, spesso, non sono ispirati da libri ma dalla vita, dalla terra, dal passato e dal futuro.

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
05 dicembre 2011 ore 00:04

Gentilissima Alessandra (sono passato al superlativo perchè lo merita)

Credo proprio che siamno sulla stessa lunghezza d'onda. Forse le sfumature di diversità derivano più dal bisogno di fare sintesi, il che non permette pensieri più chiari, che da modi di vedere diversi.

Io mi sono formato, dopo gli studi universitari, in Francia perchè la professione mi ha portato colà e poi mi ha permesso un continuo confronto tra le due agricolture per il dover vivere le due realtà

Qual è la differenza sostanziale che ho riscontrato?

a) in Italia è sempre stato possibile essere agricoltori per il solo fatto di essere proprietari di terra (l'affitto quasi non esiste in Italia)

à) In Francia, indipendentemente dalla proprietà o meno della terra, si è e si rimane agricoltori solo se si intraprende e si migliora in continuazione.

Perchè le due situazioni?

In Italia la terra è sempre stata un bene rifugio già appagante di per sè ed inoltre il reddito, finchè vi è stata la lira, si creava non dalle unità di prodotto ottenute ma dal prezzo di vendita che aumentava in conseguenza delle frequenti svalutazioni e dei meccanismi agrimonetari del mercato comune ( svalutazione significava rivalutazione dei prezzi agricoli interni e degli aiuti calcolati in "lira verde" che di conseguenza si rivalutava).

Tutto ciò ha rappresentato una stagnazione delle strutture fondiarie (colpevolmente propugnata dalle maggiori associazioni agricole), un accaparramento della terra in mani pochissimo "agricole" (ecco perchè parlo di "notai", ma in reraltà voglio dire chiunque abbia investito soldi più o meno neri in terreni), una produttività calante. Con l'avvento dell'euro, nelle campagne si comincia a sentire che il vento è cambiato. Ci si accorge cioè che non abbiamo la produttività che compensa i prezzi in calo.

In Francia invece, essendo un paese esporatore si è sempre misurato sul mercato internazionale e quindi, anche se ha ricevuto, in fatto di aiuti come noi, (ma senza rivalutazioni, però), vi è sempre stata la coscienza di aumentare la produzione e diminuire i costi. Ciò non ha permesso il sorgere di agricoltori parassiti e la competizione ha aguzzato l'ingegno. Hanno dovuto adeguare le strutture fondiarie e non hanno permesso il fenomeno tipicamente italiano suaccennato, vale a dire è agricoltore solo chi ha i titoli per farlo, nessuno espropria nessuno, se uno vuole investire in terra lo può fare, ma la coltiva se ha i titoli per farlo, cioè è riconosciuto imprenditore agricolo. Chi si ritira dal coltivare la terra, o ha il figlio che gli subentra oppure l'affitta. In Italia invece abbiamo i pensionati che rimangono agricoltori a vita e così bloccano il mercato fondiario ed impediscono l'affitto, o per lo meno non lo permettono a dei prezzi accessibili per chi lavorando ci deve poi vivere.

Purtroppo le frontiere non ci sono più, ma non ci sono più nemmeno ai confini dell'Europa, L'Organizzazione Mondiale del Mercato è operativa ed ecco che importiamo il 50% del nostro fabbisogno in frumento tenero, quasi altrettanto di frumento duro (in Puglia quando si incassava più di 1 milione di lire ad ettaro la produzione di quell'ettaro a grando duro era di 5 q). La Sicilia produce per ettaro le stesse quantità di grano duro dell'attaro canadese, ma questi lo vendono a tre volte meno).

I nostri ministri fanno finta di non accorgersi di questo stato di cose e illudono gli italiani con il made in Italy. Quando all'estero si accorgeranno che la breaola valtellinese è fatta con carne argentina, che i prosciutti sono fatti con molte coscie imnportate, che il parmigiano reggiano è ottenuto per il 30% con mais importato, per il 90% con soia inportata ed ora siamo obbligati anche ad importare i fieni dalla Slovenia cosa diranno, come minimo questo " questi italiani hanno un bel tipico però!!!"

Ecco dove voleva sfociare il mio colloquiare con lei se la sua scelta di fare l'imprenditrice agricola poteva misurarsi con realtà come quelle descritte o se già im parteva aveva un handicap di superficie per fare certe coltivazioni che le annullava tutta la sua capacità imprenditoriale.

Certo vanno bene anche 7 ettari se li si copre di serre (gli olamdesi insegnano: 5000 q di cetrioli in 11 mesi di coltivazione), ma quella è agricoltura di soprassuolo, come la chiamo io, non agricoltura di suolo che è quella di cui stiamo parlando.

alessandra paolini
alessandra paolini
04 dicembre 2011 ore 22:15

Gentile Alberto,
grazie per i chiarimenti che mi consentono di risponderle.
Io, qui, posso stigmatizzarle la mia storia e schizzarle un mio pensiero, però le anticipo che a compararli le sembreranno contraddittori.
Non so se per lei io possa essere definita un Agricoltore, ma di fatto faccio solo questo. Per pochi mesi, dopo la morte di mio padre, provai a fare entrambe le cose, ma un giorno una persona che non mi conosceva affatto mi disse che avevo il cuore da un'altra parte. Lasciai con grande malincuore gli studi giuridici, una fetta importantissima ed estremamente vissuta e voluta della mia storia. Rimase l’azienda. La ringrazio del pensiero che i miei studi universitari possano essere messi a frutto come imprenditrice agricola: mi conforta, l’ho pensato spesso, l’ho sperato tanto, a volte si è realizzato. Non è facile, dal mio punto di vista, rinunciare a qualcosa di molto importante, anche se lo si fa per qualcosa che si reputa altrettanto importante, non è facile rinunciare ad una scelta anche se lo si fa per scelta, sradica, snatura, espone a rischi e all’ombra del rimpianto. Tutto questo lo dico per agganciare la mia storia al mio pensiero. So che qualcuno riesce a svolgere contemporaneamente la propria professione e l’impegno nel campo agricolo. Non giudico a priori negativamente la cosa. Dipende, forse, dalle capacità di ognuno, io ho riconosciuto di non avere quelle che mi consentissero di svolgere entrambi, o forse le mie due strade erano inconciliabili, o il mio temperamento mi imponeva una scelta. Ma so che è stata difficile e dolorosa, e questo mi aiuta a capire chi non l’ha fatta. Se poi questi ultimi siano o meno Agricoltori nel senso che lei intende, lo lascio dire ai frutti che il loro essere agricoltori porta. Non voglio assolutamente fare polemica con lei, il semplice modo in cui si presenta ‘vecchio agronomo mantovano’ mi suscita empatia, ma voglio solo condividere una mia idea, giusta o sbagliata che sia. Io credo che la ricerca dell’innovazione, così come l’aumento della produttività, siano perseguibili da chi investe, testa cuore spirito e proprie risorse economiche in quello che fa. La dimensione dell’azienda per me non è un indicatore sicuro. Ho visto e vedo aziende che si estendono per molti ettari e vivono ‘rubacchiando’ i contributi agricoli, ho visto aziende di estensione piccola avere il coraggio di innovare. E sono le sovvenzioni, a mio avviso, che hanno agito da cellule cancerogene. E’ lì, perchè errato è tutto il sistema, che si è innescato il meccanismo che a lei e a me tanto indigna! Spesso sono quelle, per me, l’ostacolo ad essere Agricoltori come lei auspica, e non lo svolgere in contemporanea due professioni. Il notaio che sta sovvenzionando con il suo lavoro di notaio il suo hobby agricolo, se non è uno stupido o un masochista, proverà a renderlo fruttuoso questo hobby, o quanto meno a farne qualcosa di cui andare fiero, l’agricoltore che sta sperperando i contributi (che magari non gli competevano) se ne infischierà poco di provare ad innovare, tanto, innova o meno, quelli arrivano. Forse lei potrà dirmi ma quel notaio, anche se è stupido, ha la possibilità, con il doppio lavoro, di continuare a portare avanti una agricoltura non Agricoltura. Ha ragione anche lei, ma almeno lo fai con i soldi propri. L’agricoltore che lo fa con i contributi pubblici è ancor più deprecabile. Il notaio paga la stupidità nel suo essere agricoltore con i soldi propri, li mette in circolo, li rischia, li gioca, magari li brucia; ma l’agricoltore che lo fa con quelli pubblici, neppure ne paga il patimento!
Io la penso così, Alberto, e mi scusi se non condivide: per me chi rischia con il suo è comunque degno di rispetto, chi sperpera il pubblico è giudicabile.
Ma anche se la sua e la mia visione delle cose possano differire, comunque, una cosa è certa: entrambi, a proprio modo, siamo figli della terra! In nome di questa comune ‘paternità’ le auguro di cuore buone cose per tutto! E mi scuso, anche con il direttore Caricato che mi ha concesso l’onore e l’opportunità di essere ospite di questa bella ed intelligente rubrica, per lo spazio e il tempo che i miei interventi hanno preso.

Giulio P.
Giulio P.
04 dicembre 2011 ore 20:11

Se per Luigi era bellissima la risposta di Alessandra per me quella di Alberto è magnifica. Per fortuna che gli agricoltori non leggono...

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
04 dicembre 2011 ore 19:52

Gentile Alessandra

Sono un vecchio agronomo mantovano e sono da sempre critico con aziende agricole senza la superficie necessaria per competere, o per "aziende agricole" il cui reddito del titolare arriva da altre fonti e poi si permette di disquisire sul come fare agricoltura non accorgendosi che è solo un hobbista e quindi non ha voce in capitolo in un settore economico che non è il suo. Ecco perchè ricercavo la superficie delle colture della sua azienda, volevo rendermi conto dove classificarla (prenda, la prego, questa parola che può avere anche un significato negativo nel senso positivo!)

Penso proprio, vedendo le coltivazioni che pratica, che sia tutto fuorchè una hobbista e che metta a frutto la sua formazione universitaria per fare bene l'imprenditrice agricola che innova e che rischia. Evidentemente considero agricoltore anche chi non ha la superficie sufficiente, ma si specializza e usa parte del suo tempo per gestire una struttura cooperativa o è socio che produce per far funzionare al meglio la struttura a cui conferisce il prodotto.

In Italia da sempre viviamo un paradosso, voluto da Coldiretti e messo in atto da chi gode del suo pacchetto di voti, per il quale è agricolore chiunque. Mi spiego meglio io agronomo non posso fare il notaio, ma il notaio può fare l'agricoltore al mio posto (ho scelto una professione con albo professionale esclusivo). Pensi che Mario Capanna con più di 9000 € di pensione dice che fa il contadino, niente di strano che lo dica, tutto di strano che goda delle sovvenzioni date all'agricoltura e che dovrebbero essere appannaggio dei soli imprenditori agricoli veri (qualsiasi sia la loro qualifica accademica); ancora più strano è che sia sovvenzionato per iniziative che non gli sono proprie privando chi invece, come gli istituti di ricerca pubblica agricola che languono, mancano del necessario. Guarda caso è proprio un ex ministro dell'agricoltura che gli dispensa risorse pubbliche.

E' questo il male dell'Italia e che non farà mai divenire produttiva ai limiti delle possibilità pedoclimatiche la nostra agricoltura che sia il Sud o Nord. Vi è una tesaurizzazione delle terre che non ha nulla a che fare con l'agricoltura vera cioè quella che da cibo e ambiente e che continua a ricercare l'innovazione e l'aumento della produttività sforzandosi di mantenere un'agricoltura durevole; ricerca che presuppone un continuo aggiornamento professionale che in parte si fa anche con la lettura, ma anche con il misurarsi con le agricolture di altri paesi.

Ecco, volevo sapere se era una vera imprenditrice agricola e se aveva gli strumenti fisici per farlo. Se Lei ha i requisiti che ho delineato ha tutto il mio rispetto come Agricoltore (con la A maiuscola). Se invece non ha questi requisiti continua ad avere tutto il mio rispetto come persona, ma molto meno come agricoltore (con a minuscola).

alessandra paolini
alessandra paolini
04 dicembre 2011 ore 16:56

Gentile Alberto,
innanzi tutto grazie per aver visitato il nostro sito; mi fa piacere che lei, o chiunque altro, lo visiti, perché lo ritengo sempre segno di voler entrare a contatto con una realtà, col garbo e l’umiltà che qualsiasi forma di conoscenza richiede e da cui non può prescindere.
Con lo stesso approccio con il quale ha studiato il nostro sito, io ho cercato di studiare il suo intervento ma, sicuramente per qualche mia mancanza, non ne ho inteso appieno il senso, e poiché, l’unica cosa che mi pare di aver ben inteso è che lei mi rivolge una domanda, prima di poter rispondere sensatamente dovrei sapere, in maniera un po’ più esplicita, qual è di preciso il suo interrogativo.
Perché se è d’emblée: “lei avrebbe deciso di lasciare l’avvocatura se l’azienda che avesse avuto sarebbe stata intorno agli otto ettari”, se questo è, allora, in primo luogo, la ringrazio per avermela rivolta, segno anche questo che ritiene una mia scelta degna di un suo interesse, ma a dire il vero, mi sembra un po’ viziata. Lei ha detto, e io non ho verificato (la memoria non mi supporta perché il sito l’ho fatto e lo aggiorno io ma insieme a tantissime altre di quelle cose quindi, pur avendo grande attenzione, a volte qualcosa mi sfugge) che non è indicata l’estensione dell’azienda, ma sa che è un’azienda familiare, il tutto la fa propendere per l’ipotesi che la mia quota di interesse, sia superiore agli otto ettari. E lei questa supposizione la supporta (mi scusi il gioco di parole) con il fatto che, altrimenti, non avrei lasciato l’avvocatura.
Poi parla di realtà fondiarie e di ministri leghisti (e mi fa piacere, perché odiando tutti i pregiudizi, ma proprio tutti tutti) sono felice che parli della politica leghista in un contesto così ‘sudista’. Ma qui le mie capacità interpretative si fermano, cosa c’entrano le realtà fondiarie, i ministri leghisti e i verdi color banconota? Non volendo cadere in pregiudizi nella lettura del suo contributo, le chiederei di esplicarmelo, in maniera tale da consentirmi quella risposta che mi ha sollecitato.
Resto in attesa
Sul tema della lettura solo un accenno, per non rendere troppo invadente il mio intervento. Io mi sento italiana e mi sento agricoltore, la domanda sul perché non leggiamo non mi offende e non mi turba minimamente. Non mi sembra né offensiva né falsa, credo di conoscere le due realtà sopra citate, quanto meno per il mio esserne parte, e penso sia vero che noi italiani, e noi agricoltori, non leggiamo, dico questo, senza voler offendere nessuno. Per altro sono felice che il direttore Caricato o chiunque altro, sottolinei questa o altre immancabili negatività, perché ho imparato a fare delle critiche un forte alleato e, soprattutto, perché ho imparato a distinguere le critiche caustiche da quelle costruttive, augurio che estendo a tutto il mio mondo di appartenenza.

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
03 dicembre 2011 ore 18:41

L'unica notizia che non si trova sul sito è l'estensione dell'azienda, non in quanto tale, ma riferita alle varie produzioni.

Avrebbe accettato di fare l'agricoltore con 7 ettari, che la superficie media delle aziende italiane?

Pensi che il presidente dei giovani della Coldiretti in merito alla vendita dei circa 350.000 ha demaniali ha ipotizzato di creare ben 7300 nuove aziende agricole, esattamente di 7/8 ha.

Lei accetterebbe di essere una di queste e abbandonare l'avvocatura?

Parlare di agricoltura con queste realtà fondiarie lo possono fare solo i ministri leghisti, del "do ut des", o "verdi" perchè tale è il colore delle banconote da 100 €.

Gabriella Coronelli
Gabriella Coronelli
03 dicembre 2011 ore 17:18

Concordo con Giuliano, è un luogo comune che gli agricoltori non leggano ... continuare a ripetere che la tv non dà spazio alla cultura rurale non giustifica che in ogni intervista, ogni articolo si debbano ripetere le stesse menate. Cominciamo a fare seriamente cultura, informazione e dare sostegno fattivo e proattivo agli agricoltori. Cominciamo a rispettarli e amarli per quello che sono. Mi pare un'intervista da testata femminile non da blog ruralnaturale.

Giulio P.
Giulio P.
03 dicembre 2011 ore 15:38

La ringrazio della risposta, risposta che però mi fa drizzare i capelli in quanto lei dice: "Che ne sappiamo noi?"
Mi scusi, non vorrei sembrare polemico, ma le interviste le fate voi, l'articolo sul sito lo pubblicate voi, non capisco...
e poi, sostenere che gli agricoltori non leggono solo perché non abbiamo una informazione agricola seria, o perché non abbiamo libri destinati all'agricoltura mi sembra una deduzione alquanto superficiale.
O peggio ancora sostenere che: "L'agricoltore non legge, e lo si desume dai pochi e rari titoli pubblicati. Lo si desume dal fatto che nessun libro dedicato a temi agricoli giunga mai in classifica. Anzi, talvolta i rari, rarissimi libri pubblicati, non entrano nemmeno nel circuito delle librerie" ma che centra?
Un agricoltore può benissimo leggere libri gialli, horror ecc...non deve mica per forza fossilizzarsi su argomenti inerenti la sua professione.
Mi fermo qui perché non voglio essere polemico, se però è vostra intenzione aprire un dibattito su come migliorare l'informazione in agricoltura sarò ben lieto di contribuire.
Grazie ancora e cordiali saluti.

Giulio P.
Giulio P.
03 dicembre 2011 ore 13:54

Ma perché ogni volta che fate un intervista insistete nel fare questa considerazione e cioè dire che: "gli agricoltori in particolare, non leggono" ?
Che ne sapete voi? Sono pregiudizi o avete documentazione certa per sostenere questo?
Grazie e saluti.