Massime e memorie
I 110 mila occupati nella filiera dell’olio d’oliva

L’ulivo, in particolare, ha disegnato - e caratterizza - un’intera civiltà, quella del Mediterraneo - ha dichirato il Presidente Sergio Mattarella al Forum dell'Olio e del Vino - Un simbolo di pace, di serena longevità rispetto alle impazienze del presente
24 marzo 2025 | 16:00 | C. S.
L’agroalimentare, oggi - accanto alla cultura, al design, alla tecnologia - costituisce veicolo e attrattiva del modello di vita italiano.
...
I progressi avvengono raramente per caso.
Sono, piuttosto, frutto di intuizione, studio, determinazione, impegno, capacità di operare facendo sistema.
L’agricoltura non fa eccezione.
E, se oggi possiamo parlare di “Dop economy”, lo dobbiamo alle scelte di ammodernamento operate agli albori della Repubblica e alla nascita delle Comunità Europee.
Si valuta che i prodotti Dop, cibo e vino, valgano intorno ai 20 mld di euro (il 20% dell’intero fatturato agro-alimentare) di cui larga parte alimenta le correnti export, metà delle quali, a loro volta, sono rivolte fuori dalla Unione Europea.
Sappiamo che la nostra Costituzione è l’unica del suo tempo a dedicare un articolo al settore primario e alle condizioni necessarie a promuoverne lo sviluppo: l’art. 44.
Il Trattato di Roma del 1957 che diede vita a quelle allora chiamate Comunità Europee, all’art.39, poneva per la futura agricoltura del continente, gli obiettivi di:
- incrementare la produttività agricola;
- assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, con il miglioramento del reddito di coloro che lavorano in agricoltura;
- stabilizzare i mercati;
- garantire sicurezza degli approvvigionamenti;
- assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori.
Così l’agricoltura divenne - e rimane - un motore dell’integrazione europea - non elemento di retroguardia da sussidiare - essendo, al contrario, una chiave per politiche, oltre che produttive, volte alla salvaguardia della salute dei consumatori e alla promozione dei territori e delle popolazioni in essi insediate.
I risultati di quelle scelte politiche sono sotto gli occhi di tutti: l’Italia è il primo Paese dell’Unione Europea con prodotti agricoli espressamente indicati come meritevoli di tutela: 856 possono avvalersi di questo scudo.
I risultati sono rilevanti anche sul piano sociale.
I dati parlano di 330.000 occupati nella filiera del vino, di 110.000 occupati in quella dell’olio d’oliva.
E’ facile indicare di chi sia il merito di tutto questo: è anzitutto degli agricoltori, impegnati direttamente nella conduzione delle loro aziende.
Vorrei aggiungere, tuttavia - ho citato le esperienze cooperative - anche l’elemento associativo dei Consorzi di tutela.
Sono oltre trecento quelli, promossi dagli operatori, che giocano un ruolo cruciale nella gestione delle indicazioni di provenienza e qualità, garantendo la protezione, la salubrità, la promozione e la valorizzazione di prodotti che rappresentano le eccellenze italiane, a livello sia nazionale sia internazionale.
Vorrei aggiungere il vissuto dei territori e le capacità di rappresentarlo.
Vorrei proseguire facendo riferimento alle intuizioni che hanno orientato questo processo.
Poc’anzi, Angelo Gaja ha citato il nome di Paolo Desana, senatore della Repubblica, promotore della legge che, nel 1963, diede il via alla tutela delle denominazioni vinicole.
Desana, - internato militare italiano nei lager tedeschi per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò dopo l’8 settembre 1943 - fu espressione del Monferrato - terra a schietta vocazione vinicola - e protagonista di una battaglia parlamentare che definì l’impianto legislativo, poi riassunto a livello europeo.
Desana fu, altresì, colui che propiziò la prima riflessione organica sulle aree collinari nel dopoguerra, con il convegno nazionale convocato a Cerrina Monferrato nel 1955. Alla sua azione e alla sua figura va reso omaggio.
I territori.
Viti e ulivi caratterizzano un territorio.
Va detto di più.
L’ulivo, in particolare, ha disegnato - e caratterizza - un’intera civiltà, quella del Mediterraneo.
Un simbolo di pace, di serena longevità rispetto alle impazienze del presente.
Un territorio custodisce anzitutto la propria diversità.
Riguardo all’agricoltura va richiamata la ricchezza delle biodiversità.
Ci soccorre anche qui la nostra Carta costituzionale, all’art.9.
Lo ricordava Angela Velenosi: i cultivar dell’olio sono strettamente legati al territorio, alla tutela delle sue vocazioni.
Con queste colture si tramandano peculiarità culturali e conoscenze, ben sapendo che occorre saper affrontare le sfide dei tempi
Si pensi alla Xylella, ai cambiamenti climatici che affliggono l’agricoltura. Oggi nessuno si permette più di sottovalutare o addirittura di irridere questi pericoli.
Avveniva negli anni scorsi.
L’innovazione non è nemica dell’agricoltura, al contrario.
E’ decisivo il valore delle tutele unitamente all’innovazione: vi è, ogni tanto, la tentazione di prendere scorciatoie, di superare le tutele, considerate come impedimenti, come fastidi.
E’ il contrario. E’ lo stretto legame tra tutele e innovazione che produce progresso.
Un prodotto tipico, gli ulivi, le vigne, ad esempio, sono qualcosa di più, oggi, di un semplice dato agro-alimentare per un territorio.
Lo caratterizzano.
Tanto più in un Paese, come il nostro, dalle mille campagne, dalle mille produzioni tipiche.
Mario Soldati – che ci ha lasciato poco più di venticinque anni fa - cantore del rapporto tra paesaggi, uomini, donne, case e casali, vigne, cibo, sottolineava per il vino - ma può applicarsi a qualsiasi produzione agricola di qualità - che esso si gusta e si capisce soltanto quando si entra in confidenza con l’ambiente dove è nato. Non può essere un oggetto staccato e astratto, separato dal suo luogo.
Questa è la ragione delle nuove fortune per i luoghi di produzione, interessati da un turismo attento ed esigente.
Ecco il senso dell’ulteriore apporto solidale che vino ed olio offrono ai territori di elezione e alla loro gente.
Le risorse alimentari, in tempi come quelli che viviamo, con la guerra ai confini dell’Europa, acquisiscono ancora più valore.
Lo abbiamo visto relativamente al grano nella contesa che ha visto l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Nuove nubi, nel frattempo, sembrano addensarsi all’orizzonte, portatrici di protezionismi immotivati, di chiusura dei mercati dal sapore incomprensibilmente autarchico, che danneggerebbero in modo importante settori di eccellenza come quelli del vino e dell’olio.
Produrre per l’auto-consumo ricondurrebbe l’Italia all’agricoltura dei primi anni del Novecento.
Legittimamente le associazioni dei produttori esprimono preoccupazione per le sorti dell’export.
Misure come quelle che vengono minacciate darebbero, inoltre, ulteriore spinta ai prodotti del cosiddetto “italian sounding”, con ulteriori conseguenze per le filiere produttive italiane, non essendo immaginabile che i consumatori di altri continenti rinuncino a cuor leggero a rincorrere gusti che hanno imparato ad apprezzare.
Commerci e interdipendenza sono elementi di garanzia della pace.
Nella storia la contrapposizione tra mercati ostili ha condotto ad altri più gravi forme di conflitto.
I mercati aperti producono una fitta rete di collaborazioni che, nel comune interesse, proteggono la pace.
Sergio Mattarella
Forum dell'Olio e del Vino 2025
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