La voce dei lettori 06/03/2010

Le critiche agli agriturismi? Sono fuori dalla realtà

Secondo Vittoria Brancaccio, presidente di Agriturist, molte critiche sono esagerate: non si può continuare a privilegiare una visione retoricamente nostalgica e “contadina” dell’agricoltura e della sua ospitalità


Gentilissimo Direttore,

leggo, su “Teatro Naturale” del 13 febbraio, l’articolo di Daniele Bordoni “Immaginari geografici e paradossi sulle rotte del turismo alternativo” (link esterno)dove, presentando il libro “Turismo critico”, si sottotitola: “Gli agriturismi? Sono oggi costruiti ex-novo e di agricolo conservano solo il nome e l’apparenza”.

Se questo sostengono gli autori del libro, non posso che esprimere forti perplessità sulla “prospettiva diversa, molto più realistica” della ricerca, colta da chi scrive l’articolo, e sulla “autorevolezza di studi preparatori approfonditi” che ne conforterebbero le conclusioni.

Basta visitare un po’ di agriturismi, o dare un’occhiata alla miriade di fotografie di agriturismi pubblicate su internet, per riconoscere nella stragrande maggioranza il prezioso recupero di edifici rurali evidentemente “non recenti” circondati da vigneti, uliveti, frutteti, pascoli e orti. Tutto falso? Tutto truccato per prendere in giro ingenui appassionati che da anni scelgono le aziende agricole per trascorrere le proprie vacanze?

E’ chiaro che si sta smarrendo il senso della misura, muovendo critiche fuori della realtà ed ignorando che l’agriturismo è soggetto a norme molto stringenti e a continui controlli di natura amministrativa, fiscale, igienico-sanitaria e previdenziale, con effetti preventivi e repressivi che ne hanno innegabilmente migliorato la qualità.

Il filo conduttore di queste critiche è sempre lo stesso: l’evoluzione recente dell’agriturismo avrebbe tradito i principi ispiratori da cui il settore ha avuto origine. Peccato che di questi principi si trascuri la parte migliore, quella più concreta, culturalmente ed economicamente significativa, per privilegiare una visione retoricamente nostalgica e “contadina” dell’agricoltura e della sua ospitalità. Questa visione è stata indubbiamente “tradita”, e non c’è davvero di che dispiacersi.

Se attualmente l’agriturismo aiuta molte aziende agricole a continuare la propria attività anche in zone poco produttive, regalando agli ospiti una accoglienza suggestiva e largamente apprezzata, è merito di scelte che hanno saputo coniugare con giusto equilibrio le esigenze di una moderna produzione agricola, con la difesa del paesaggio e le irrinunciabili aspettative di comfort del turista di oggi. Sostenere che il risultato di questo equilibrio siano agriturismi “costruiti ex-novo” che “di agricolo conservano solo il nome e l’apparenza” appartiene ad un polemismo fine a se stesso di cui è fin troppo facile dimostrare la sterilità.

Decisamente meno sterile è ragionare sui modelli organizzativi discutibili scelti da alcuni agriturismi, che invece di valorizzare in pieno la matrice agricola, si avventurano in una improbabile imitazione di altri generi turistici esponendosi ad una concorrenza facilmente vincente in quanto più efficiente e professionalizzata. Non sono “costruiti ex novo”, sono aziende agricole, ma rinunciano ad usare pienamente la propria “forza” che risiede appunto nell’esaltare il collegamento con l’agricoltura, con la sua tradizione, con la cultura territoriale che da essa deriva.

Queste soluzioni, diversamente da quanto evidenziato nell’articolo, non incontrano affatto “l’immaginario collettivo del turista” che sceglie l’agriturismo, piuttosto lo deludono, e sono quindi semplicemente degli errori dettati dalla subalternità culturale di alcuni imprenditori agricoli nei confronti dei colleghi del turismo. Dall’agriturismo il turista pretende autenticità e non apparenza, tradizione e non negazione della “realtà originaria”. L’agriturismo che offre al turista scenari artefatti, con lo “stravolgimento dello status dei luoghi”, non funziona.

La tesi di un agriturismo solo di nome e apparenza resta così confinata in un esiguo numero di casi di illegalità o di uso abusivo della denominazione di settore, soprattutto legati alla ristorazione. Davvero troppo poco per far credere che tutta, o gran parte, dell’ospitalità in fattoria possa riconoscervisi.


Vittoria Brancaccio
Presidente Agriturist, Associazione Nazionale per l’Agriturismo, l’Ambiente e il Territorio



L’articolo citato riguardava la recensione di un libro dal titolo “Turismo Critico” uscito da poco (2009) ed edito dalla Cooperativa Libraria Universitaria, Unicopli di Milano.

Rispondendo alle obiezioni della Signora Brancaccio, mi rendo subito conto di come il sottotitolo dell’articolo abbia un po’ portato fuori direzione sia le intenzioni mie personali che quelle del libro in questione, in cui l’attività agrituristica non è assolutamente vista in cattiva luce. L’interpretazione dell’agriturismo come attività lecita e strettamente controllata, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, è fuori discussione. Fuori discussione è pure la professionalità degli operatori, complessivamente preparati e professionali.

Mi permetta però di fare alcune osservazioni. La prima è che “lo sguardo del turista” (nei testi anglosassoni nota come il “tourist gaze” quindi non è un’idea originale del libro - vedi nota) è effettivamente in grado di condizionare le scelte degli operatori e non accettarlo significa mettere in piedi delle strutture non destinate ad avere successo. Il prodotto del turismo è immateriale. Si tratta dell’esperienza del turista, quindi occorre cercare di rendere il più possibile tale esperienza unica, importante o persino irripetibile. È inutile aggiungere che in assenza di quest’elemento non si possono costruire prodotti turisticamente validi.

La seconda è che tale sguardo si traduce inevitabilmente in un’aspettativa che quindi esiste e condiziona non solo l’agriturismo, intendiamoci bene, ma l’intero settore del turismo e la cosiddetta autenticità originaria delle aree interessate dal fenomeno va in secondo piano. In altre parole, che cos’è l’autenticità? In molte zone d’Italia il cibo del contadino era povero, limitato e non sempre sano, come oggi si vorrebbe credere o far credere. Gli alimenti oggi offerti sono molto più ricchi, sani, vari e meglio preparati. In certe aree montane, un tempo terrazzate e con pascoli frutto di un sistematico disboscamento e oggi abbandonate, il paesaggio è decisamente più naturale adesso che in passato. Si tratta di intendersi cosa intendiamo per autentico. Autentico non è sinonimo di migliore o esteticamente gradevole.

Le concedo che è merito degli agriturismi che molti cascinali e fattorie si siano salvate dall’abbandono, convertendosi all’attività agrituristica. Anche qui mi consenta di osservare che l’abbattimento e la ricostruzione completa, rispettando le cubature e lo stile costruttivo con alcune varianti legalmente consentite per adattare la struttura alle necessità moderne, che spesso si verifica, non è propriamente una ristrutturazione o ancor meno un restauro. Tantomeno le piscine di cui la stragrande maggioranza delle strutture si dotano e offrono ai turisti rientrano nella tradizione agricola e nei canoni costruttivi tradizionali, ma sono piuttosto frutto della necessità di soddisfare le “aspettative del turista”.

Dire quindi che si costruiscono strutture ex-novo non è completamente inesatto, anche se ciò avviene nel rispetto delle normative vigenti, che sono convinto, ripeto, pressoché tutti rispettino

Parliamo poi della matrice agricola. Non so dirle quante imprese agrituristiche siano sorte per merito di imprenditori con solida preparazione turistica, ma ritengo che non siano poche. Questo, ribadisco, non è un demerito. Avere la professionalità necessaria è sempre un merito. Essere cuochi e ristoratori pure e lo è anche conoscere la scienza e l’arte dell’ospitalità, anche perché l’attività turistica non si improvvisa.

Detto questo mi sembra però di dover osservare che l’attività agricola sia non necessariamente la vera ragione dell’apertura di un agriturismo, altrimenti si aprirebbe un’attività agricola e basta. Che la passione per il rapporto con la terra ci sia è certo, perché altrimenti si sarebbe messo in piedi un albergo e non un agriturismo, ma resta secondo me valida l’osservazione che l’agricoltura costituisca una parte, in alcuni casi, non principale dell’attività d’accoglienza e di ristorazione, pur nel rispetto formale delle regole, che offrono indubbi vantaggi economici e fiscali. Gli agriturismi sono in molte Regioni d’Italia incentivati con finanziamenti e contributi pubblici, oltre che attraverso un regime fiscale favorevole.

Vorrei poi chiarire che il libro in questione non fa alcuna osservazione in merito a una presunta illegalità degli agriturismi e, credo, leggendo oltre il sottotitolo dell’articolo, di non farlo neppure io. Se si vuole poi vedere come negativa l’ipotesi che si creino strutture principalmente per soddisfare le aspettative del turista lo si può fare, ma è un punto di vista, non necessariamente l’unico e non il mio intendimento.

Quanto allo “stravolgimento dello stato dei luoghi” da lei citato, mi dispiace contraddirla, ma esiste in ogni luogo in cui vi sia o vi sia stato un insediamento umano, che ci piaccia o no. Il cosiddetto paesaggio incontaminato, se lo fosse davvero non vi vedrebbe neppure case o campi coltivati, ma animali selvatici e foreste. La presenza umana ha mutato tutto e continua a farlo, non fosse altro che per la crescita del numero degli abitanti. Anche qui esiste un mutamento necessario e consapevole ed uno disordinato e distruttivo e nessuno ha detto che gli agriturismi abbiamo quest’ultima caratteristica.

Riferendomi al “polemismo”, come lei lo chiama, intendendo credo, lo spirito polemico, mi permetto di dire che è opportuno che ci sia, perché fa emergere le idee, costringe al confronto ed anche alla riflessione, come le sue osservazioni ampiamente dimostrano. I fraintendimenti sono facili quando si affrontano temi con prospettive diverse e fuori dai canoni ed è facile essere etichettati come appartenenti a questa o a quella corrente di pensiero. Per evitare ulteriori dubbi posso affermare in tutta sincerità di non aver mai creduto ad un ritorno al passato, ad un mondo arcadico e idilliaco che probabilmente non è mai esistito, come mi è già capitato di rispondere in una precedente lettera relativa ad un altro mio articolo. È singolare che alcune espressioni o proposizioni vengano facilmente interpretate come desiderio di sterile polemica, piuttosto che come contributo alla discussione.

Concludo nel ribadire che l’autenticità è solo quella immaginata dai turisti, che sono soddisfati e felici e ritornano soltanto quando trovano quello che immaginano di trovare e questo non mi sembra affatto un male. Mi sembra non corretto al contrario affermare che un gestore di agriturismo abbia in mente una sua idea del tipo di azienda da creare a prescindere dalle aspettative e dall’”immaginario collettivo del turista”. In fondo il turista, soprattutto quello straniero, cerca “l’Italianità”, in altre parole la concretizzazione di un’idealizzazione del concetto di estetica, cucina, moda, arte ecc. che contraddistinguono il nostro Paese ed è compito di chi si occupa di turismo comprenderlo e farglielo trovare.


Daniele Bordoni



Nota: John Urry, The Tourist Gaze, 2002 (prima edizione 1990), Sage Publications, London

di T N