La voce dei lettori 19/07/2019

Se il frutto dell'agricoltura diventa una merce viene meno il senso della Costituzione

Se il frutto dell'agricoltura diventa una merce viene meno il senso della Costituzione

Dal pensiero economico dominante all'agricoltura poetica che ci viene propinata in televisione il passo è più breve di quanto si possa immaginare, secondo il parere di Alfredo Mancini. Troppa importanza è stata data alle discipline economiche trascurando totalmente "il metodo delle scienze sociali"


Cercare di affrontare le problematiche che riguardano la produzione agricola odierna, richiede un impegno e capacità di analisi molto consistenti.

Con molto piacere ed interesse, ho letto l'articolo di Elisabetta Norci, sul numero 26 di Teatro Naturale,"Tutto il territorio come un grande giardino". Questo lodevole articolo, in verità, forse più unico che raro, pubblicato su questa rivista, affronta degli argomenti molto interessanti che riportano il dibattito sul' ambiente e sul paesaggio, in un campo di analisi che abbracciano temi non esclusivamente o strettamente agronomici, ma affrontano problematiche che riguardano anche quelle contraddizioni che oggi più che mai, scaturiscono dalla "Antitesi" tra Economia ed Ecologia, e la "Separazione" tra le due branche della Scienza.

Saper cogliere queste sottili ma rilevanti particolarità, presuppone una formazione accademica che va ben oltre la laurea in scienze agrarie, arricchita da studi umanistici, che se in apparenza sembrino irrilevanti, tuttavia permettono di cogliere aspetti e problematiche molto complesse, che interessano la realtà nei suoi molteplici livelli di analisi.

Troppo spesso, anche su questa rivista assistiamo a riflessioni e promanazioni di "sensazioni poetiche", anche da parte di illustri accademici che vorrebbero cogliere il "senso della realtà, intesa come totalità”, esclusivamente con un corso di Laurea in Scienze Agrarie, in Biologia o "Equipollenti". Cioè applicando esclusivamente alla analisi, se così possiamo dire, "il metodo delle scienze naturali", trascurando totalmente "il metodo delle scienze sociali", avendo la pretesa di ridurre l'analisi della complessità del mondo reale conoscibile ad un solo ed esclusivo aspetto, quello della consistenza naturale o materiale della realtà, trascurando a priori l'analisi riguardante tutto il lavoro svolto dalle attività umane, dalla appropriazione della terra, della appropriazione della scienza, della appropriazione della tecnica, e soprattutto le conseguenze disastrose delle attività umane sul territorio e sull'ambiente.

Si trascura pericolosamente la conoscenza della "Storia", nelle sue fasi evolutive, si trascura lo studio della appropriazione della natura da parte di una piccola parte della società, mentre grandi masse di popolazione ne sono escluse e destinate e semplici lavoratori salariati, non si considera adeguatamente la divisione sociale del lavoro e la genesi delle classi sociali, si ignora la trasformazione del "Prodotto in Merce",si trascura  la importanza fondamentale della "scienza economica",ridotta dalle "dottrine economiche dominanti", ad una pura e semplice ripetizione mnemonica delle formulette nei vari corsi accademici di economia, che non hanno nessun collegamento reale con la realtà e che formano le menti degli studenti inclini ad una "esclusiva folia di arricchimento monetario individuale” per il profitto, unico obiettivo della messa in atto dei processi produttivi, con tutte le conseguenze disastrose che questo comporta.

E quando le contraddizioni tra la Eco-nomia e la Eco-logia esplodono in maniera disastrosa, si osserva "la crisi", della quale non si coglie il senso, che forse  era imprevedibile,che forse è una "crisi finanziaria" che viene da lontano, sia nel tempo che nello spazio, forse dall'America, forse dal 2008, non potendo capire che si tratta di una crisi economica, con segni evidenti già dagli anni '60 e '70, dovuta alla evoluzione di un modello di sviluppo distorto, che è generata proprio dalle contraddizioni del moderno sistema economico, proprio dal suo meccanismo interno, ad opera di una parte ristretta del genere umano, che si scontra con la struttura naturale della realtà, generando quei conflitti e quei disastri che sconvolgono gli equilibri innati nella natura stessa, e che noi riconduciamo alla "ecologia".

Chiamiamo questo "Modo di Produzione Capitalistico", che si caratterizza per la sottomissione forzata della natura, la compressione continua dei costi di produzione, la continua capacità di spesa da parte di una classe di consumatori con reddito sempre più basso, gli utili di esercizio sempre più aleatori, che spingono le imprese verso un mercato sempre più mondiale, dove le leggi di difesa ambientale sono più permissive, o mancano del tutto, generando nuove filiere di produzioni che guardano sempre  ai mercati tradizionali , perché sono gli unici ancora in grado di sostenere una domanda pagante, mentre i banchi della frutta e delle verdure dei mercati locali si arricchiscono sempre più di prodotti esotici, ottenuti con condizioni di lavoro sempre più precarie.

Il fatto stesso che cresce il settore "bio", dimostra che già esiste un conflitto tra il prodotto convenzionale ed il prodotto bio, riservato ai consumatori con reddito consistente, risultato contraddittorio dell'attività umana, in una produzione agricola sempre più forzata e non rispettosa dell'ambiente, con effetti disastrosi sulla salute stessa. 

Tutto il territorio di quasi tutto il pianeta rientra sotto la giurisdizione del diritto romano e del common low Britannico, che il Giusnaturalismo positivo tutela attraverso l'istituto della proprietà privata, tutelata dalla Costituzione degli Stati Moderni.

Se la proprietà originaria della terra nasce come appropriazione collettiva per la coltivazione per la pura sussistenza, col tempo diventa proprietà privata individuale; successivamente assume la forma di proprietà privata capitalistica di classe.

Mentre oggi assistiamo,nella fase dell'imperialismo del capitale a complesse operazioni finanziarie di accaparramento di milioni di ettari in tutto il pianeta soprattutto in Africa e America Latina, da parte di società di capitali finanziari, che  gettano le fondamenta per un modo di produzione agricolo futuro ancora più feroce e incurante dei diritti di chi abita da migliaia di anni quei territori, con tecniche ed indirizzi produttivi che porteranno il conflitto economico su livelli e mercati globali ancor più pericolosi e contraddittori.

Come si può parlare di difesa del territorio, di difesa del paesaggio ,di difesa dell'ambiente, se poi ognuno fa un po come cavolo gli pare, in base all'art.42 della Costituzione, perseguendo esclusivamente il profitto individuale? Come possiamo eliminare il conflitto tra temporalità dei luoghi e temporalità degli abitanti se non solo la terra, l'aria, l'acqua stessa,  addirittura la casa, le biblioteche, i musei, la cultura stessa è stata ridotta a proprietà privata di pochi, per estrarre da essa masse enormi di plusvalore, che generano profitto monetario, in un sistema economico nel quale tutto è ridotto a merce?

Come possiamo tentare di cambiare il percorso di marcia che ci porterà verso una catastrofe economica, ambientale ed esistenziale, se oggi è la follia a governare le menti perverse di tanti politici ed "opinion leaders"? Ai quali si aggiungono intellettuali da strapazzo strapagati con quel denaro  che oggi governa un sistema plutocratico, modello vincente di un sistema politico circense, di cui proprio il nostro Paese offre spettacoli a dir poco osceni.

Sicuramente la cultura e lo studio possono fare molto. Anche se mezzi di informazioni scientifiche come questa rivista possono almeno trasmettere e porre qualche timida domanda. Un po come la filosofia che  pone domande, a volte terribili. Alle quali è molto difficile dare delle risposte.

Come è possibile che oggi appena il 5% della popolazione è addetta al settore agricolo e produce cibo per la intera collettività, soffrendo essa stessa la fame, caricata di debiti finanziari, mentre per effettuare qualche investimento si aspetta il finanziamento pubblico? Dove sta quello sbandierato ritorno alla terra da parte dei giovani, come scelta lavorativa, se questo è spinto dalla disoccupazione e dalla disperazione?

La stessa metamorfosi della qualifica da coltivatore diretto a Imprenditore Agricolo Professionale risponde alle esigenze del Capitale Bancario e Industriale, relegando i giovani nel perenne ricatto del debito a delle esposizioni bancarie. Mentre i prodotti agricoli assumono sempre più il carattere di merci, provenienti da ogni parte del mondo, generando una concorrenza feroce, che una PAC riesce a malapena ad alleviare,elargendo un po' di denaro.

Sono tanti i temi da mettere sui tavoli accademici e sulle riviste specializzate. La visione romantica di una "agricoltura poetica”, purtroppo ci viene propagata da trasmissioni televisive ,nelle quali il cibo genuino arriva sulle tavole imbandite, quasi per magia, senza considerare quel lavoro e quei sacrifici che ancora oggi gravano sul mondo  agricolo. Forse, mai come oggi,  c'è bisogno di studiare con serietà ed impegno. E soprattutto prestare più  ascolto e attenzione a chi, come Elisabetta Norci, sapientemente e armoniosamente ha toccato temi di fondamentale importanza.

Alfredo Mancini

di T N

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