La voce dei lettori 05/04/2018

Perchè dovrei comprare il mio olio extra vergine d'oliva?

Perchè dovrei comprare il mio olio extra vergine d'oliva?

Quanti si domandano cos’ha di diverso e di vantaggioso rispetto ad altri? La domanda di Matteo Lucchini riapre la riflessione sulla professionalità nell'approccio al mercato ma soprattutto ai consumatori


Caro Alberto direttore Grimelli,

ho letto con molto interesse anche se un po’ in ritardo tutta la serie su progetto di mercato, valore dell’olio, risveglio dei produttori, eccetera.

Mi perdonerai, spero, se parlo di un settore “non mio” come quello dell’olio, ma sovente trovo analogie con quello che conosco meglio, cioè il vino.

A mio umile parere, tre sono le somiglianze: la capacità di progetti di prodotto ma non di progetti di mercato, la mancanza di “valore”, l’assoluta ignoranza di cosa sia un consumatore.

Credo che il problema sia proprio quest’ultimo, come tu accenni: il “consumatore” quasi sempre è considerato dai nostri operatori dell’agroalimentare di qualità come un soggetto astratto in primo luogo, e poi come un soggetto ignorante e un po’ becero. Nessuno di noi si sofferma sul fatto che – a ruoli o settori invertiti – siamo tutti consumatori. Come siamo tutti lettori, come siamo tutti operatori di qualche settore.

Chi di noi, nel mondo del vino come in quello dell’olio come in quello di altri prodotti alimentari, si fa costantemente queste domande: “Perché dovrei comprare il mio prodotto? Come e dove vorrei comprarlo? Cosa sarei disposto a fare per comprarlo?”

Certo, ciascun produttore, e magari anche alcuni ambiti territoriali, sanno costruire il prodotto, come diceva anche Gigi Mozzi. Ma quanti si pongono il problema dell’interesse che un prodotto suscita sul mercato?

Quanti si domandano cos’ha di diverso e di vantaggioso rispetto ad altri?

Dice bene Mozzi (e Einstein), quando dice che diverso è fare il prodotto, diverso portarlo sul mercato: e però troppe volte, e tu lo sai, nelle aziende agroalimentari piccole e medie il marketing è stato ed è “roba da cugino stupido”, nel senso che l’importante è fare il prodotto. Quasi nessuno comprende l’importanza di un approccio professionale e competente al mercato, perché “abbiamo sempre venduto così”, e perché “tanto il mio prodotto è buono”.

A parte che – prese le singole aziende – anche su questo ci sarebbe da discutere. Non sulla qualità assoluta, ma su quella relativa certamente…

Ti racconto un piccolo aneddoto: alcuni anni fa, assieme ad amici giornalisti, sommelier e produttori, abbiamo organizzato in un Consorzio del vino una degustazione cieca dei vini di quel territorio, presi omogeneamente: stessa tipologia, stessa annata, stesso formato. Sai cosa abbiamo visto? Che i produttori non assaggiano (quasi) mai i vini dei loro colleghi, e quindi non conoscono le differenze tra i propri prodotti e i loro omologhi. Non dico poi se si prova a domandare di politica di prezzo, di canali distributivi, di reti commerciali. E pure il mondo del vino qualche volta si muove in modo apparentemente unitario: alle fiere, ai roadshow, ecc. i raggruppamenti per regioni o per consorzi si trovano: ma gratta gratta, il più delle volte si fa solo perché c’è il contributo.

Come ben dicevi, il vino come l’olio (entrambi certificati, entrambi italiani, entrambi di qualità) non presentano particolari problemi per i consumatori: su qualunque scaffale si trova di tutto, a tutti i prezzi, di tutte le tipologie. Sono prodotti il cui valore non è dato dalla scarsa disponibilità, ma da altro, se esiste.

Sarebbe bello aprire un vero dibattito su questo tema, ma sapendo che per approcciare correttamente il mercato occorrono professionisti.

Grazie per l’attenzione, e un saluto cordiale

Matteo Lucchini

di T N

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