La voce dei lettori

Dopo la Brusca, ora è Xylella a decimare gli oliveti salentini

La storia ci insegna che c'è sempre una speranza, secondo Giorgio Greco. La strada maestra per far fronte ad un’epidemia così grave e terribile, oltre alle buone pratiche agricole di un tempo, è quella del reimpianto con varietà più resistenti

02 marzo 2017 | T N

Fino a qualche giorno fa non conoscevo neanche le varietà presenti nel mio campo: sono due, Cellina di Nardò e Ogliarola Leccese, e mi sono state indicate da un anziano contadino del paese, uno tra i pochi che le sa distinguere. Il disseccamento si è manifestato sui miei alberi negli ultimi mesi del 2013 e non so quanto tempo può vivere una pianta una volta attaccata. Quello che so è che sono trascorsi 3 anni, durante i quali sono state scattate altre foto, l’ultima il 22 ottobre 2016, ad aggiornare la situazione. C’è ancora vita nel mio oliveto, nonostante i ripetuti attacchi con alberi visibilmente più sofferenti rispetto ad altri, per cui la sperimentazione empirica va avanti fino al prossimo aggiornamento previsto ad aprile 2017.

Aggiorno con anticipo la situazione della sperimentazione empirica “La Scelta”, in quanto 26 dei miei ulivi, varietà Ogliarola Leccese, sono tutti visibilmente peggiorati da fine dicembre ad oggi. Gli altri 8, varietà Cellina di Nardò, non immuni alla malattia, continuano a resistere abbastanza bene dopo 1260 giorni circa dai primi sintomi di disseccamento nella zona.

Questa condizione mi fa tornare indietro nel tempo, più di 2 secoli fa, quando una terribile malattia, la Brusca parassitaria, decimò gli oliveti salentini. In particolare fu l’Ogliarola Leccese, varietà più rappresentativa, a subire pesanti perdite mentre la Cellina di Nardò risultò essere più resistente, tanto che i contadini decisero di sopperire con quest’ultima varietà e riuscirono a venirne fuori. All’epoca i cittadini non avevano le mani legate, decidevano in fretta e soprattutto ci tenevano di più alla campagna, fonte di sostentamento generale.

Ciò che accadde più di due secoli fa e ciò che accade oggi nel mio oliveto, ci suggerisce che la strada maestra per far fronte ad un’epidemia così grave e terribile, oltre alle buone pratiche agricole di un tempo, è quella del reimpianto con varietà più resistenti che sicuramente esistono in natura. Occorre fare in fretta e battere i pugni sul tavolo dell’Europa per ottenere la possibilità del reimpianto perché il cimitero di alberi nel Salento è ormai una tristissima realtà. Bisogna vincere tutte le resistenze all'abbattimento perchè a cosa equivale un’immensa distesa di piante spettrali se non a milioni di olivi abbattuti? Fa tristezza uscire di casa la mattina per recarsi al lavoro ed incontrare un intero paesaggio grigio che muore, giorno dopo giorno.

Ritengo preziosa lettura le osservazioni dell’agronomo, Dott. Antonio Bruno, pubblicate nel 2010 in questa nota di Cultura Salentina: https://culturasalentina.wordpress.com/2010/11/26/duemila-anni-di-olivi-del-salento-leccese/

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