La voce dei lettori
Polemiche e bufere sulla qualità del miele, facciamo chiarezza
Per quanto riguarda l’idea che l’acacia sia un miele pregiato da non paragonare ai “banalissimi” millefiori, occorre forse aggiornare l’immaginario collettivo in tema di mieli, ci scrive Francesco Colafemmina. Perchè non occuparsi dei processi produttivi di chi svolge attività apistica all'estero?
27 agosto 2015 | T N
Spett. redazione,
la recente inchiesta pubblicata da Il Test e dedicata al “bluff dell’acacia” è un utile opportunità per chiarire alcune questioni relative ai mieli venduti in Italia. Su 21 mieli analizzati Il Test avrebbe scoperto che 4 non corrispondevano all’origine botanica riportata in etichetta. In realtà gli esami effettuati dall’IZS di Lazio e Toscana hanno riguardato esclusivamente l’analisi pollinica e sensoriale. Chi conosce il settore sa peraltro che il polline di acacia è notoriamente iporappresentato tanto che in analisi pollinica anche un 15% di granuli pollinici di acacia può essere sufficiente a sancire la correttezza della denominazione. Ma non basta: alle analisi polliniche vanno associate anche quelle fisico chimiche, perché anche in presenza di pochissimo polline il tenore di fruttosio può essere una conferma dell’origine del miele.
Insomma è difficile sostenere che le analisi dell’IZS dimostrino una “frode” da parte di alcuni apicoltori, come dichiarato da Il Test. Tanto più che nell’annata 2014 il miele di acacia italiano per ovvie ragioni meteorologiche è stato prodotto in quantità ridotte e non di ottima qualità proprio per via delle “contaminazioni” di altre fioriture concomitanti meno delicate di quella della robinia.
D’altra parte l’intero teorema dell’inchiesta si fonda su due elementi: il prezzo e il pregio dell’acacia. Occorre pertanto segnalare che i prezzi indicati da Il Test come “guadagno”
dell’apicoltore sono in realtà i prezzi medi del mercato italiano all’ingrosso del 2014. Prezzi chiaramente più bassi del dettaglio e condizionati dalla scarsità dell’acacia nella scorsa annata. Il prezzo del miele all’ingrosso è poi condizionato dalla concorrenza dei mieli esteri. Dei 21 mieli analizzati da Il Test, infatti, solo 7 sono italiani e di questi ben 3 sono fra quelli accusati di frode.
Tutti gli altri sono mieli ungheresi, bulgari, rumeni o di provenienza UE non dichiarata. Mieli acquistati dunque nell’est Europa a prezzi bassissimi (anche inferiori ai 4 € al kg per l’acacia).
Eppure un’inchiesta sui mieli dovrebbe chiedersi quali siano gli standard produttivi italiani e quali quelli degli altri paesi europei. In Italia infatti il miele viene estratto dal melario (una struttura posta sul nido, fatta di favi che non hanno mai ospitato covata), mentre in molti paesi europei non si usa porre un escludiregina fra nido e melario o si utilizzano arnie diverse che espongono il miele alla contaminazione con acaricidi di sintesi usati per combattere il principale parassita delle api, la varroa. Analisi multiresiduali volte a trovare molecole di coumaphos, amitraz, birlane, fluvalinate, etc. ancora oggi usati in molti paesi europei (in Italia sono consentiti i principi attivi fluvalinate e amitraz, ma molto più diffuso e l’uso di acidi organici già presenti nel miele) sono indubbiamente costose ma rendono forse maggiore giustizia al consumatore.
Per quanto riguarda poi l’idea che l’acacia sia un miele pregiato da non paragonare ai “banalissimi” millefiori, occorre forse aggiornare l’immaginario collettivo in tema di mieli. L’acacia è un prodotto molto ricercato essenzialmente per due ragioni: cristallizza molto lentamente ed è praticamente insapore (se si esclude un leggero sentore di vaniglia…). Entrambi aspetti che denotano la scarsa formazione in tema di miele dei consumatori, tanto che spesso finiscono con l’identificare la cristallizzazione con un “difetto” del miele e non hanno alcuna remora nell’acquistare mieli sottoposti a trattamento termico. I millefiori invece sono i mieli più autentici perché nascono dalla sapiente opera delle api che raccolgono in base alla disponibilità del territorio e non secondo la logica commerciale dell’uomo. Possono essere di altissimo profilo così come pessimi, ma lo stesso discorso si applica all’acacia. Non esiste un miele standard, esistono migliaia di mieli più o meno vicini ad uno standard, ma è questa varietà il riflesso della ricchezza di un territorio e della sua originalità.
Naturalmente esiste una normativa italiana volta a definire i mieli uniflorali, tuttavia si tratta di norme vaghe mai tradotte in reali percentuali polliniche. Forse però, più che incentivare i controlli per stanare presunti furbi apicoltori che etichettano in maniera scorretta il proprio miele, bisognerebbe prevedere l’obbligatorietà delle analisi volte a definire l’origine botanica dei mieli per tutti i produttori. Analisi da effettuare per ogni singolo lotto prodotto e destinato alla vendita. In questo modo si tutelerebbero i consumatori da spesso involontari equivoci e gli apicoltori avrebbero maggiore consapevolezza dei propri prodotti.
Va da se, tuttavia, che oggi le emergenze in Italia sono altre. Sono le sofisticazioni dei mieli (le aggiunte di additivi e coloranti per dar vita a mieli aromatizzati che non possono più essere denominati mieli), sono le contaminazioni (molto spesso da antibiotici, ancora concessi per usi veterinari apistici nei paesi extra UE), e le vendite di miele estero spacciato per italiano. Sotto questo profilo occorre dire che il consumatore è tutelato al momento più dalla GDO che dalle aziende apistiche. Molto lavoro va ancora fatto a livello delle associazioni di categoria, ma soprattutto occorre formare e informare i consumatori. Rinunciando al sensazionalismo e cercando di analizzare con attenzione la realtà di un settore affascinante e al contempo estremamente complesso.
Cordiali saluti
Francesco Colafemmina
Azienda Apistica "La Pecheronza"
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