La voce dei lettori 27/04/2015

Ma qual'è stato il beneficio di questi benedetti PSR?

Una documentata lettera di Alessandro Riganelli sui Piani di Sviluppo Rurale: “continuare a fornire soldi per investimenti ad un'agricoltura senza reddito, è come buttare acqua in una piscina bucata. I veri beneficiari? L'indotto che ruota intorno”


Tempo di elezioni regionali e il caso vuole che quest'anno coincidano con l'anno della nuova programmazione dei fondi Europei per l'agricoltura Psr 2014/20.
Tutti i politici locali, per incantare platee di agricoltori,alla ricerca disperata di consensi, armati di tecnico/burocrati, inizieranno il loro solito tuor per provincie, comuni e frazioni, sbandierando opportunità esclusive per l'agricoltura e disegnando un quadro roseo per le nuove misure d'intervento. Quello che non sbandiereranno mai, però sono la metà delle misure che prevedono finanziamenti ad Enti come la Regione stessa e le ex comunità montane, insieme a tutto l'enorme sottobosco di studi, progetti e certificazioni atti a tenere vivo un enorme serbatoio di consensi, grazie alla quantità di personale che vi ruota intorno. Ma andiamo con ordine.
Il piano di sviluppo rurale, è il documento programmatico che ogni singola Regione Italiana produce per utilizzare “al meglio” le risorse finanziarie che la Comunità Europea destina all’ammodernamento delle zone rurali, per renderle maggiormente vive e competitive e per migliorare la sostenibilità ambientale. Quattro assi, divisi in misure di intervento, un trentina circa, atte a fornire aiuti per strumenti vari di produzione alle aziende agrarie e ai sopracitati enti.
Venti anni di programmazione, divisa in quattro tranche: 1994/99 2000/2006 2007/2013 e ora, in fase di stratup, la programmazione 2014/2015.

Ma qual'è stato il beneficio di questi benedetti Psr? Abbiamo degli studi che documentano gli effettivi benefici di questi finanziamenti? La risposta si legge in uno studio degli economisti Roberto Perotti e Filippo Teoldi, dal titolo “Il disastro dei fondi strutturali europei”, dove oltre a venire documentato lo sperperio di fondi, si evidenzia come non ci siano tuttora studi validi che documentano il rapporto costo/beneficio di questi aiuti. “Nessuno riesce a districarsi tra piani europei, nazionali e regionali. Centinaia di documenti stilati per fissare obiettivi che nessuno rispetta. E i soldi diventano una mangiatoia pazzesca per sindacati, assessorati regionali e provinciali”, questa la conclusione tratta da Perotti il quale propone anche una soluzione, anche se abbastanza rischiosa: “Non diamo più soldi a Bruxelles, così non rischiamo di vederli finire nelle mani dei maestri dello spreco, in un sottobosco politico parassitario”.
Nel 2013, la Corte dei conti europea ha curato un rapporto: “Misure per la diversificazione dell’economia rurale: gli Stati Membri e la Commissione hanno conseguito un rapporto costi-benefici ottimale?”, secondo tale rapporto, i fondi Ue per la diversificazione dell’economia rurale conseguono, un rapporto costi-benefici ottimale solo in misura limitata.
L’audit ha riguardato le responsabilità della Commissione e 6 Stati membri tra i quali l'Italia (Campania). A seguito di tale rapporto, la Corte raccomanda: “Nei loro programmi di sviluppo rurale (Psr), gli Stati membri dovrebbero individuare in modo chiaro come e perché l’intervento pubblico in favore degli investimenti in attività non agricole possa contribuire a correggere, ad esempio, le disfunzioni del mercato relative agli ostacoli all’occupazione e alla crescita. Gli Stati membri dovrebbero quindi stabilire obiettivi specifici e misurabili in relazione a tali esigenze”.

In venti lunghi anni di programmazione, ne abbiamo viste di ogni tipo. Abbiamo visto misure atte a finanziare l'insediamento di giovani in agricoltura (25mila euro a fondo perduto) con criteri di assegnazione che permettevano i furbetti di turno, figli di papà, molto spesso studenti o impiegati in altri settori molto più redditizi, di accedere ai fondi, senza conoscere nemmeno dov'era sita l'azienda di famiglia (irridendo, viste le scarse opportunità che il mondo agricolo offriva, i pochi giovani che avevano avuto la malsana idea di vivere veramente di quel mestiere). Abbiamo visto agriturismi poco agri e meno turismi, nati da signorotti senza il minimo interesse per l'attività ricettiva, col solo scopo di prendere fondi per ristrutturale rustici e incrementare di fatto il capitale.
Abbiamo visto finanziare video promozionali per la fiction don Matteo (regione Umbria, 679 mila euro, 526 mila dei quali provenienti dai fondi Psr)... Tanti, tantissimi sprechi, molti dei quali documentati nel libro “Mani bucate” di Marco Cobianchi. Per rendersi conto della gravità (e dell’originalità) delle frodi, basti pensare che in Calabria nel 2012, si è arrivati persino a trasformare una squadra di calcio iscritta al campionato dilettantistico regionale, in impresa agricola.

E per gli agricoltori? Una quantità smodata di burocrazia, contornata da infiniti cavilli (talvolta frutto di fantasie Disneyane) che consentono alla politica di aprire o chiudere i rubinetti a piacimento, a seconda delle necessità di cassa, di raccomandazione dei destinatari e di consensi pre-elettorali. Questa gestione provoca lungaggini esorbitanti di erogazione dei finanziamenti, soprattutto per i non clienti, ritardi molto spesso fatali per numerose imprese, costrette per anticipare gli investimenti agli strumenti offerti dalle banche di anticipo Psr.
E' dato Coldiretti che, con la chiusura in media di 60 aziende al giorno, l’agricoltura italiana si presenta all’Expo con 155mila imprese in meno rispetto all’inizio della crisi nel 2007.
Centocinquantacinquemila imprese in meno dal 2007 ad oggi, proprio dalla data dell'inizio della programmazione 07/13. Allora ci chiediamo nuovamente: quali sono i benefici di questo strumento?
È la cura giusta continuare a fornire fondi per produrre ad un'agricoltura sempre più vessata dai mercati in costante ribasso o con volatilità clamorose, da una Gdo padrona dei mercati che strozza costantemente produttori (che magari indebitati per gli investimenti si vedono costretti a vendere comunque la merce per creare quel minimo di liquidità per continuare a sperare)?
Continuare a fornire soldi per investimenti ad un'agricoltura senza reddito, è come buttare acqua in una piscina bucata. I veri beneficiari? L'indotto che ruota intorno.
Come sostiene in un articolo di Repubblica l'economista Giulio Sapelli "Nessun paese ha tante società di consulenza sui fondi europei come l'Italia. Significa che, una volta ottenuto il finanziamento, questo spesso si disperde in mille rivoli, per cui all'obiettivo finale arrivano pochi spiccioli”.

Alessandro Riganelli

di T N

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Commenti 1

Alberto Sartori
Alberto Sartori
02 maggio 2015 ore 11:05

Oh, finalmente qualcuno che ha le idee chiare sul fatto che gli incentivi all'agricoltura in sostanza incentivano quasi SOLO i servizi diretti e indiretti che le gravitano attorno, talvolta anche molto ma molto indiretti.
Ma vorrei aggiungere che non può essere altro che così, per le ragioni che andrò brevemente ad esporre.
A mio avviso, fino a quando non ce ne rendremo conto, il primario NON avrà mai la possibilità di uscire dal ghetto in cui da sempre è relegato.

In sostanza, che soluzioni o alternative ci sono?
Credo poche, se non nessuna.
Solo arrangiarci alla bell'e meglio e continuare più o meno su questa strada, prendendoci le briciole che cadono a terra dalla tavola del padrone.

Il sistema socio-economico di oggi, che si basa su liberismo e consumismo, sappiamo bene che considera di maggior valore le azioni, e quindi le aziende, che raggiungono, appunto, il conusmatore, relegando il prodotto al ruolo di pre-requisito, spesso anche privo di importanza ai fini del successo del business.
Contemporaneamente acquistano sempre maggior valore economico i beni immateriali, quindi di riflesso i servizi, rispetto a quelli materiali, cioè i prodotti: figuriamoci quelli del primario :-(

Il margine, cioè il reddito, quindi la ricchezza, dove vanno?
Ovviamente dove c'è più valore, quindi alla fine della filiera, spesso associato ai servizi assolutamente immateriali.
Per cui, non appena in agricoltura si genera un margine o si immette una risorsa, ecco che il sistema socio-economico per definizione, ripeto, per definizione se ne appropria, anche con banali e lampanti tattiche come il crollo dei prezzi (all'origine, non certo al consumo) piuttosto che non con azioni più sottili e furbe come l'aumento della burocrazia o l'obbligo di ricorrere a consulenze di supporto.
A chiudere questo circolo vizioso ci pensa, poi, il settore finanziario :-(((

Prima di cercare soluzioni, che non è facile trovare, dovremmo anche renderci conto che è stato sempre così, anche nei sistemi socio-economici che hanno preceduto l'attuale.
L'assurdo è che il possesso della terra è sempre considerato dall'uomo una delle più preziose e stabili ricchezze, ma il lavoro che la fa produrre, all'opposto, è sempre stato considerato una miseria.
Come dire che l'uomo da sempre sputa nel piatto dove mangia.

Tornando ai giorni nostri, a mio avviso restano solo due possibilità di fondo per cambiare veramente lo stato delle cose.
O, se puntiamo tutto sulla ripresa di questo modello di economia, riusciamo - non so come - a trasformare il prodotto agricolo nel primo e più importante dei servizi resi all'uomo e all'umanità, smaterializzandolo e caricandolo di immagine pura, quindi identificandolo di semplice immaterialità.
Ma, attenzione, non dobbiamo aggiungere servizi e immagine al prodotto alimentare: questo è quello che si cerca disperatamente di fare, come in questi anni è avvenuto per il vino o con i Consorzi con marchi commerciali, ma sono semplici nicchie rispetto all'intero comparto agricolo e per di più soggette alle mode transitorie.

E' la visione da parte della società che va scardinata, cosa tutt'altro che facile e soprattutto veloce, anche se in questo periodo di crisi, secondo il pensiero tipico dei cinesi, potrebbero saltar fuori delle opportunità.
E' alla società che dobbiamo cercare di far capire che ci stiamo scavando la fossa da soli: senza agricoltura non si vive e di onde elettromagnatiche si muore.

Ma, se si riuscisse in questa colossale e secolare operazione di marketing, non saremmo poi così lontani dall'altra possibile soluzione.
Orientarci verso un nuovo modello socio-economico, che parta dall'assunto che il profitto in contemporanea genera povertà, che il liberismo corrode lo stesso sistema dall'interno, che il consumismo non accresce ma esaurisce le risorse, che chi produce compie il primo e più indispensabile dei servizi, quindi di maggior valore.