La voce dei lettori 10/02/2014

Troppa disinformazione sulle vignette del New York Times


Non scopre l’acqua calda il NYT (New York Times) con la sua inchiesta infografica pubblicata giorni fa dal titolo “il suicidio dell’olio extravergine riguardante l’adulterazione dell’olio extravergine italiano”. Che vi siano imbottigliatori industriali che hanno fatto dell’olio “farlocco” il loro core-bussines è risaputo, ma che non lo sapesse il NYT in un paese dove spacciano il “parmesan” per l’italianissimo parmigiano reggiano, questo ci scandalizza e non poco. Quello che delle vignette infografiche pubblicate dal NYT non ci piace è il messaggio che viene fatto passare con il quale si parla di “produttori” accomunandoli agli imbottigliatori industriali, suscitando, giustamente, l’indignazione di tutte quelle comunità nelle quali i produttori olivicoli, quelli veri, rappresentano una realtà produttiva importante sia sotto il profilo della tradizione culturale e colturale ma anche economico e sociale. Senza dimenticare la rilevanza ambientale e paesaggistica che i nostri tradizionali impianti olivicoli rappresentano per la storia del nostro paese. L’inchiesta del NYT, appunto, per un verso racconta una verità risaputa quando scrive che la maggior parte dell’olio extravergine italiano commercializzato  sarebbe il frutto di miscele fatte non solo con oli di scarsa qualità importati da altri paesi ma anche con oli di semi trattati con l’aggiunta di beta-carotene e clorofilla, ma dall’altra però, è pur vero che negli ultimi anni le normative sull’olio sono diventate più stringenti anche per l’intensificazione dei controlli e queste pratiche ormai sono state di molto ridimensionate. La pubblicazione a cura del NYT generalizzando finisce, inconsapevolmente, per criminalizzare centinaia di migliaia di onesti produttori olivicoli che  con grandi sacrifici si sforzano, giorno dopo giorno, di produrre oli di qualità che hanno poco a che fare con gli interessi delle lobby industriali. Al NYT, se non l’avesse fatto ancora nessuno, si fa rilevare che se è vero che l’Italia risulta essere il più grande importatore di olio, è pur vero che è tra i primi paesi nel mondo per consumo di olio extravergine. Così come risulta fuorviante e diffamatorio paragonare le migliaia di produttori di olio extravergine delle nostre città dell’olio, a dei corrotti tutelati da potenti politici. Il NYT, secondo il mio modesto pensiero, ha perso invece una buona occasione per spiegare agli statunitensi come distinguere un vero olio extravergine italiano dagli oli farlocchi. Una buona occasione per spiegare come la qualità degli oli prodotti in Italia da varietà di olive ben definite e da territori di secolare tradizione produttiva molti dei quali ricadenti in comuni aderenti all’associazione delle “Città dell’olio”, non può e non deve essere confusa con generiche miscele di oli messe in commercio da marchi industriali. Il NYT invece di raccontare con le vignette la storia distorta sulla filiera produttiva e commerciale del nostro olio extravergine, ci racconti se in questi anni abbia mai pensato di fare un reportage vignettistico per spiegare ai cittadini statunitensi quali e quanti sono gli interessi delle lobby “dell’italian sounding”. Al NYT, piuttosto, desidero rivolgere un invito a svolgere un reportage nelle nostre città dell’olio e non in un capannone industriale dove vengono miscelati oli di vari paesi e di tutti i generi, che racconti come tanti produttori coltivano i nostri olivi e producono migliaia di tonnellate di olive che vengono avviate in migliaia di frantoi presenti in tutte le città dell’olio e trasformate in centinaia di migliaia di tonnellate di olio dalle diverse identità e caratteristiche chimico-organolettiche, dall’olio dolce a quello inconfondibile fruttato,amaro, piccante che nulla ha a che fare con le generiche ed anonime miscele commercializzate da grandi marchi industriali e non dai nostri produttori. Un racconto in cui si spieghino oltre alle sensazioni e alle emozioni che suscita il vero olio extravergine prodotto da olive di varietà conosciute, come sia importante comprenderne l’origine, leggendo le retro etichette delle bottiglie di olio che si acquistano, evitando di soffermarsi solo sul prezzo proposto, il più delle volte ingannevole. Accusare genericamente i produttori, come ha fatto il NYT con le sue vignette, di commercializzare oli “forestieri” di bassa qualità e/o adulterato, significa offendere anche la storia e la tradizione colturale e culturale di un paese come l’Italia che, oltre ad essere il secondo produttore mondiale di olio extravergine ed il secondo paese mondiale consumatore dopo la Grecia rimane, che che ne dica il NYT, il paese simbolo di quella dieta mediterranea, recentemente riconosciuta patrimonio immateriale universale dell’umanità che, guarda caso, ha come pilastro portante dello stile alimentare mediterraneo, proprio il nostro olio extravergine di oliva orgogliosamente “nostrano”.

Assessore al marketing territoriale e Attivita’ produttive città di Andria
Consigliere nazionale Città dell’olio

Benedetto Miscioscia

di C. S.

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