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A rischio metà dell'export dell'industria olearia nazionale verso gli Stati Uniti

Con un dazio sul 100% del prodotto il prezzo dell’extra vergine crescerebbe di almeno il doppio, rendendolo insostenibile per il consumatore americano. Previsto un taglio drastico del fatturato delle aziende

11 luglio 2019 | C. S.

Export dimezzato negli Stati Uniti e calo dei fatturati di ben oltre il 50% per le imprese del settore e dell’indotto. E’ questa la stima elaborata da ASSITOL, l’Associazione Italiana dell’Industria Olearia, sugli effetti dei possibili dazi sul nostro olio extra vergine.

La definizione di una seconda lista di prodotti da tassare, decisa dall’amministrazione statunitense come rappresaglia contro la UE nella controversia delle sovvenzioni per Airbus, è da considerarsi un segnale assai preoccupante. In questo elenco, figura infatti anche l’olio extra vergine in bottiglia, di cui l’Italia è, insieme alla Spagna, uno dei primi esportatori in America, da sempre il più importante acquirente di oli d’oliva.

“Se l’USTR, l’Ufficio per il commercio estero di Washington, attuasse queste prime indicazioni, imponendo una tassazione ad hoc – spiega Anna Cane, presidente del Gruppo olio d’oliva di ASSITOL – l’intera filiera, a partire dall’olivicoltura, subirebbe danni gravissimi”. Con un dazio sul 100% del prodotto, infatti, il prezzo dell’extra vergine crescerebbe di almeno il doppio, rendendolo insostenibile per il consumatore americano e inducendo così i buyers americani a cercare altrove l’olio d’oliva, oppure ad individuare oli alternativi.

“Buona parte dell’olio extra vergine in bottiglia presente nei supermercati statunitensi è importato dall’Italia – ricorda la presidente degli imprenditori del settore -. Venendo meno il flusso europeo, che garantisce agli Stati Uniti l’80% dell’olio confezionato, si farà spazio ai prodotti dei nostri competitors, in particolare tra i nostri concorrenti del Nord-Africa, come Tunisia e Marocco. Anche ammesso che, in seguito, i dazi siano cancellati, sarà difficilissimo riconquistare il mercato perduto”.

In sintesi, le conseguenze dei prezzi alti e del mancato approvvigionamento in Italia causeranno “il taglio drastico del nostro export di oltre 50% e, al tempo stesso, la riduzione del fatturato delle aziende”. L’industria italiana, che negli ultimi decenni ha fatto conoscere a livello mondiale l’olio extra vergine, vende fuori dai confini circa il 60% delle sue produzioni, con un indotto importante nel packaging e nella logistica, che risentirebbero anch’essi di un duro contraccolpo. “Con il calo repentino delle esportazioni – aggiunge Anna Cane – tutto questo verrebbe messo in seria difficoltà”.

Il contraccolpo dei dazi, tuttavia, non sarebbe circoscritto al comparto oleario. L’export di olio d’oliva rappresenta una voce importante della nostra bilancia commerciale e, in generale, della nostra economia. “Nel 2018, secondo i nostri dati, l’export di olio d’oliva negli Stati Uniti si è attestato sulle 94mila tonnellate – sottolinea la presidente -. Il solo extra vergine, che rappresenta il 66% di questo flusso, ha fruttato all’Italia quasi 400 milioni di dollari. L’agroalimentare è una delle poche voci ancora vivaci del nostro sistema economico e il venir meno di questa fonte di reddito potrebbe avere una ricaduta molto pesante per il sistema Paese”.

Per queste ragioni, ASSITOL chiede alle istituzioni di intervenire. “Abbiamo già scritto, sia tramite Fedolive, la nostra confederazione europea del settore, sia come Associazione, alle autorità competenti – precisa Anna Cane – ma quello che occorre è una seria presa di posizione dell’Italia, per scongiurare i possibili effetti dei dazi, prevenendone l’entrata in vigore”.

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