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L'olivicoltura italiana in altalena: addio all'olio extra vergine Made in Italy?
Produzioni mostruosamente oscillanti, listini e quotazioni impazzite, Xylella e clima impazzito. Mancano le certezze per le imprese olivicole-olearie e i giovani stanno alla larga dal settore. Tutto questo mentre i mercati si aprono all'olio extra vergine
15 giugno 2018 | T N
Fare impresa in Italia è difficile, provarci nel mondo olivicolo è diventata una “mission impossible”.
È quanto emerge dalla tavola rotonda “+Europa, Valore, Opportunità”, organizzata dal Consorzio Nazionale degli Olivicoltori, svoltasi a Viterbo.
I tanti problemi che affliggono il settore e, soprattutto, l’eccessiva instabilità delle quotazioni sul mercato non consentono una programmazione ed una gestione serena delle attività aziendali.
I prezzi viaggiano sulle montagne russe: a maggio 2016 la quotazione media di un quintale di olio extravergine d’oliva era di 356 euro, nello stesso mese del 2017 era di 605 euro, mentre a maggio 2018 è tornata a 407 euro.
Un’azienda media con 10 ettari di oliveto, in pratica, vendendo l'intera propria produzione annuale di olio a maggio 2017 avrebbe incassato 36.000 euro, mentre la stessa produzione quest’anno avrebbe garantito 25.000 euro, cioè 11.000 euro in meno.
Chiaro quindi che senza interventi seri per stabilizzare il mercato lo scenario diventa scontato: nessun ricambio generazionale nelle aziende olivicole e abbandono dei campi.
“Chiediamo al Ministro Centinaio e alla Sottosegretaria Pesce, che in questi primi giorni stanno mostrando grande attenzione verso il nostro settore - ha sottolineato il Presidente del CNO, Gennaro Sicolo - di valorizzare il Made in Italy reale, quello che viene dal grande patrimonio produttivo olivicolo italiano, di tutelare l’extravergine d’oliva da tutte le frodi e contraffazioni e dalle invasioni pacifiche, quali quelle di olio tunisino, che rischiano di mettere a repentaglio il futuro del nostro settore”.
A stretto giro la risposta del neo Sottosegretario al Mipaaf, Alessandra Pesce: "“Abbiamo il dovere di costruire una strategia competitiva per l’olivicoltura italiana che ha enormi potenzialità di sviluppo in termini economici, vista l’attenzione sempre crescente dei consumatori a prodotti sani e di qualità, ambientali, grazie all’immenso patrimonio arboreo, e sociali con le migliaia di aziende olivicole che costituiscono la ricchezza del Made in Italy. Abbiamo il dovere di portare l’olio sulla stessa strada del vino - ha continuato la Sottosegretaria Pesce -. Dobbiamo ripartire da ciò che ci chiede il mercato e dal valore dei nostri produttori, alle prese con numerose emergenze, quali la xylella, che abbiamo il dovere di affrontare con serietà e concretezza”.
Grande attenzione anche alle discussioni in corso per la nuova pac.
“Il Ministero ha preso a cuore il dossier e già da lunedì, durante il primo consiglio europeo agrifish, proporrà di rafforzare le risorse del comparto agroalimentare, di puntare sulla semplificazione delle regole e delle procedure, e di riconoscere maggiore valore ad alcuni settori trainanti per l’economia italiana, tra cui l’olivicoltura”, ha concluso la Sottosegretaria Alessandra Pesce, alla sua prima uscita ufficiale.
Uno scenario di lungo termine molto preoccupante, mentre nel breve termine la situazione appare anche peggiore.
Le temperature instabili e le violente precipitazioni piovose di questi giorni, infatti, non aiutano l’attecchimento dei fiori delle poche piante rimaste indenni dall’ondata di freddo polare di febbraio.
La fioritura risulta gravemente compromessa (perdite stimate tra il 70 ed il 90%) in molti regioni italiane: Liguria, Toscana, Umbria, Abruzzo e Campania.
Particolarmente colpite sono il Lazio e la Puglia, nella zona più produttiva d’Italia, il lembo di terra compreso tra le province di Bari e Bat (Barletta-Andria-Trani)
In base a questi dati il Consorzio Nazionale degli Olivicoltori stima il dimezzamento della produzione nella campagna olearia 2018/2019.
La mancata commercializzazione che ne consegue, unita alla grave crisi dell’indotto e alla drastica riduzione delle giornate lavorative, portano le perdite stimate intorno al miliardo di euro sull’intero territorio nazionale.
Pensare, invece, che le prospettive per il commercio oleario internazionale sono molto interessanti.
Dal 2000 ad oggi le importazioni del Brasile sono triplicate, quelle del Canada raddoppiate ed il Giappone importa 2,5 volte in più rispetto all'inizio del secolo.
La Cina, che nel 2000 importava meno di 500 tonnellate di olio di oliva, oggi introduce sul proprio territorio oltre 50.000 tonnellate.
Gli Stati Uniti restano invece il più importante Paese importatore di olio di oliva: dall’inizio del nuovo millennio ad oggi, gli acquisiti americani sono aumentati del 65% e il prodotto italiano ha una quota di mercato del 35%, in netto calo rispetto al 2000 quando il 76% di olio importato dagli Stati Uniti proveniva dal Bel Paese.
Ci troviamo quindi nella drammatica situazione di avere floride prospettive di mercato ma niente prodotto da vendere.
“Gli orientamenti della Commissione Ue sulla riforma Pac non danno alcuna risposta al problema della eccessiva volatilità delle quotazioni - ha concluso Sicolo -. Chiediamo l'attivazione di misure di mercato all'altezza e proponiamo di valutare, così come avviene negli Stati Uniti, politiche tali da stabilizzare i redditi degli agricoltori, magari ricorrendo a cosiddetti aiuti anticiclici. Bisogna fare molta attenzione perché si rischia di mettere in ginocchio quello che resta della olivicoltura professionale italiana – ha concluso Sicolo -. Ci saranno meno risorse finanziarie per sostenere il settore che attraversa una fase di grande trasformazione e rischia di indebolirsi ulteriormente anche alla luce di vere e proprie emergenze nazionali, come xylella e gelate, che influiranno in maniera seria sulle prossime campagne”.
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