Articoli 13/07/2013

Le misure anticontraffazione sono una priorità per l'Italia. Con l'olio d'oliva stanno funzionando

Le misure anticontraffazione sono una priorità per l'Italia. Con l'olio d'oliva stanno funzionando

La legge Salva Olio Italiano compie sei mesi. Tempo di bilanci con la relatrice, On. Colomba Mongiello che afferma: “la vera sfida è la prevenzione dei reati, perché la contraffazione alimentare altro non è che un reato”


Non si placano le polemiche su una legge che è stata duramente contestata in parlamento, durante l'iter di approvazione, che l'Unione europea ha voluto bloccare ma che in Italia è in vigore ed è applicata dal 1 febbraio 2013.

Anche se promulgata il 14 gennaio 2013 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 31 gennaio non c'è pace per la norma che è stata anche oggetto di critiche pesanti da parte dell'Antitrust qualche settimana fa.

Abbiamo quindi voluto fare il punto della situazione con la relatrice della norma: On. Colomba Mongiello.

 

Il 14 luglio la legge che porta il suo nome, anche nota come Salva Olio Italiano (legge n. 9 del 14 gennaio 2013), compie sei mesi. E' possibile fare un bilancio?

E' più che possibile ed è più che positivo: le misure anticontraffazione hanno consentito una più diffusa e adeguata difesa dell'olio d'oliva italiano; la trasparenza dell'etichetta ha sottratto quote di mercato ai prestigiatori e le ha restituite a chi produce e trasforma qualità; i consumatori sono sempre più consapevoli della necessità di pagare un prezzo equo per mangiare un prodotto realmente Made in Italy.

L'Unione europea sembrava voler sposare la linea italiana di una maggiore tutela e attenzione verso l'olio extra vergine d'oliva. Poi, su pressione inglese e olandese, il voltafaccia. Ritirato non solo il provvedimento contro le ampolle ma un intero regolamento atteso da più di due anni. E' un'Europa con due pesi e due misure?

E' un'Europa miope; che ha bisogno di sbattere il muso contro gli scandali alimentari prima di mobilitare la tecnostruttura e agire effettivamente, non solo formalmente e in linea di principio, a difesa del consumatore. Paesi come l'Inghilterra e l'Olanda non sono produttori di cibo paragonabili all'Italia o alla Spagna, producono molto per l'industria e molto poco per i mercati urbani e le tavole degli inglesi e degli olandesi. Tutti i presidi di sicurezza alimentare e di tracciabilità per loro rappresentano costi aggiuntivi e non presidi a tutela della qualità, perché a loro dire non è questa ciò che conta. Purtroppo, anche quando dovremmo essere noi a dettare la linea, subiamo gli effetti della scarsa credibilità del sistema Italia e della frammentazione degli interessi in campo: produttori, trasformatori e distributori preferiscono contendersi tra loro utili marginali, invece di fare massa critica e ricavarne di più per tutti.

A proposito della legge Mongiello. Si è parlato molto delle misure dei caratteri, del tappo antirabbocco e, su impulso dell'Antitrust, della regolamentazione delle vendite sottocosto. Eppure, sulla base di riscontri personali con gli organismi di controllo, la parte più “rivoluzionaria” della norma riguarda l'inasprimento delle sanzioni a carico dei contraffattori. Perché le polemiche si concentrano sempre sui soliti aspetti?

In parte la risposta è nella conclusione di quella precedente. E' stato evidente fin dalla presentazione al Senato della proposta di legge che avremmo avuto contro una parte della filiera olivicola e, più in generale, agroalimentare: quella conservatrice, quella abituata a giocare con la chimica, quella interessata esclusivamente alla grande distribuzione. Ciascuno e tutti insieme hanno polemizzato a lungo e tenacemente sui dettagli tecnici; ma il vero obiettivo era affossare la legge per evitare l'inasprimento delle norme anticontraffazione, per evitare di perdere gli enormi profitti garantiti dalla speculazione realizzata con le miscelazioni di prodotti anonimi e potenzialmente dannosi. Ecco perché mi ha sorpreso molto l'intervento dell'Antitrust, la cui legittimità a me pare molto dubbia.

La contraffazione alimentare colpisce certamente l'Italia. Per alcuni tentare di contrastarla è uno sforzo inutile. Vale il motto: fatta la legge, trovato l'inganno. Insomma i delinquenti sarebbero sempre un passo avanti. La repressione è inutile?

Lo stato di diritto deve essere affermato sempre ed in ogni occasione. La vera sfida è la prevenzione dei reati, perché la contraffazione alimentare altro non è che un reato. Ho proposto di istituire nuovamente la Commissione parlamentare d'inchiesta contro la contraffazione proprio per indagare questo specifico ambito dell’azione criminale, così da comprendere come e dove agire per migliorare la legislazione di prevenzione e contrasto di un'attività governata anche dalle mafie e che rappresenta un pericolo costante per la salute dei consumatori oltre ad essere un fattore di alterazione del mercato e della concorrenza.

La contraffazione, paradosso dei paradossi, è però anche utile. Segnala ai produttori e alle nostre aziende dellepotenzialità, dei mercati da affrontare ed esplorare col vero Made in Italy. Come coniugare lotta alla contraffazione e promozione delle nostre eccellenze agroalimentari?

Proprio affermando e difendendo il Made in Italy. Una recente indagine sui flussi turistici in Italia ci dice che il buon cibo è considerato un asset strategico pari o superiore al patrimonio storico, e non è certo per caso che ovunque nel mondo si tenti di scrivere la parola 'Italy' sulle etichette agroalimentari. Nel momento stesso in cui difendiamo il vero Made in Italy ne favoriamo la diffusione. A quest'attività si deve affiancare il supporto operativo da fornire ai nostri produttori per ottenere una massa critica tale da influenzare positivamente i mercati e per consentirgli di rafforzare la loro presenza nei mercati più ricchi.

Km0, filiera corta, carbon footprint, sostenibilità. Molte le iniziative di legge portate avanti dall'Italia, alcune delle quali a sua firma. La sensibilità sull'argomento è però molto diversa da paese a paese. Non converrebbe concertare standard comuni, tali che possano essere compresi dai consumatori di tutto il mondo?

Sono dell'avviso che i consumatori siano spesso più avanti di chi, come me, è impegnato a scrivere norme che favoriscano il consumo consapevole e tutelino al sicurezza dei prodotti alimentari. La differenza, duole dirlo, la fa il livello di benessere: la qualità ha un costo e non tutti possono permetterselo. Questa evidenza è attenuata dalla crescente consapevolezza della necessaria sostenibilità ambientale del nostro agire e consumare, per cui hanno riguadagnato valore commerciale produzioni prima snobbate a causa dell'ansia consumistica. Per loro stessa natura, i prodotti ed i mercati presi in considerazione con la mia proposta di legge hanno una inevitabile e spiccata dimensione locale; trovo, quindi, inutile elaborare un modello globale e molto più utile concertare formule internazionali facilmente ed ampiamente comprensibili che siano di effettivo sostegno alla sopravvivenza ed allo sviluppo delle più tipiche produzioni territoriali. In qualunque territorio di qualunque parte del mondo. 

di Alberto Grimelli

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