Articoli 29/09/2012

Pasquale Librandi, l’uomo che parlava agli olivi

Pasquale Librandi, l’uomo che parlava agli olivi

“Il più grande lavoratore della Sibaritide”, così era stato definito uno tra i più determinati e capaci olivicoltori e frantoiani calabresi. Da maggio osserva i suoi olivi dall’alto. Dopo aver dato il via a un cambiamento radicale, ora tutta la regione può trarne vantaggi. Il ricordo, commosso, del figlio Michele


La memoria storica deve essere un punto fermo nella nostra vita. Non possiamo lasciar passare le più vive testimonianze nel silenzio. Occorre testimoniare in continuazione. I Librandi sono produttori d’olio in calabria che lavorano motlto bene. Vincono premi perché i loro oli di anno in anno rappresentano il percorso virtuoso che dalla qualità passa all’eccellenza, un passaggio necessario per chi voglia stare con successo sul mercato. Non basta dire “ho prodotto l’olio”, ma ciò che si produce deve essere di alto profilo qualitativo, altrimenti è solo un olio tra i tanti, genuino, frutto di sacrifici, ma olio che deve sottostare alle leggi di un mercato che non lascia scampo.

Questa memoria in ricordo di Pasquale Librandi è nata dalla serata di premiazione di Olio Capitale che si è svolta a Città Sant’Angelo all’inizio di settembre. I Librandi non sono potuti venire, ma mi hanno scritto un messaggio molto commovente: “nostro padre Pasquale ci ha lasciati in un giorno di fine maggio, giorno in cui le sue piante, i nostri ulivi, sono sfioriti per omaggiarne la scomparsa. Di questo ne siamo certi perchè lui con le piante ci parlava e, tra le tante cose che ci ha insegnato, continueremo a portare avanti con perseveranza e tenacia anche questa. Erano sue figlie, ora sono nostre sorelle.
Stasera non saremo lì con voi per ritirare il premio della giuria popolare, e non perchè la voglia di festeggiare è poca o perchè non vogliamo rendere il giusto merito a chi ci ha insegnato tutto o peggio ancora a chi ci ha onorato del primo posto. La verità è che Papà non è mai voluto andare a ritirare nessun premio, in nessuna manifestazione, è sempre rimasto defilato mandando avanti noi figli, lui preferiva la terra e gli alberi piuttosto che le fiere e le luci. La verità è che noi tutti vorremmo che questo premio, simbolicamente, lo ritirasse lui. E secondo noi ci sarà.
Noi non ci saremo fisicamente, come lui d'altronde, ma è come se fossimo lì accanto a voi, tutti insieme”.

Io credo che anche la figura degli olivicoltori, dei frantoiani, di chi crede fortemente nel proprio lavoro agricolo debba essere valorizzata e messa in luce. Dare testimonianza è un nostro dovere morale, per questo ho voluto essere vicino ai figli di Pasquale Librandi: Carmela, Angela, Lucia, Michele e Pino, oltre che alla moglie Maria Luisa.

Il nostro dovere è testimoniare, lasciare un segno; e per questo ho sollecitato una testimonianza a Michele Librandi, il quale, con orgoglio, ricorda il padre attraverso l’espressione che il suo professore di italiano del liceo, negli anni Novanta aveva formulato: “Il più grande lavoratore della Sibaritide”. Già, come dice Michele Librandi, tale espressione è “il più bel complimento che mi abbiano mai fatto su mio padre. Pura verità”.

Luigi Caricato

 

NON E’ PER NIENTE FACILE

Non è per niente facile scrivere di nostro padre. Il punto di vista che posso dare è parziale, seppur intriso sempre di amore, come un figlio può e sa dare.

Papà nasce nel 1940 a Vaccarizzo Albanese, e cresce subito, suo malgrado, diventando un lavoratore già in tenera età, poco più che bambino. Segue le orme di suo padre e di suo nonno, quelle del commercio e dell’impresa. Strade rischiose, che sanno però premiare chi mette l’anima nel lavoro e cerca di migliorarsi e migliorare il contesto in cui vive.

Diventa prima macellaio e poi commerciante di carni, dando lustro al piccolo paese di tradizioni e origini arberesh, raggiunto anche da fuori regione per la qualità e la freschezza delle carni suine, all’epoca indispensabili per le scorte di salumi che la tradizione imponeva di preparare nella stagione invernale.

Già a vent’anni però il richiamo della terra si fa sentire, e l’apertura del frantoio a presse incoraggia gli investimenti nel settore olivicolo. Nasce così l’azienda agricola che porta il suo nome, inizia a formarsi e a crescere quel patrimonio di ulivi che ad oggi conta circa trentamila piante.

Poco alla volta, appezzamento dopo appezzamento, con il rischio e la fatica di ogni giorno che Dio mette in terra, Pasquale costruisce il futuro dei propri figli.

Nel 1980 è la volta dell’impianto continuo, innovatore com’era non perde un attimo, capisce che il cambiamento è la via per la crescita e passa alla nuova tecnologia.

Gli anni passano e l’azienda cresce con la sua passione, le piante secolari lo trattano come un loro figlio, quelle giovani (circa 15.000 gli ulivi impiantati negli anni ‘90) oggi lo considerano loro padre.

La verità è che lui parlava con le piante: le amava, le rispettava, ed ogni taglio di accetta o di motosega era una ferita vissuta sempre con sofferenza, soltanto un male necessario. Le nutriva con gli ammendanti e i fertilizzanti, le curava con il rame e gli oli bianchi, e alla fine le ringraziava tutti gli anni, per quante olive avevano saputo tenere appese, per quanto olio erano state in grado di donare.

Negli anni 2000 inizia l’era della superqualità, della ricerca della perfezione, dell’attenzione massima a tutte le fasi della coltivazione e della trasformazione: arrivano i premi e i riconoscimenti (l’Ercole Olivario era il preferito di papà), all’inizio insperati, successivamente cercati e ottenuti. La conferma che i padri e i figli possono fare tanto, insieme.

Il 27 maggio 2012 ci ha lasciati, portando con sé tantissimo, ma avendo donato altrettanto e di più a chiunque si sia trovato sulla sua strada.

Era un uomo buono e rispettato, grandissimo lavoratore, abilissimo macellaio con "l'hobby" della campagna.

Le mie tre sorelle e mio fratello lavoravano già tutti in azienda, io sono tornato perché il richiamo era troppo forte: non avrei potuto essere in nessun altro posto sapendo che mio padre è lassù e i nostri ulivi hanno ancora troppo da raccontare. Ho lasciato Firenze per tornare a Vaccarizzo Albanese, lascio l’Alfa Laval per tornare alla Terra, per cercare di mettere a frutto con umiltà i miei studi da agronomo, seguendo quei profumi che mio padre mi ha fatto odorare.

Il primo giorno che sono tornato tra le piante senza di lui, temevo di non saperle riconoscere, invece mi hanno accolto come un fratello. Sono loro che hanno riconosciuto me.

Michele Librandi

 

di T N

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Commenti 1

MARIO DE ANGELIS
MARIO DE ANGELIS
29 settembre 2012 ore 13:00

Che dire??? Ho girato per lungo e per largo l'Italia olivicola ed in particolare la Calabria sino a 10 anni fa. Dopo aver letto tutto debbo farmi una considerazione: Quanto mi è dispiaciuto non aver conosciuto il Gran Signore di Pasquale Librandi.