Articoli 21/05/2011

Nel campo agroalimentare vince chi comunica il vero e l’autentico

Nel campo agroalimentare vince chi comunica il vero e l’autentico

In tempi in cui si sta più attenti a quel che si compra, ha molta presa il Km 0. A sostenerlo è Patrizia Novajra. Occorre puntare a una comunicazione mixata in cui le attività classiche di ufficio stampa e pubblicitarie si mescolano con mezzi “miratissimi” e di pubbliche relazioni (2. continua)


 Dopo la testimonianza di Cinzia Montagna, prosegue la nostra inchiesta sullo stato della comunicazione agroalimentare in Italia. Questa settimana abbiamo sentito Patrizia Novajra.

Libero professionista, lavora per la comunicazione integrata d’impresa per il settore pubblico e privato dal 1986. Dopo gli studi universitari a Bologna in Agraria, ha collaborato a vari programmi radiofonici per la Rai e si è specializzata nell’ideazione e organizzazione di eventi culturali e fiere. Ha poi svolto attività di organizzazione, pianificazione dei mezzi, relazioni esterne e ufficio stampa per iniziative a carattere culturale, turistico, scientifico, congressuale e divulgativo, oltre che di eventi e attività rivolte alle imprese, pubbliche e private, e ai loro prodotti.

È specializzata nella scrittura creativa e nell’ideazione di inediti percorsi didattici, di grafica e di comunicazione. Ha realizzato grandi esposizioni, progetti di territorio, campagne pubblicitarie, stampa e convegni.

 

INTERVISTA A PATRIZIA NOVAJRA

 

In momenti di grande crisi economica come quelli attuali, cosa sta accadendo sul fronte della comunicazione agroalimentare in Italia?

Il momento si sa, è difficile. In questa fase, fra coloro che comunicano, emerge sicuramente di più chi presenta qualcosa di “autentico”, fatto bene e che corrisponda al “vero”; questo vale in particolare nel campo dell’agroalimentare che da una parte resta legato al noto senso della buona tavola italiana ma anche alla salute; in tempi in cui si sta più attenti a quel che si compra, la qualità è ricercata, premiata. Di questi tempi, nel settore, ha molta presa sicuramente il Km 0.

 

Come stanno reagendo le aziende, e come invece le Istituzioni? Stanno riducendo sensibilmente i budget, oppure cercano di resistere perché ritengono che sia fondamentale e necessario proprio in tempi di magra continuare a investire in comunicazione?

I budget sono decisamente più ridotti, sia nel pubblico che nel privato, e quindi si va in ottimizzazione degli strumenti classici della comunicazione.

Sempre di più appare importante la comunicazione mixata, che mescola cioè le attività classiche di Ufficio Stampa, pubblicitarie con mezzi “miratissimi” e di Pubbliche Relazioni.

 

Tra i vari settori merceologici, sempre in ambito agroalimentare, qual è l’ambito più sensibile e ricettivo alla comunicazione?

Direi che in questo senso gli ambiti che già da tempo hanno stabilito obiettivi, capito il pubblico di riferimento, penso alla pasta, al caffè e poi quelli per l’infanzia e i ragazzi.

 

Qual è la soglia di investimento media da parte delle aziende? E quale, invece, quella delle Istituzioni?

Difficile dare una risposta precisa in quanto il pubblico tende a investire in modo diffuso e “politico” un po’ su tutto il suo territorio e in modo discontinuo. Ci possono essere infatti delle ottime manifestazioni promozionali che invece di essere sostenute e fatte crescere, solo perchè sono avvenute sotto un momento politico diverso vengono spazzate via con grande danno per il territorio. Il privato tende, invece, a investire in modo continuativo e in percentuale di più.

In questo momento sul piano della comunicazione le più penalizzate risultano essere le piccole produzioni di “nicchia”, che si teme possano anche scomparire, facendo così sparire saperi e sapori legati alla storia di un territorio.

 

Al di là delle cifre investite, in ambito istituzionale quali sono le realtà più sensibili e attente? I piccoli o i grandi comuni, le province o le regioni?

Come sempre nel piccolo si comprendono meglio le azioni da compiere e si agisce di conseguenza sulla base dei propri budget, mentre le province – sempre comunque attente al territorio – e le regioni se non hanno una cabina di regia consapevole e forte, rischiano di perdere il contatto con il territorio.

Nel pubblico, i troppi avvicendamenti politici a volte determinano frazionamento, spaesamento, indeboliscono la consapevolezza della propria identità e di un certo amor di territorio, portando a volte drammaticamente anche l’immobilità di un territorio.

Per comunicare un territorio, a parer mio, ci vuole continuità politica, presenza, consapevolezza, riconoscimento, monitoraggio delle azioni svolte e legami forti nella gestione della cosa pubblica.

 

Infine, i consorzi di tutela, riferiti ai prodotti a marchio Dop e Igp: quanto investono in comunicazione, e in che modo investono? Ma soprattutto: investono bene?

Non conosco bene tutti in casi regionali italiani per poter dare una valutazione generale, ma per quello che è la mia esperienza, vedo che i consorzi di tutela agiscono bene in alcune regioni dove c’è una forte vocazione e storia imprenditoriale, una consapevolezza di appartenenza; tali organismi hanno un senso e operano bene quando mantengono vivo il rapporto con coloro che rappresentano tutelandoli. Di conseguenza gli investimenti in comunicazione diventano positivi dove vi sia una regia unica, un’unità d’intenti.

All’ultimo “Vinitaly”, a Verona, per esempio, ho molto ammirato lo stand del Trentino Alto Adige che comunicava un senso di “buono e ben fatto”, si parlava di vino ma si comunicava il territorio, promettendolo per quello che è presentando l’agroalimentare con i consorzi, le Dop e Igp come una naturale conseguenza del voler fare le cose bene.

L’immagine era coordinata, semplice, fresca, di respiro internazionale. L’attenzione era rivolta a molti possibili pubblici, si percepiva una regia ma anche una unitarietà d’intenti: formidabile!

 

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di Luigi Caricato

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