L'arca olearia 05/11/2011

Mondo extra vergine. E’ giusto gridare sempre allo scandalo?

Mondo extra vergine. E’ giusto gridare sempre allo scandalo?

Si accende il confronto su come fare informazione. Ci scrive l’americano Tom Mueller, implacabile anni fa con un suo articolo sul “New Yorker”. Resta da chiarire quale sia la strada migliore da seguire: fare sensazionalismo, seppure a fin di bene, o educare al corretto approccio?


PUNTO SUL VIVO

Gentile Caricato,

prendo spunto dal suo recente articolo “California-Italia, la grande sfida nel nome degli oli di oliva.” In questo articolo mi rimprovera di aver sostenuto un attacco frontale all’olio extravergine italiano ed europeo a favore di quello americano, per motivi non ben chiari a parte la mia nazionalità americana (anche se vivo in italia per libera scelta da 20 anni). Vorrei rispondere a queste critiche. Se mi fa il favore di pubblicare questa mia risposta, pure sotto il solito titolo ironizzante (“Punto sul vivo...” o simile), le sarei molto grato.

Come lei fa spesso, nel suo articolo cerca di liquidare come nazionalismo irrazionale e voglia di protagonismo un discorso che è molto piu’ semplice, più reale, più internazionale: olio di oliva extravergine ha una definizione legale estremamente chiaro, che molte grandi marche non rispettono. Lei che ha un palato molto raffinato lo sa. Basta entrare in un supermercato e aprire una bottiglia qualsiasi di olio delle grosse marche – di solito con nomi italiani e contenuto spagnolo o “mediterraneo” – per rendersene conto. Basta annusare, non deve nemmeno degustare (anzi, meglio di no...). Quasi tutti sono difettati, a volte marcatamente – muffa, morchia, rancido e via andare. 1 solo difetto, dice la legge, e un olio non puo’ essere ettichettato “extravergine.” Ciononostante, tutti sono etichettati come extravirgini. Questi finti extravirgini costano la metà, anche meno, di quello che deve costare un extravergine di grande qualità, solo per coprire le spese di produzione. I consumatori, confusi da tanti prezzi diversi per lo stesso – almeno in apparenza – prodotto, spesso e comprensibilmente comprono il prodotto meno caro. I bravi produttori, che devono sostenere i costi necessari per produrre un vero extravergine, un succo di frutta da olive fresche e sane, perdono sempre piu’ terreno.

Mentre scrivevo il mio libro, ho avuto la fortuna di conoscere produttori in 4 continenti, sorpratutto in Italia dove vivo ma anche in Spagna, Grecia, nel Maghreb ed in Medio Oriente, in Australia e Sud Africa, negli Stati Uniti. Dappertutto ho sentito le stesse critiche, lamentele, gridi di disperazione. Tutti i produttori onesti, qualunque sia la loro nazionalità, sono stufi, anzi esausti, di cercare di vendere i loro extravirgini eccelsi in concorrenza con prodotti ettichettati “extravergine” che non corrispondono alle caratteristiche legali di questo prodotto. Molto sono sull’orlo del fallimento economico. Molti hanno già fallito.

La situazione in America è ancora piu’ grave, come spiego nel mio libro, perchè la Food and Drug Administration, che dovrebbe garantire sulla qualità e genuinità del cibo venduto in America, non fa alcun controllo sugli oli da olive. Neussun controllo – zero. Come è prevedibile, il problema di qualità degli “extravirgini” nei negozi americani è estremo. Eppure il mercato americano è in forte crescita. Come scrivo testualmente nel mio libro, “l’America è il mercato ideale per i frodatori.” (Dove lei evinca che io abbia detto che il problema di frode è minore in America – il contrario di quello che scrivo e dico da 5 anni – non riesco a comprenderlo. Sicuramente non da parole che ho scritto o detto. Quando vuole puo’ leggere il mio libro, in inglese tra qualche settimana ed in italiano quando verrà tradotto dalla DeAgostini. In futuro, prima di dire quello che io penso, forse farebbe meglio rivolgersi direttamente a me, persapere quello che in realtà penso.) E come indico con nomi e cognomi, alcuni tra i piu’ grandi frodatori sono americani che producono i loro finti extravergini sul territorio americano.

Negli ultimi 5 anni, una serie di studi scientifici sulla qualità degli oli in vendita nei supermercati, fatti in Germania, Svizzera, Brazile, Australia, gli USA ma anche dallo stesso governo spagnolo in Andalucia – finora niente in Italia – hanno rivelato serie e ripetute violazioni della legge sull’ettichettatura e sulla definizione dell’extravergine, spesso con forte sospetto di uso di olio deodorato. Lei mi rimprovera di fare scandalismo inutile e dannoso all’immagine degli oli europei e sopratutto italiani. Non è vero – legga pure il mio libro. Celebro ad alta voce i bravi produttori europei, sopratutto in Italia ma anche in Spagna e Grecia. Critico invece quelli che barano, italiani, spagnoli, greci, australiani o americani che siano. Al di là di questo dettaglio, le sue critiche mi ricordano il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi quando rimprovera chi parla di problemi di mafia, perchè questi discorsi causerebbero danni all’immagine dell’Italia. Quello che dico non è scandalistico, è realismo condiviso da tutti i bravi ed onesti produttori con cui ho parlato, qualunque la loro nazionalità, e da ogni consumatore consapevole. Il vero scandalo è che questo problema esiste da piu’ di un decennio, e che le grosse strutture, a partire dal COI, da molti associazioni di categoria e dai variministeri di agricoltura EU e dei singoli paesi, strutture che dovrebbero salvaguardare sia produttori sia consumatori, non fanno affatto questo. Difendono invece gli interessi di un pugno di grossi imbottigliatori, che hanno sistematicamente ridotto l’olio di oliva extravergine, un prodotto di grandissima qualità nutrizionale, salutistico, culinario e culturale, in un mero commodity, senza margini, senza fascino, senza futuro.

Il pugno di produttori di olio di qualita’ che esiste negli USA, di cui 99% in California, sono stufi di questa situazione assurda. (La loro produzione totale non arriva nemmeno a 3,000 tonnellate, quindi il suo titolo “Grande sfida” mi sembra un po’ esaggerato.) Ma lo sono anche iproduttori di olio extravergine di qualità in Italia, Spagna, Grecia, Tunisia, Israele, Sudafrica, Australia, e tutte le altre nazioni. Sono stufi di essere preso in giro, e giorno dopo giorno di vedersi espulsi dal loro mestiere da una prassi consolidata di frode legalizzata. Lei dice che “c’è spazio per tutti,” ed è verissimo, ma solo se tutti vendono lo stesso prodotto dietro l’etichetta “extravergine.” Senno, e in mancanza di organi di controllo capaci di far rispettare la legge, alla lunga c’è spazio solo per chi vende a ribasso, perchè gli altri falliranno. L’ultima ironia è che l’erosione di valore penalizza tutti, persino il piu’ cinico venditore a ribasso di olio scadente. Perchè le grandi multinazionali come Unilever e Nestlé sono usciti dal settore? Perchè la SOS Cuétara sta passando un momento di grande difficolta finanziaria? La risposta è chiara: non si guadagna più nel settore dell’olio extravergine. Nemmeno barando.

Lei ha pubblicato diversi articoli molto interessanti, in cui giustamente critica la vendita di oli “extravirgini” nei DICOs a prezzi assurdi, al di sotto degli 2 Euro – oli di pessima qualità con forte probabilità di contenere olio deodorato. Lei dice che questa prassi è concorrenza sleale di fronte ad extravirgini autentici. Sono stati studi di grande importanza e risonanza. Le propongo di fare un simile studio degli oli delle grandi marche nei supermercati italiani, con analisi chimici (sopratutto dei alchil esteri, magari anche PPP e DAGS che sono degli ottimi analisi e costano poco) ed un panel test organolettico, avvalendosi della sua grande esperienza e prestigio come degustatore di oli, ed dei suoi contatti con i più noti scienziati del settore. Se sono veramente extravirgini non hanno niente da temere, vero? Come lei dice giustamente, c’è spazio per tutti....

Con distinti saluti,

Tom Mueller

 

FOLLE ECCESSO DI LEGGEREZZA

Gentile Mueller,

grazie a lei per averci scritto. Stia però tranquillo, per noi è sempre un piacere ospitarla. Non capisco tuttavia le sue rimostranze. Nel testo apparso la scorsa settimana faccio esplicito riferimento ad altri articoli, non ai suoi scritti. L’attacco alla buona immagine dell’olio extra vergine di oliva italiano ed europeo resta in ogni caso un fatto che purtroppo emerge con evidente chiarezza. Da qualche tempo a questa parte una serie di articoli hanno sollevato e continuano a sollevare questioni sulle quali mi sembra vi siano atteggiamenti e toni fin troppo sensazionalistici e perfino allarmanti. Tra gli articoli di cui non condivido l’approccio, questa volta, sì, cito ben volentieri anche il suo lungo reportage apparso sul “New Yorker” dell’agosto 2007 – ma questa è storia vecchia. Tornando invece al suo annunciato libro, Extra Virginity. The Sublime and Scandalous World of Olive Oil, sarò il primo a leggerlo, con grande curiosità. Il titolo al momento non lascia spazio a equivoci, si percepisce in maniera netta lo spirito con cui lei ha indagato e scritto il volume; ma non voglio giudicare senza prima aver letto: non è mio costume.

Ciò che intimamente invece mi chiedo, e le chiedo, è una questione molto delicata. Quale è lo spirito che deve animare il lavoro di chi ha la responsabilità di scrivere per un pubblico più o meno vasto che può essere condizionato nei propri orientamenti? Ha senso fare del sensazionalismo ad ogni costo, seppure a fin di bene? O, per contro, ha più senso educare al corretto approccio, affinché tutti, indistintamente, possano conoscere un prodotto come l’olio extra vergine di oliva per quello che è, scoprendo giorno dopo giorno cosa sia effettivamente la qualità, quella reale, senza dar luogo a turbamenti o a dubbi che possano allontanare il consumatore?

Ecco, io sto lavorando da anni per cercare di formare il lettore, fornendo tutte le notizie, anche le più brutali talvolta, senza mai celarne alcuna, ma sempre prestando la dovuta attenzione per evitare in tutti i modi di scivolare nel sensazionalismo ad ogni costo e fine a se stesso.

Come posso accettare di buon grado quanto lei scrive in questa lettera? Per me è inconcepibile. C’è un folle eccesso di leggerezza che mi lascia sgomento. Lei liquida alcuni capisaldi importanti ed essenziali. Il suo giudizio nei confronti del Consiglio oleicolo internazionale è imperdonabile quanto grave. Allo stesso modo non è giustificato il frettoloso giudizio espresso nei confronti delle Istituzioni, “strutture – lei scrive – che dovrebbero salvaguardare produttori e consumatori”, e che invece eluderebbero tale compito.

Ah, Dio mio! Quanta pazienza occorre avere. Come faccio a farle capire che a distanza di più di cinquant’anni dall’introduzione sul mercato dell'olio extra vergine di oliva sarebbe giunto il momento di voltare pagina e comprendere nel frattempo che l’olio che si va ricavando dalle olive nel corso di questi anni si è evoluto a tal punto che oggi più che mai necessita di essere al più presto rivisto e riattualizzato nella sua attuale categoria merceologica di riferimento?

E’ da qui, mi creda, che bisogna ripartire. Il resto lo capirà da sé più avanti. Spero.

 Luigi Caricato

di T N

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Commenti 3

Raffaele  Giannone
Raffaele Giannone
08 novembre 2011 ore 10:39

Egregi signori e gentilissimo direttore,
mi pregio di ritornare sull'argomento in questione relativamente al quale se mi sento,e sono,un out-sider sugli aspetti scientifici e macro-economici, resto pur sempre un operatore pieno di buova volontà e con le mani impegnate....specie in questo periodo di raccolta e molitura!
Lungi da me dal polemizzare con le altalenanti affermazioni del sig. Tom Mueller e tantomeno sulla sua "mediterraneità" acquisita, oppure dall'addentrarmi nelle argomentazioni profonde sui mercati e sull'utilità delle grandi organizzazioni nazionali,europee e mondiali addotte dal sig. Galeone, che anzi ringrazio per avermi citato.
Mi permetto solo di riportare la discussione su elementi "pratici" quali quelli già accennati nel mio precedente intervento.
Chiedo a chi può e sa più di me se non sia giunta l'ora per la battaglia finale sulle denominazioni commerciali: lo scandalo è e resta quello di vedere sui banchi della grande ( e piccola) distribuzione italiana,tedesca, americana, australiana...etc.. l'"olio extra vergine d'oliva" a prezzi fra 2 e 3 euro !!!!

Propongo la seguente riflessione pratica: nelle aree olivicole collinari a cui mi onoro di appartenere un operaio raccoglie mediamente " a mano" circa un quintale di olive (se adiuvato da un pettine vibrante anche oltre 2 quintali,etc..).
Orbene, per quanto sottopagato, a tale operaio occorre corrispondere almeno 40 euro giornalieri, a fronte di una valore delle olive a piè d'albero di circa 25-30 euro il quintale. Siamo già a 10 euro di perdita per aver SOLO raccolto le olive!!
La raccolta meccanizzata, dove possibile, migliora decisamente la situazione, ma aggiunge costi (carburanti, manutenzioni,ammortamenti).
Si aggiunga l'incidenza molitura di circa 15 euro/quintale e la perdita sale sopra i 20euro/quintale, al netto dei costi di lavorazione, potatura,concimazione,etc...!!
Chiedo a lor signori se,invece che disquisire sul COI, piuttosto che su Unilever e SOS Cuetara che fanno la loro parte e perseguono i loro scopi (promozioni,stategie in vasta scala, dividendi per gli azionisti, posti di lavoro,etc.) non sia dovere di NOI operatori,studiosi, consumatori rappresentare nelle sedi opportune questo scandalo?

Un olio extravergine VERO non può costare meno di 5 euro/litro, il solo prezzo più basso è già AUTOMATICO indice di frode, almeno per l'olio definito "italiano" !
Per gli oli esteri..il discorso si farebbe più lungo e complesso e non solo per gli aspetti storici e scientifici che tanto colpiscono il caro T. Mueller, ma per le conseguenze di una globalizzazione troppo presto assurta all'onore degli altari economici e politici.

Se si amano l'olivicoltura e l'olio d'oliva (come sarebbe bello poterlo chiamare solo così!!!) e sono convinto che ognuno degli egregi intelocutori li ama e apprezza, ci si deve battere per la FORMAZIONE e INFORMAZIONE del consumatore.
Nessuna organizzazione mondiale, nessun NAS o repressioni frodi e tantomeno nessuno burocrate di Bruxelles può quanto il consumatore informato !
Per questo mi congratulo per la battente azione culturale compiuta nel tempo dal dr.Caricato a cui associo l'augurio di una più vasta eco...anche oltre oceano, ma senza trasferirsi in California... visto che abbiamo da "convertire" ancora quelli che vengono da noi e...in fondo..noi stessi !

Raffaele Giannone, Civitacampomarano (CB)

Donato Galeone
Donato Galeone
06 novembre 2011 ore 11:31

Concordo con Lei, Direttore Caricato, che "c'è spazio per tutti", per gli oli ottenuti da olive differenziate per cultivar prevalenti in partita unica da trasformare, provenienti da piante vegetanti nei comprensori omogenei rurali del nostro Paese e che necessitano di un autentico riconoscimento,non solo etichettato in categoria merceologica "extravergine". Anche le aggiuntive due parole "alta qualità" per non omologarsi in slogan devono puntare a "informare sulla sostanza, su fatti tangibili" e mirati a "cambiare" la comunicazione agroalimentare italiana, così come nel maggio scorso auspicava la giornalista Cinzia Montagna da Lei, Direttore Caricato, intervistata (14 maggio 2011 TN n. 19 Anno 9).
"Sostanza e fatti tangibili" nella comunicazione, quindi, perchè sappiamo che l'alta qualità dell'olio extravergine di oliva è anche variabile dipendente sia per le differenze quantiqualitative annuali delle produzioni di olive, dal nord a sud italiano, che dai tempi e modalità tecnologiche di trasformazione, stoccaggio e conservazione dell'olio, pronto per la commercializzazione nella complessa domanda/offerta di mercato globale.
Ma anche "sostanza e fatti tangibili" con il mettere"ordine in casa nostra con rigore, lealtà e trasparenza" già richiamata dall'olivocoltore-frantoiano Raffaele Giannone su TN del 2/11/2011 con il suo commento che condivido, sia nel merito quantitativo degli di "made in Italy" che esportiamo che per le quantità etichettate "extravergini" non solo "comunitari" - aggiungo io - che acquistiamo nei supermercati italiani. Certamente è essenziale, per tutti, sul "come fare informazione". Leggeremo con la massima attenzione il libro del Signor Tom Muller . Sarà un confronto civile di attualità e rileveremo sia il presumibile "scandalismo" che il "realismo" sull'olivocoltura mondiale ed in particolare sul "gusto" non solo del consumatore americano dell'olio di oliva prodotto in Italia.
Personalmente, quale tecnico agrario, nel basso Lazio in areale terrazzato di Vallecorsa proprio famiglie di americani hanno degustato l'olio prodotto in "filiera locale". Hanno visitato e fotografati gli oliveti ed in questi giorni di molitura definiranno il proprio intendimento di acquisto, assaggiato il prodotto, loro richiesto da consumatori USA e Canadesi. Concordo ancora con Lei, Direttore Caricato, che fare del "sensazionalismo" o comunicare un prodotto alimentare - aggiungo e ripeto io - soltanto con la "immagine" del made in Italy e non chiaramente i contenuti di "qualità reale" oltre a "turbare" il consumatore è anche un'azione a orientamento fraudolento che conduce, nel tempo,a deturpare la riconosciuta tipicità eccellente dell'agroalimentare italiano.
Pertanto, condivido, che è tempo di "voltare pagina" e RIVEDERE con le preannunciate nuove etichettature ministeriali la "categoria merceologica dell'olio extravergine di oliva" comunicando al consumatore la "sostanza reale" - comprensibilissima - della qualità di prodotto.
Donato Galeone

Paolo Amerio
Paolo Amerio
05 novembre 2011 ore 13:00

Gentili Signori,

mi scuso per l'intromissione ma l'animata e quanto mai interessante discussione mi stimola alcune riflessioni.
Sono un assaggiatore di olio e da un pò di tempo ho aperto insieme a colleghi assaggiatori un e-commerce specializzato solo ed esclusivamente nell'olio extra vergine di oliva italiano di alta qualità. (http://www.oliving.it)
Credo che sia difficile negare la grande difficoltà a rimanere sul mercato con prodotti di qualità e pertanto alti prezzi quando al supermercato troviamo prodotti della "stessa" categoria merceologica a prezzi ridicoli.
Confermo la tesi del sig. Mueller riguardo al fatto che la maggior parte degli oli extra vergine economici presenti nei supermercati se sottoposta ad un'anlisi chimica o giudizio di un panel non risulterebbe extra vergine, ed in taluni casi probabilmente nemmeno vergine...!
A mio avviso credo che il problema si snoccioli prevalentemente attorno all'aggettivo "stessa", riferito alla categoria merceologica; in questo senso la parte finale della risposta del sig. Caricato mi trova pienamente d’accordo. I tempi sono ormai maturi per l'introduzione di una nuova cat. merceologica che vada chiaramente a distinguere, agli occhi del consumatore, l'olio extra vergine economico del supermercato da quello di alta qualità.
In questo senso credo persino che gioverebbe a tutti (multinazionali e piccoli produttori) tale differenziazione perchè si può davvero intravedere un utlizzo in cucina delle due varianti.
In qualche modo si tratta di ripercorrere solo quanto già è avvenuto nel mondo del vino; nessuno si scandalizza nel pensare o consumare un vino da tavola o un vino in cartone...molti, però, non lo consumerebbero o regalerebbero per una pranzo o una cena importante.
Nell'attesa che qualcosa cambi a livello normativo, i produttori virtuosi cercano di "far passare" questa differenziazione con i pochi mezzi comunicativi che hanno, ma spesso con quella grande passione e caparbietà che contraddistingue noi Italiani.
Termino con una nota positiva; è incredibile pensare che l'alta qualità olearia si debba scontrare con certe "porcherie" da supermercato però è altrettanto incredibile vedere con quale facilità un qualsiasi consumatore sottoposto ad una banale prova di comparazione tra un olio "buono" ed uno da supermercato sappia riconoscerne immediatamente la differenza e valore del primo!
Sono lontani i tempi delle frodi con il metanolo nel vino...ma non così tanto per ricordarci che la qualità costa ma alla lunga ripaga.

Paolo Amerio