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La comunità olearia internazionale si allarga a est includendo la Georgia

Oggi gli olivi vengono coltivati nelle zone di Cachezia, Imerezia, Guria e Kvemo Kartli per circa 100 tonnellate di produzione. Oggi avere in tavola una bottiglia di olio georgiano non è più un mito

12 dicembre 2019 | Antonio G. Lauro

E’ di questi giorni la notizia dell’allargamento ad Est del COI, grazie all’ingresso della Georgia tra i membri del consesso con sede a Madrid ed un nuovo competitor si affaccia sul vasto panorama dei paesi produttori di olio da olive e con obiettivi ben chiari e lungimiranti.

In effetti, come si legge in alcune dichiarazioni governative, nei prossimi anni, la Georgia sarà in grado di coprire una nicchia nel mercato mondiale dell'olio da olive.

Secondo gli esperti, il paese che ha appena iniziato ad attuare un nuovo programma per la coltivazione dell’olivo, sarà in grado di attrarre investitori anche grazie al fatto che la Georgia ha guadagnato l'immagine di paese con riforme di successo, dove burocrazia e corruzione non rappresentano più un ostacolo per gli investitori, al punto che nel report sulla facilità nel fare business (Doing Business 2019 – Training for Reform), redatto dalla Banca Mondiale, la Georgia è al sesto posto, davanti a giganti economici quali Stati Uniti, Gran Bretagna e Cina.

L'olivicoltura in questo lembo di terra, pur se avviata solamente da 10 anni, può vantare una più antica diffusione nell’area, visto che le piantagioni di olivi in Georgia erano menzionate nelle cronache storiche. Introdotta nel 1879 dai monaci georgiani nelle regioni subtropicali di Abcasia e Cachezia, la coltivazione dell’olivo fu avviata a Nuovo Athos (Akhali Atoni), sul Mar Nero.

Ma come avvenne anche per altre colture, con l’avvento dell'Unione Sovietica, l’olivo fu sostituito da altre specie e delle 60 varietà di olive in Georgia, tra queste l’autoctona Tbilisuri, non rimase nulla.

Occorrerà quindi aspettare la prima decade del nuovo millennio per osservare una “ripresa” della coltivazione dell’olivo nell’area ex-sovietica, basata quasi esclusivamente sulla introduzione di varietà Turche. Mentre, per ciò che riguarda le tecnologie estrattive, solamente nel 2016 si è registrato l’avvio del primo frantoio dotato di tecnologie moderne.

Oggi gli olivi vengono coltivati nelle zone di Cachezia, Imerezia, Guria e Kvemo Kartli, aree dal clima ideale per far crescere l’olivo (Cachezia è alla stessa latitudine di Grecia, Spagna e Italia).

Forte l’interesse governativo ed il sostegno verso questa coltura al punto che il Ministero dell'Agricoltura ha lanciato il programma Plant the Future, attraverso il quale negli ultimi 5-6 anni oltre 2.500 ettari sono stati messi a coltura e decine di imprese di successo sono state istituite nell'ambito di questi programmi. Altissimo l’aiuto statale che arriva a co-finanziare il 70% dei costi per avviare nuove imprese.

Ma l’interesse del governo georgiano non si limita a fattori meramente economici. Infatti, anche in considerazione che gli olivi hanno una capacità unica nel ripristinare terreni degradati, riducendo gli effetti negativi del clima ed in linea con i principi dello sviluppo sostenibile, la Georgia mira ad introdurre le buone pratiche agricole nel paese.

Oggi avere in tavola una bottiglia di olio georgiano non è più un mito; il mercato georgiano sta progredendo, al punto che le prime bottiglie di olio extravergine di oliva sono già disponibili nella GDO (Carrefour e Agrohub) e presto la vendita dell’olio EVO georgiano, la cui produzione è oggi stimabile in sole 100 tonnellate, verrà allargata a quasi tutti i grandi supermercati del paese.

Ma il dichiarato intento dei produttori georgiani non è solo quello dell’auto approvvigionamento (sono ancora molto bassi i consumi interni), ma anche quello di esportare un prodotto di qualità sui ricchi mercati Europei.

Siamo tutti avvisati.

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