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Non traduzione ma racconto, la strada maestra per il successo del Made in Italy agroalimentare
Nonostante viaggi in Europa, internet e diffusione del Made in Italy nel mondo, i cinesi di fascia medio-alta non conoscono elementi base della nostra tradizione enogastronomica, come la mozzarella o il Parmigiano Reggiano. Gli errori da non fare per chi vuole sbarcare nel Regno di Mezzo
15 giugno 2018 | Giuliano Vita
Nella primavera del 2017 partecipai a Shanghai ad un importante evento come rappresentate della piattaforma e-commerce per cui lavoravo in Cina. Il grande numero dei partecipanti ci spinse a prendere un piccolo stand in cui vendere alcuni dei nostri prodotti alimentari italiani di cui eravamo più fieri: Olio siciliano biologico, burrate di bufala campana (seppur surgelate, buonissime), mozzarelle, parmigiano reggiano e così via.
Ciò che ci spinse di più a partecipare non fu esattamente il numero dei partecipanti ma la loro estrazione sociale: Cinesi appartenenti alla classe medio-alta, probabilmente con qualche viaggio in Europa alle spalle e dunque conoscitori della nostra cultura culinaria.
Già dopo alcune ore dall’inizio dell’evento ci accorgemmo che non sarebbe andata bene. Il risultato commerciale fu tutt’altro che positivo ma ci insegnò una lezione importantissima legata all’indispensabile necessità di uscire dal proprio ufficio e parlare personalmente con il proprio target di consumatori.
Parlando con la gente all’evento avevamo azzeccato solo 2 delle nostre 3 ipotesi.
1) appartenevano alla classe medio-alta – assolutamente vero
2) la maggior parte aveva viaggiato in Europa - assolutamente vero
3) conoscevano i nostri prodotti - assolutamente falso
Salvo pochissime eccezioni, non conoscevano la mozzarella, il Parmigiano Reggiano, l’olio d’oliva siciliano e tutto il resto.
Se è vero che i primi a incontrare i sapori del food italiano sono proprio i turisti, che imparano a conoscere le eccellenze eno-gastronomiche nazionali, questo concetto non è esattamente valido per i turisti cinesi.
Secondo i dati IPSOS su un sondaggio svolto su 100.000 viaggiatori internazionali cinesi, il cibo è il terzo elemento che più ricercano online prima di partire. Da ciò si evince un interesse per questo aspetto che i cinesi sembrano considerare con un aspetto fondamentale della loro esperienza turistica.
Ma andando ad analizzare le loro preoccupazioni all’interno di un ristorante si evince che il problema della comunicazione e comprensione è il problema più importante. Infatti, la mancanza di menù tradotti o di personale che parli cinese sono i problemi più sentiti.
Queste difficoltà linguistiche portano spesso i turisti cinesi a rimanere nella loro confort zone e dunque a mangiare in Italia in ristoranti cinesi o catene di fast food con cui sono familiari.
Anche quando la traduzione del menù è presente, si fa l’errore di dare per scontato che la sola traduzione basti a far comprendere tutte le informazioni sul piatto e sugli ingredienti. Dire ad un turista cinese che come ingrediente è presente la mozzarella (马èéæå¥¶é ª, MÇ sÅ« lÇlÄ nÇilào) è poco utile in quanto non è nient’altro che la traslitterazione della parola italiana. è come se noi italiani in viaggio in Cina leggessimo la traduzione del famoso piatto “ç®å头”, come “testa di leone” che ovviamente, per quanto strane possano essere le vostre idee sulla cucina cinese, non è una testa di leone ma una polpetta di carne in zuppa che ricorda la testa delle statue dei guardiani leoni cinesi.
Da qui la necessità di raccontare i menù, la preparazione del piatto, la storia degli ingredienti, consigli sull’abbinamento con il vino, accompagnati da foto che per quanto possa essere una caratteristica dei menù turistici, in Cina è considerato normale mostrare le foto dei piatti.
In tal senso a mio parere, ristoranti e produttori dovrebbero anche con il supporto delle nuove tecnologie, fare sinergia nella promozione dei nostri prodotti alimentari in modo da supportare tutta la filiera. Con i quasi 2 milioni di turisti cinesi in arrivo in Italia nel 2017 (che si stima raddoppieranno nei prossimi 5 anni), stiamo perdendo l’opportunità di promuovere i nostri prodotti alimentari proprio quando giochiamo in casa e i nostri potenziali clienti si trovano qui in trasferta.
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