Italia

ANCORA LONTANI DAI RISULTATI DELLA MEDIA EUROPEA, L’EXPORT AGROALIMENTARE ITALIANO CRESCE. OTTIMISMO PER IL 2007

Il settore alimentare, secondo il Presidente di Federalimentare, deve inevitabilmente guardare ai mercati esteri come unico vero terreno di espansione nei prossimi anni. E sul fronte interno? L’Italia è un popolo di pigroni. Concentrati sull’intake calorico ma sedentari sul lavoro e nel tempo libero

28 aprile 2007 | Mena Aloia

Federalimentare, Federazione Italiana dell’Industria Alimentare, anche quest’anno ha scelto il Cibus per la sua Assemblea Annuale. Nel corso dell’inaugurazione della manifestazione fieristica svoltasi per la prima volta a Roma, il presidente Giandomenico Auricchio ha tracciato, nella sua relazione, le linee guida che l’industria alimentare italiana deve seguire per potersi confrontare con lo scenario competitivo nazionale ed internazionale.

“Il 2007 – ha detto il Presidente di Federalimentare- almeno così mi piace credere, si annuncia come un anno di svolta, che sembra finalmente far vedere la luce alla fine di un tunnel che ci obbligava a pensare a riorganizzare le imprese invece di farle crescere.”

Alcuni dati sembrano dare ragione al ritrovato ottimismo di Auricchio, nel 2006, infatti, il fatturato totale del settore ha raggiunto i 110 miliardi di euro, con un incremento percentuale del 2,8% sull’anno precedente.
Anche nella produzione si è registrato un aumento positivo dell’1,5%, ma il dato più significativo si registra nell’export, cresciuto all’incirca del 10% sul 2005.
Finalmente l’incidenza dell’export sul fatturato totale ha superato la soglia del 15% alla quale eravamo inchiodati da anni, giungendo al 15,2%. Valori, tuttavia ancora lontani dalla media europea del 18% (Francia del 20%, Germania del 22%), ma che tuttavia mettono a fuoco una verità molto semplice: “il settore alimentare deve inevitabilmente guardare ai mercati esteri come unico vero terreno di espansione nei prossimi anni”, questo il commento del neo presidente di Federalimentare.

Auricchio, ha poi ricordato, gli impegni presi da Federalimentare su obesità e stili di vita degli italiani.
Federalimentare si impegna a promuovere presso le aziende associate l’adozione della etichetta nutrizionale in cui sono riportati almeno quattro elementi (energia, proteine, grassi e carboidrati) al fine di fornire al consumatore informazioni sempre più accurate, comprensibili ed utili sul contenuto nutrizionale dei prodotti alimentari.
In merito alle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di limitare il contenuto di grassi acidi trans al di sotto dell’1%, Federalimentare si impegna a sollecitare le proprie aziende associate a ridurre significativamente nei propri prodotti gli acidi grassi trans derivanti dai processi produttivi.
Sempre maggiore attenzione, dunque, per la salute soprattutto dei giovanissimi, ma senza dimenticare che lo stile alimentare italiano rimane il migliore modello alimentare riconosciuto nella letteratura scientifica.
Da una ricerca effettuata dal Centro Studi di Federalimentare, si scopre che noi italiani siamo più virtuosi di quanto immaginiamo in tema di alimentazione.
Dagli anni sessanta ad oggi, le calorie giornaliere assunte sono scese da 2600 a 2200, con particolare riduzione di alimenti ricchi di grassi e proteine animali e se negli anni ottanta mangiavamo meno di 13 kg di pesce a testa in un anno, oggi la media è salita a 21 kg. Secondi in Europa nel consumo di frutta e verdura con 360 kg pro capite, ultimi nel consumo di dolci con soli 25,5 kg, basso anche il consumo di zucchero (24 kg contro i 32 della media europea).
Curioso notare che questa sequenza di virtuose abitudini s’interrompe quando si parla di consumo di latte: siamo in coda alla classifica europea con 57 litri pro capite contro i 93 litri della media dei Paesi Europei.
Il problema vero resta, però, quello dell’attività fisica: siamo uno dei popoli più pigri d’Europa.
Concentrati, soprattutto, sull’intake calorico e sull’aspetto nutrizionale dei cibi, ma sedentari sul lavoro, camminiamo poco volentieri e pratichiamo meno sport degli altri Paesi europei.

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