Italia 28/09/2018

I vini bianchi italiani piacciono perchè autoctoni

I vini bianchi italiani piacciono perchè autoctoni

La crescita del consumo sembra trainata da nuove tendenze e modalità di consumo contraddistinte dalla ricerca di prodotti più versatili e da consumare in particolare fuori casa. Italia primo Paese esportatore per volume e primo anche a valore, nonostante un prezzo medio molto più basso dei propri competitor


Il vino fermo è qualsiasi vino che non presenta effervescenze, dovute ad uve particolari che presentino una determinata acidità, oppure a processi detti di spumantizzazione. Quello italiano, con un valore di 1,287 miliardi di euro l’anno, è il più venduto al mondo e fa meglio della Francia (1,276 miliardi). Il risultato viene da un’indagine di mercato dall’Istituto Marchigiano di Tutela Vini (Nomisma Wine Monitor), rivelata a Jesi nel corso del convegno “Bianco come il vino”, svoltosi nell’ambito di Progetto Vino di Collisioni. La ricerca ha anche appurato che il vino bianco fermo è ormai la tipologia più consumata in Italia e nel Regno Unito e a breve lo sarà anche negli Usa. La crescita del consumo sembra trainata da nuove tendenze e modalità di consumo contraddistinte dalla ricerca di prodotti più versatili e da consumare in particolare fuori casa. Per produrre un vino banco fermo si procede secondo le tradizionali fermentazioni che vedono una leggera e veloce pressatura delle uve in modo da estrarne il succo ma senza estrarre i coloranti. Il succo poi è fatto fermentare, con un processo naturale in cui si produce dallo zucchero sia alcol sia anidrite carbonica. Nel vino fermo si deve terminare l'intero processo in modo che l'anidrite carbonica, che determina l'effervescenza, sia completamente espulsa e non compaia in bottiglia.

Secondo il focus, negli ultimi cinque anni gli “still white italian wine” esportati hanno risentito meno del boom delle bollicine (+88%) e sono cresciuti del 26% in valore, contro il +16% dei rossi. Un trend dovuto al successo dei consumi sia in Europa sia, soprattutto, in America settentrionale, dove nell’ultimo decennio la richiesta a valore è lievitata del 73%. Stati Uniti (36,6%), Germania (16,5%) e Regno Unito (14,2%) sono i tre principali buyer su cui si concentrano i 2/3 delle vendite made in Italy, nettamente primo Paese esportatore per volume e primo anche a valore, nonostante un prezzo medio (2,80 euro al litro) molto più basso dei propri competitor: Nuova Zelanda (4,93 euro al litro) e la Francia (4,69 euro al litro). Anche in Italia c’è entusiasmo per il tipo di vino, sia nei consumi (40,1% contro il 39,8% dei rossi) che in vigna, con il rapporto bianchi/rossi nella produzione vinicola ribaltato nell’ultimo decennio: oggi infatti il 54% del vino prodotto è bianco, più o meno la stessa quota che era dei rossi e dei rosati. Ed è proprio nel “fuori casa”, secondo il Rapporto di Wine Monitor, che i bianchi fermi battono i rossi anche in Italia, risultando i più consumati al ristorante e secondi solo agli sparkling nei wine bar, con i rossi che restano leader nei consumi casalinghi, anche se gli acquisti nella grande distribuzione organizzata parlano di un +14% di vendite a valore dei vini bianchi nell’ultimo quinquennio a 666 milioni di euro) contro un +7% per i rossi (858 milioni di euro). Il futuro sembra appartenere agli autoctoni, con il 45% degli italiani che li elegge vini del futuro, al pari di quelli green (biologico 38%, sostenibili 18%). Quelli italiani piacciono perché sono in gran parte frutto di uve autoctone molto diverse tra loro e in grado di far scoprire tutta la varietà e le diverse caratterizzazioni del nostro vigneto. In genere sono classificati in vini secchi, amabili o dolci, a indicare diversi gradi zuccherini che però non sono fissati secondo una classifica standard e vengono stabiliti nei singoli disciplinari di produzione delle varie denominazioni.
 

di Marcello Ortenzi