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CAMPANELLO D’ALLARME PER IL COMPARTO VINO. E’ IN ATTO UN DURO ATTACCO AL PRODOTTO, NEL NOME DI UNA TRASVERSALE IDEOLOGIA ALL’INSEGNA DEL PROIBIZIONISMO

Lo abbiamo già denunciato e lo ribadiremo. La situazione diventerà presto assai difficile da gestire. Si vuole incriminare il vino ritenendolo nocivo alla salute. Ma è proprio così? E perché si insiste tanto nel demonizzarlo? Eppure il consumo pro capite è diminuito. Perché allora tanto accanimento indiscriminato?

10 dicembre 2005 | Luigi Caricato

Siamo alle solite. C’è come un fraintendimento tra quanti sono impegnati in una campagna di sensibilizzazione contro l’abuso d’alcol e chi, come noi di “Teatro Naturale”, non trascura minimamente il senso dell’abusare, con i rischi connessi, ma ugualmente è a favore del vino perché lo ritiene una bevanda oltre che buona, per piacevolezza nei profumi e al gusto, anche salutare.

Ogni abuso comporta quale diretta conseguenza una serie complessa di problemi di vario genere. Non stiamo qui a elencarli perché sono noti a tutti.

Il fraintendimento dov’è? Nel fatto che coloro che sono contro gli abusi, almeno (e per fortuna) solo una parte di questi, è ipso facto contro il vino, in maniera indistinta.

Sta qui la difficoltà di comunicazione da superare.
Ora, dal momento che è in atto una campagna trasversale di neoproibizionismo, faccia le opportune distinzioni.

Con questa mia nota, non mi rivolgo certo a costoro, perché questi individui sono sordi, ciechi e comunque intellettualmente chiusi ad ogni confronto. Quindi è inutile avere questa gente davanti perché non hanno alcuna intenzione di dialogare.

Passiamo pertanto a coloro che in buona fede sbagliano nell’avercela con il vino, ma riescono sempre a ragionare con chi la pensa diversamente e sono pronti quindi al confronto dialettico.
Dico in buona fede perché c’è chi per varie ragioni di buona fede non ne ha nemmeno l’ombra.

A chi è contro il vino, direttamente o meno, dico semplicemente questo: un concetto molto semplice e lineare, ovvero:

chi abusa ha problemi personali, o comunque è come tale incapace di percepire i rischi che l’abuso d’alcol può oggettivamente comportare sia sul proprio stato di salute, sia sul proprio grado di pericolosità sociale;

chi abusa non ha il senso del limite e non percepisce dunque in alcun modo, o solo lontanamente, questo limite, o perché sottovaluta gli effetti dell’alcol, o perché, avendo qualche squilibrio di natura psicologica, ricorre all’alcol per evitare risposte devastanti a se stesso e allora beve per dimenticare o per sfidare se stesso e la sorte.

Bene, a questo punto è chiaro: è chi abusa a dover meritare le attenzioni di chi si mostra sensibile ai rischi correlati all’alcol, e non, viceversa, come purtroppo accade, l’alcol a dover essere posto al centro dell’attenzione per essere bollato come prodotto pericoloso per la salute e la sicurezza sociale.

Sia ben chiaro: i rischi dell’abuso nessuno può negarli, ma qui dovrebbe subentrare prima ancora che uno psicologo, un pedagogo per far fronte alle problematiche legate all’abuso.

Pedagogo è parola oggi così desueta, visto che si tratta di una professione a torto ignorata dalla società. Infatti si notano le carenze educative, e si nota pure come, con tanta leggerezza, si punti con troppa disinvoltura il dito non su un problema tangibile, quello del “disagio” psicologico e sociale, ma sull’aspetto che emerge con più evidenza a seguito di un abuso, ovverosia l’alcol.

Insomma, per essere brevi, anziché tentare di aiutare le fragili personalità di chi per propria inadeguatezza “decide” di abusare con l’alcol, si preferisce optare per la soluzione più comoda e spensierata: le campagne contro l’alcol. Troppo comodo.

Il problema dell’abuso non sta in ciò di cui si abusa, ma nell’atto stesso dell’abusare. Quindi sono le motivazioni che portano all’abuso che vanno affrontate, non l’alcol.

Purtroppo, in una società che rifiuta il principio e il senso stesso dell’educare, la soluzione più agevole è quella di chi preferisce puntare il dito – in questo caso specifico – nei confronti dell’alcol. E’ sbagliato.

Siamo sicuri che la bottiglia di vino sia il riferimento più giusto per lanciare una campagna contro l'abuso d'alcol?

Ora, passiamo alla distinzione tra vino e altre bevande alcoliche. Un passaggio questo necessario, in quanto tende a fare in genere di tutti gli alcol un’unica realtà: non è così.
Nel caso dei giovani, soprattutto, la bevanda con cui questi cercano l’ebbrezza non è
certo il vino. Lo si sa bene e d’altra parte ci sono i numeri a testimoniarlo.
In molti poi ignorano volutamente l’abuso che si fa con altre sostanze stupefacenti, ma vi è da aggiungere pure lo stordimento che si verifica attraverso un uso improprio di musiche lanciate ad altissimo volume.

Queste storie si conoscono ed è inutile approfondirle in questa mia nota.
Tornando invece al tema vino e salute, l’argomento, si sa bene, è quanto mai effervescente. Da una parte vi sono i detrattori, dall’altra coloro che giustamente difendono la bontà salutistica del vino. Bontà salutistica che non significa affatto, volendo banalizzare, ritenere il vino una bevanda medicinale. No, questo è oramai acclarato. Bontà salutistica significa che attraverso un consumo moderato e regolare i benefici per la salute sono certi e sicuri. Non c’è alcun rischio per la salute, nonostante – occorre ammetterlo – vi siano voci contrarie a questa tesi da parte di alcuni detrattori del mondo del vino appartenenti alle comunità scientifiche di sponda opposta.

Witten e Lipp sono autori di un volume prezioso, uscito in Italia per Neri Pozza nel 1997 con il titolo Alla salute!, in cui, da medici, spiegano i benefici effetti del vino. Cosa emerge da questo testo? Un’analisi giusta, seria, documentata, tutta tesa a dimostrare come “un consumo quotidiano moderato di vino durante i pasti non solo non comporta effetti nocivi sull’umore e sul comportamento né è di alcun pregiudizio alle donne incinte, ma addirittura diminuisce sensibilmente i problemi cardiovascolari e il rischio di infarto e cancro”.

A parte queste dichiarazioni, colpiscono altre valutazioni dei due autori, come la seguente:

“...gran parte delle pubblicazioni provengono da persone che tirano acqua al proprio mulino. Si tratta di industrie con fatturati multimiliardari, e non solo dell’industria vinicola. Sappiamo tutti di dover diffidare delle dichiarazioni dei venditori, ma molti sottovalutano il fatto che anche chi si schiera contro l’alcol vende qualcosa”.

Il libro è intrigante, peccato non sia disponibile una ristampa, con aggiornamento delle ricerche nel frattempo effettuate al riguardo.
Si tratta di un testo molto serio, che apre gli occhi alla gente: “è di gran lunga più facile – aggiungono Witten e Lipp – spaventare la gente che rassicurarla. Per spaventarla basta solo sollevare il dubbio; per rassicurarla, in generale, occorre sostituire il dubbio con la certezza, e quest’ultima può essere una merce fragile”.

Cosa dire? Sono del parere che si stia abusando moltissimo sul fronte degli oppositori al consumo del vino. I neoproibizionisti incombono, ma le persone sagge sanno bene che qualsiasi bevanda o alimento può in ogni caso causare un danno biologico quando se ne abusa. Nessuno scandalo, dunque; per tutto c’è bisogno di misura. Che senso hanno allora le campagne contro il vino?

Si tratta di allarmismi inutili, e in molti casi pretestuosi, buoni per occultare le colpe di una società che non è più in grado di far percepire agli individui il buon senso, l’equilibrio e la misura come un valore.



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