Italia

Nel 2013 oltre 50mila imprese agricole a rischio chiusura

15 maggio 2013 | C S

Per l’agricoltura italiana suona l’allarme. La situazione per le imprese è sempre più difficile e i produttori sono ormai sull’orlo del collasso. Costi (produttivi, contributivi e burocratici) pesanti, prezzi non remunerativi, redditi tagliati, mancanza di interventi incisivi e di politiche realmente propulsive. E a questi si aggiunge l’Imu sui fabbricati rurali e su terreni agricoli, un’imposta ingiusta che penalizza beni strumentali per lavorare. Con la prospettiva di una riforma della Politica agricola comune quanto mai incerta. La denuncia è venuta oggi dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori durante l’Assemblea nazionale dei Gie-Gruppi di interesse economico svoltasi a Roma sul tema “Più agricoltura, più reddito: si può fare insieme”, che è stata conclusa dal presidente confederale Giuseppe Politi.

 

I bilanci aziendali -è stato affermato durante l’Assemblea Gie-Cia- sono “in rosso”. Nel 2013, senza immediati e straordinari interventi a sostegno degli agricoltori, oltre 50 mila aziende possono chiudere i battenti (già nel primo trimestre più di 13 mila sono uscite dal mercato) e più di 2 milioni di ettari di terreni coltivati sono in grave pericolo. Non solo. Si potrebbero verificare un “taglio” deciso all’occupazione e pesanti conseguenze anche del “made Italy”.

 

“Negli ultimi dieci anni -ha detto il presidente della Cia Politi nelle sue conclusioni all’Assemblea- circa 500 mila imprese agricole, in particolare quelle che operavano in zone di montagna e svantaggiate, hanno chiuso i battenti. Solo nel 2012 più di 25 mila sono andate fuori mercato. Il rischio è che nei prossimi quattro anni, altre 250 mila aziende rischiano di cessare l’attività. Senza interventi mirati e straordinari sarebbe una tragedia per l’intero settore. Siamo in una situazione non più tollerabile. Vogliamo che sull’agricoltura si riaccendano i riflettori della politica. Al nuovo governo inviamo un preciso appello: attendiamo un drastico cambio di marcia, una strategia veramente mirata alla crescita e alla competitività. Vogliamo che al totale disinteresse si sostituiscano atti concreti”.

 

“Dobbiamo capire che -ha rimarcato Politi- un Paese senza una valida agricoltura non ha futuro. In altri Stati europei i problemi agricoli vengono affrontati in maniera diversa e certamente più incisiva. Non si può continuare a ignorare un grande patrimonio per l’Italia, quale è quello agricolo e rurale. Dobbiamo fare in modo che questa ricchezza non vada dispersa e si frammenti ulteriormente. Le conseguenze sarebbero devastanti non solo per il settore, ma anche per l’intera economia”.

 

D’altronde, oggi l’agricoltura italiana vive in un grande momento di scelte politiche: dalla definizione della nuova Pac a Bruxelles a un nuovo settennato di programmazione Psr e non solo, alla necessità di avviare una politica economica orientata alla crescita e all’occupazione.

 

“Bisogna, quindi, ridare certezze e prospettive a un settore che ora -ha sottolineato ancora il presidente della Cia- rischia di subire ulteriori effetti negativi da una crisi che si sta rivelando una delle più complesse e difficili degli ultimi trent’anni. E’ urgente una politica orientata alle imprese, nelle loro diverse articolazioni, aggregazioni e rapporti con il mercato. Obiettivo prioritario è quello di collocare le aziende agricole nelle dinamiche dello sviluppo per contribuire e partecipare all’auspicabile ripresa economica del Paese”.

 

Negli ultimi 12 anni -è stato rilevato nel corso dell’Assemblea dei Gie-Cia- i redditi delle aziende sono scesi del 25 per cento. La perdita di competitività dell’agricoltura è molto antecedente alla crisi economica, anche se, con il crollo della domanda e il blocco del credito, si è fortemente acuita.

 

Sempre nello stesso periodo la forbice tra i costi dei fattori e i prezzi dei prodotti alimentari è mediamente aumentata del 20 per cento a svantaggio degli agricoltori. Questo in assenza di innovazione, significa ancora una volta perdita di reddito.

 

Noti dolenti anche dalla ripartizione del valore aggiunto. Fatto cento il valore di un prodotto agroalimentare sul banco di vendita, all’agricoltore va il 16-18 per cento. Motivi principali la scarsa aggregazione, la mancata programmazione, la disorganizzazione della filiera, i costi di transazione eccessivi e parassitari, la carenza di reti logistiche e di trasporti efficienti.

 

Le risposte della politica non sono arrivate. Si è riscontrato un atteggiamento di assenza, smarrimento e distacco dai problemi reali delle imprese agricole.

 

Discorso che vale anche per il grande valore del “made in Italy”, che non si difende con politiche protezionistiche, ma -è stato affermato durante l’Assemblea- si valorizza con l’organizzazione economica, la promozione, politiche attive di internazionalizzazione. Certo servono regole, controlli, norme di etichettatura efficaci, ma queste sono poco utili, se non accompagnate dal sostegno alla riorganizzazione delle imprese e delle filiere.

 

Quindi, per i Gie-Cia ci sono precise priorità: l’organizzazione della filiera, l’aggregazione del prodotto e lo sviluppo di organismi e relazioni intersettoriali; più ricerca e diffusione dell’innovazione; una grande azione di semplificazione.

 

L’Assemblea è stata aperta da Domenico Brugnoni, vicepresidente nazionale Cia. A seguire le relazioni di Giuseppe Cornacchia, responsabile Dipartimento Sviluppo. agroalimentare e territorio della Cia, e di Carmelo Gurrieri, responsabile nazionale dei Gie-Cia. Sono poi intervenuti i presidenti dei Gie nazionali -Antonio Nisi (cereali), Mariangela Cattaneo (florovivaismo), Tiziano Anselmi (colture industriali), Gaetano Dino Ferraro (olio), Antonio Maione (ortofrutta), Antonino Cossentino (vino), Antenore Cervi (zootecnia)- e rappresentanti di Agrinsieme (il coordinamento tra Cia, Confagricoltura e Alleanza delle cooperative agroalimentari, che a sua volta ricomprende Agci-Agrital, Fedagri-Confcooperative e Legacoop Agroalimentare).

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