Italia

L'Italia salva il latte ma non l'olio d'oliva

Si sono mossi con urgenza il ministro Tremonti e la Lega Nord per contrastare la scalata di Lactalis su Parmalat e così tutelare il lattiero-caseario italiano. Silenzio e immobilismo quando si è trattato di Carapelli e Bertolli

02 aprile 2011 | Alberto Grimelli

Meglio tardi che mai.

La nostra politica si sta forse accorgendo che l'agroalimentare è un settore strategico da tutelare al pari di quello dell'energia e delle telecomunicazioni.

Forse.

Già perchè non sono affatto sicuro che la recente vicenda Lactalis-Parmalat, con il colosso francese che ha tentato la scalata alla società italiana, nasconda un ripensamento strategico nel nostro Paese. Credo di più a un interesse specifico, quello della Lega Nord, per il settore lattiero-caseario italiano, come ben evidenziato nella vicenda quote latte, che ha prodotto un'accelerazione di un processo legislativo e un attivismo degli attori industriali e finanziari del nostro Paese che ha rari precedenti.

E' del 20 marzo scorso la notizia che il gruppo francese Lactalis ha raggiunto un accordo per comprare dai fondi Zenit Asset management AB (svedese), Skagen AS (norvegese) e Mackenzie financial corporation (canadese) le loro quote in Parmalat al prezzo di 2,80 euro per azione. L'acquisto riguarda 265.744.950 azioni, pari al 15,3% del capitale del gruppo di Collecchio, un assegno da circa 750 milioni. Con questa operazione Lactalis sale al 29% di Parmalat e l'azienda viene valutata 5 miliardi di euro. A distanza di poche ore il ministro Tremonti ha fatto sapere di stare studiando un provvedimento anti-scalata, sul modello francese, per proteggere le nostre industrie dagli assalti stranieri. Il provvedimento è finito sul tavolo del Consiglio dei Ministri già il 23 marzo e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 27 marzo ed ha permesso al cda Parmalat di rinviare l'assemblea degli azionisti inizialmente prevista per aprile a fine giugno. Nel frattempo, grazie a una certa moral suasion politica, è stata in fretta e furia messa in piedi una cordata italiana che dovrebbe veder coinvolti Intesa SanPaolo, Unicredit e Mediobanca, oltre all'”interesse e simpatia” mostrati da Ferrero. Il tutto mentre la Cassa depositi e prestiti valuta anch'essa di poter in qualche modo contribuire all'impresa. In dieci giorni le ambizioni di Lactalis sono praticamente evaporate.

E' assolutamente deprimente paragonare questa vicenda a quanto successo, pochi anni fa, per Bertolli e Carapelli. Non dobbiamo andare così indietro nel tempo. Bertolli fu ceduta, dopo essere stata sul mercato per circa sei mesi, a Sos Cuetara nell'estate 2008. Carapelli fu venduta, grazie alla cessione delle quote MPS (italianissima, anzi toscanissima banca), a dicembre 2005. Fermare entrambe le operazioni era assai semplice. Nel caso di Carapelli sarebbe stato sufficiente una telefonata di moral suasion politica per bloccare la cessione delle quote a Sos, per Bertolli una cordata italiana era pronta ma non si riuscirono a trovare 100 milioni di euro per concludere l'affare. Le banche, pronte a gettarsi anima e corpo in Parmalat, circumnavigarono al largo del settore olio d'oliva. Non parliamo inoltre del governo che nelle due circostanze in questione semplicemente si eclissò.

La verità, assai amara e difficile da digerire, è che a nessuna forza politica, di sinistra, destra o centro, sta realmente a cuore il comparto oliandolo mentre gli allevatori, fortuna loro, hanno trovato un partito che farebbe carte false pur di tutelarli.

Figli e figliastri.

L'olio d'oliva è ormai merce di scambio, come avvenuto per le quote latte in cui Zaia barattò il nulla osta alla sanatoria con la direzione del Coi, ma guai a chi tocca il lattiero-caseario.

 

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