Formazione

Olio d'oliva in cucina, vietato affidarsi al caso

Olio d'oliva in cucina, vietato affidarsi al caso

Giunto al traguardo lo short master che declina la scienza dell'olio di oliva in cucina. L’attuale modalità d’impiego e di servizio dell'extra vergine al ristorante relega il prodotto ad elemento di arredamento del tavolo più che di reale “condimento”. E' ora di cambiare

27 settembre 2017 | Maria Lisa Clodoveo

Si è concluso con successo il primo short master dedicato all’impiego dell’olio nella ristorazione intitolato “The olive oil sensory science and the culinary art”.

La cerimonia di consegna degli attestati è avvenuta il 25 settembre 2017 presso la Torre Angioina di Bitonto, comune che ha promosso e sostenuto l’iniziativa didattica, in collaborazione con l’associazione Frantoiani di Puglia AFP e la Federazione Italiana Cuochi FIC.

Lo short master, orientato a ristoratori, chef, responsabili di sala ha visto una partecipazione molto variegata. Accanto alle figure che tradizionalmente popolano il settore HORECA, hanno preso parte alle lezioni scrittrici, food-blogger, frantoiani, giovanissimi studenti appena diplomati all’istituto alberghiero, ma anche studenti universitari o semplici appassionati di enogastronomia che desideravano saperne di più, ma soprattutto educarsi all’assaggio degli oli vergini d’oliva.

Il paradigma didattico prevedeva infatti che ogni partecipante conseguisse l’idoneità fisiologica all’assaggio, condizione necessaria per affrontare con consapevolezza le tematiche del master che hanno spaziato dall’olivicoltura alle tecnologie di trasformazione, dalla nutraceutica al marketing, arricchendo il percorso con nozioni di antropologia del gusto e legame della matrice al territorio ed al paesaggio.

Il team didattico ha visto concentrati in un unico corso alcuni dei professionisti più rappresentativi del contesto olivicolo oleario pugliese: Salvatore Camposeo, Bernardo De Gennaro, Filomena Corbo, Francesca Romana Recchia Luciani, Alfredo Marasciulo, Elisabetta De Blasi e Cosimo Damiano Guarini. Inoltre, il percorso di studi, svolto sotto la direzione di Maria Lisa Clodoveo, si è pregiato del patrocinio dell’Accademia dei Georgofili e dell’Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio.

Il master non è un punto di arrivo, semplicemente un punto di partenza. È chiaro che il ruolo dell’olio nella ristorazione dovrà cambiare nel prossimo futuro. L’attuale modalità d’impiego e di servizio, che non prevede un riconoscimento del valore da parte del consumatore, relega il prodotto ad elemento di arredamento del tavolo più che di reale “condimento”. Condire significa arricchire di gusto e profumi un piatto, e solo gli oli di alta qualità hanno questo magico potere.

Se l’olio servito al tavolo rimarrà un elemento incluso nel prezzo del coperto, per la legge del food-costing porterà il ristoratore, che è innanzitutto un imprenditore che a fine mese paga spese e stipendi dei dipendenti, a scegliere matrici economiche che consentano di massimizzare il profitto.

Il cambiamento avverrà solo se vedrà coinvolti, simultaneamente, il ristoratore e il cliente.

È un sistema di evoluzione che si basa su piccoli mutamenti dei comportamenti dell’uno che determinano, per feed-beck, un mutamento del comportamento dell’altro.

Per fare in modo che gli oli migliori giungano sui tavoli dei nostri ristoranti in modo che i responsabili di sala, adeguatamente formati, si trasformino in ambasciatori della qualità e in promotori della diffusione della cultura dell’olio, occorre che quest’ultimo si trasformi in una voce di costo distinta all’interno della lista del conto da presentare al cliente.

Affinché il cliente rinunci ad un aspetto che considera un diritto acquisito ed inviolabile, e cioè abdichi all’idea che l’olio al ristorante sia gratis, occorre che percepisca in maniera chiara ed univoca i vantaggi che ne può trarre.

Dal bilancio costi-benefici nascerà e si manifesterà una propensione a pagare più o meno elevata quanto più numerosi saranno i benefici percepiti. Il privilegio di aprire una piccola bottiglia, conservata al riparo da luce e calore, al tavolo, attraverso un rito dedicato, per poter godere a pieno degli aromi e del gusto che olivicoltori e frantoiani hanno contribuito a generare dalle diverse cultivar allevate nei differenti territori, toccherà i tasti dei clienti a caccia di esperienze sensoriali. Accanto a questo, anche i meno attenti alla dimensione edonistica, sperimenteranno il piacere di imparare a godere di un prodotto integro, in una confezione igienicamente impeccabile, non maneggiata da altri commensali estranei, sigillata a garanzia della corrispondenza fedele tra contenuto ed etichetta. Saranno questi elementi, accanto alla narrazione del prodotto, della sua storia e del territorio di origine, combinati con la consapevolezza che le lodate doti salutistiche dell’extravergine si perdono se l’olio è servito da una bottiglia aperta da tempo, a trasformare un cambiamento inaspettato e forse non consapevolmente desiderato, in una esigenza non negoziabile, così come in un tempo non troppo lontano è accaduto per l’acqua minerale che ha sostituito progressivamente le anonime brocche d’acqua del rubinetto.

La conclusione è stata affidata alla stesura di 10 comandamenti per il ristoratore e 10 comandamenti per il cliente, perché se vuoi che l’olio sia servito al impiegato al ristorante a regola d’arte, bisogna farlo “come Dio comanda” (https://www.youtube.com/watch?v=uGMTWnfYi_w).

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