Economia

SI PUÒ INCREMENTARE IL REDDITO DI UN’AZIENDA AGRICOLA INVESTENDO IN ATTIVITÀ CULTURALI?

La strategia del marketing dovrebbe puntare sulla realizzazione di infrastrutture che recuperino i segni del territorio. E’ il caso dei musei della vite e del vino, dell’olivo e dell’olio, o dei musei etnografici, di tradizione agricola e di civiltà contadina; ma anche di altre attività parallele, che giocano un ruolo importante di promozione

29 maggio 2004 | Franco Bonaviri

Diciamo la verità. Il mondo rurale non apprezza e neppure ha mai coltivato ciò che esula dalla propria sfera di competenze.
Terreno, pianta, cura agronomica, raccolta e trasformazione del prodotto, vendita. Poi il vuoto.
In realtà chi si accosta all’agricoltura con uno spirito imprenditoriale non trascura altre vie. Quella culturale, per esempio. Magari senza crederci del tutto. Forse con intenzioni poco nobili, puramente speculative. Però ad ogn modo si attiva nel rilanciare i frutti della propria attività, senza trascurare ciò che invece viene puntualmente disconosciuto. Ovverosia, la cultura.

La domanda corre spontanea: ma sarà redditizio il ricorso a un investimento culturale per lanciare sul mercato un prodotto della terra? E’ la via giusta?
Spieghiamoci. Chi produce un vino, un olio o altro, un prodotto comunque di qualità e riconducibile ad un dato territorio, a una specifica professionalità legata ad una tradizione locale, ha, può avere, un proprio tornaconto qualora decidesse di investire in cultura?
Organizzare o patrocinare convegni serve a qualcosa?
Organizzare attività culturali in senso stretto è utile per un’azienda?

Guardando ad alcuni esempi illustri sembrerebbe di sì.
La Fratelli Carli di Imperia, attività operante nell’olio di oliva sin dal 1921, ha fondato il Museo dell’olivo nel 1992. Con successo. Anzi, di più, con grande successo. Numerosi sono stati infatti negli anni i visitatori.
Certo, va pur riconosciuto che la realizzazione di un museo comporta la sopportazione di investimenti e costi di esercizio altissimi, che solo in pochi possono permettersi. Ma non è questo il punto. Occorre che a muovere tutto ci sia la passione per il campo d’azione in cui si opera, e tanta motivazione e competenza.

Le aziende agricole non hanno la disponibilità finanziaria della famiglia Carli, è vero; ma nulla vieta di realizzare un progetto analogo ma ridimensionato nella portata. Non è comunque il limite di natura finanziaria che possa distogliere le intenzioni di chi crede nella cultura applicata alla propria sfera professionale. Ciascuno del resto si attiva secondo le proprie possibilità. Un museo può essere concepito e organizzato con un impegno corale, coinvolgendo un gruppo solidale di aziende, per esempio.
Non è tanto la carenza di fondi, quanto invece la mancanza di sensibilità e di coscienza civile a frenare.
L’egoismo di alcuni, l’incultura talvolta, rendono assai difficile conseguire ciò che, in genere, non necessita di grandi risorse..

Fare cultura non rappresenta un costo. Ciascuno può esprimere la propria adesione a un progetto culturale senza necessariamente investire notevoli somme.
Tornando all’idea di realizzare un museo, scopriamo, secondo quanto ha ammesso Carlo Carli, che la preparazione del suo “Museo dell’olivo” è stata lunga e assai laboriosa: “dall’inizio dei lavori al giorno dell’inaugurazione, l’8 maggio 1992, trascorsero cinque anni di progetti, di prove, di discussioni, di rifacimenti. Un lavoro – sostiene Carli – premiato dalla soddisfazione delle migliaia di visitatori che da subito hanno animato le sale del Museo e dal riconoscimento Emya, il Comitato del Premio europeo Museo dell’anno, concesso ogni anno dal Consiglio d’Europa al museo che si è distinto per originalità, soluzioni espositive e contributo alla valorizzazione del patrimonio culturale europeo”.

L’idea di costruire una serie di musei che esprimano per esempio le caratterizzazioni zonali di un’area viticola od oleicola che sia, è un passaggio più semplice da concretizzare, rispetto a un museo come quello Carli che invece si colloca tra quelle strutture che richiedono invece grandissimi investimenti. Ecco dunque la possibilità di ripiegare su un museo del territorio, di un’area più circoscritta. Magari attivandosi in sinergia con altri produttori e con il sostegno delle Istituzioni. E’ una via praticabile.
La Regione Toscana, tra l’altro, da sempre attiva su più fronti e con grande successo, aveva già a suo tempio dettato delle direttive specifiche sui musei, da inserire nel quadro delle Strade del vino e dei sapori. E’ stata prevista anche la concessione di contributi regionali per promuoverne la creazione, l’ampliamento o il riallestimento di strutture già esistenti. Come si può dunque notare, tutto diventa possibile, laddove esiste una sensibilità e soprattutto un’intelligente progettualità.

L’idea di un museo è fondamentale per il ruolo di attrattiva che riesce a svolgere. Il consumatore, ch’è poi anche il turista, vuole essere informato, conoscere una realtà che lo riconduca al prodotto che acquista e consuma. E tale impegno può esprimersi proprio attraverso la costruzione di una rete museale, o comunque attraverso molte altre iniziative parallele: la pubblicazione di libri intorno alle specificità territoriali, la organizzazione di convegni o di spettacoli. E non è una questione semplicemente di fondi, ma di sensibilità legata ai temi della cultura.

Ecco pertanto la grande scommessa: si può incrementare il reddito di un’azienda agricola investendo in cultura? La risposta è sì. Ogni investimento, se condotto con intelligenza e mosso dalla passione per il proprio lavoro, porta in ogni caso a risultati ottimali. Occorre però crederci. Il marketing funziona in particolare se dietro vi sono dei contenuti. Perdere simili occasioni, oltre a una perdita per il rilancio del proprio territorio, è anche un arretramento che non può certo far piacere a chi lo sperimenta sulla propria pelle.

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